
Fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Novanta l'Italia cambia due volte pelle, corpo, anima. Prima scopre la partecipazione, l'egualitarismo, la modernizzazione della sensibilità e della cultura, il femminismo; poi si riconosce nell'individualismo, nella micro imprenditorialità, nel diritto al consumo e nella seduzione del benessere e della moda. Diviso in due parti, una dedicata agli anni 1967/1977 e l'altra al periodo 1978/1994, questo volume racconta la costruzione di due immaginari, il secondo dei quali si sovrappone al primo e alla fine è vittorioso. La domanda di fondo è: "com'è stato possibile passare dalla contestazione al riflusso?". La risposta è da cercare in un'analisi trasversale del racconto dei media di quegli anni (stampa, cinema, fumetti, radio e televisione) e attraverso l'individuazione di alcuni eventi traumatici di diverso impatto (dal suicidio di Tenco e i fatti di Vermicino alle stragi, dall'allunaggio ai campionati del mondo di calcio del '70 e del '92) e di alcuni personaggi cruciali, insieme politici e mediatici, come Sandro Pertini.
La funesta profezia del 21 dicembre 2012 è solo un esempio. L'ultimo, se i Maya avevano ragione. Il fatto è che periodicamente l'umanità si prepara a sloggiare dal pianeta Terra. Millenarismi di ogni tipo per secoli hanno alimentato la credulità popolare, e ogni scampato pericolo è sempre servito solo come carburante per la profezia successiva. In particolare, però, è la generazione di noi contemporanei quella che sta coltivando con maggiore convinzione l'idea di essere l'ultima della storia del mondo. Dopo di noi, il diluvio: e pazienza per i posteri, fossero anche i nostri figli. Potrà essere un collasso finanziario, oppure un drammatico stravolgimento climatico, forse un'ondata migratoria devastante, uno tsunami di spazzatura, una guerra mondiale, la fine delle risorse petrolifere. Oppure tutte queste cose assieme, senza escludere i classici del cinema: impatto con un meteorite o invasione di extraterrestri. Se pure i Maya avessero torto, un'apocalisse sembra davvero alle porte se non altro la fine dei mondo così come siamo abituati a viverlo da qualche secolo a questa parte. Ecco lo specifico contemporaneo: ci sentiamo talmente sicuri di un'imminente apocalisse (una qualsiasi apocalisse) che ci siamo convinti di non poter fare nulla per fermarla. Se ne ricava la più classica delle profezie che si auto verificano: siccome la fine del mondo ci sarà, ci sarà la fine del mondo.
A partire dall'attuale crisi finanziaria, e sollecitato dalle domande di Citlali Rovirosa-Madrazo, Zygmunt Bauman esamina alcuni dei temi morali e politici più urgenti del nostro tempo: dal terrorismo internazionale e dal fondamentalismo religioso al declino dello Stato-nazione, alle minacce del riscaldamento globale, a cosa accade delle nostre vite. "Se si potessero paragonare le teorie sociali o i teorici della sociologia alle attrezzature di cucina, Zygmunt Bauman sarebbe sicuramente uno dei coltelli più taglienti. Tuttavia la sua lama, come la maggior parte delle lame, è a doppio taglio. Se si cerca di imparare a utilizzarlo senza farsi male si finirà puntualmente per affettarsi un dito e inondare di sangue le cipolle senza riuscire ad arrivare al cuore di esse per la semplice ragione che non esiste. Bauman riesce a far apparire simili a cipolle i tanti e complessi strati della storia e la saga della filosofia occidentale. Mentre sfida il capitalismo, Bauman sfida anche il comunismo: e questa è forse un'altra buona ragione per leggere la sua opera in tempi di recessione. Bauman insorge contro la Chiesa e contro lo Stato che ama definire "inseparabili fratelli siamesi" - senza mostrare alcun segno di nostalgia né dell'una né dell'altro. E come se non bastasse, sembra sfidare la scienza o, più precisamente, conserva verso di essa fiducia e rispetto, ma sospetta del suo flirt con il mercato".
Da Pericle a Papa Wojtyla, passando per Augusto, Napoleone, Hitler, Stalin, De Gasperi e altri, scaltri simulatori, trascinatori di folle, imperatori, dittatori feroci, abili uomini di Stato o più umilmente pastori di anime hanno segnato il destino dei popoli. Nelle lezioni tenute con grande successo all'Auditorium di Roma (delle quali questo volume raccoglie i testi) tra ottobre 2008 e maggio 2009, alcuni fra i maggiori storici italiani e l'autorevole studiosa francese Michelle Perrot raccontano le vicende politiche e umane dei grandi protagonisti della storia e svelano le luci e le ombre dei tanti modi di governare gli uomini, quanto sia stata e sia ancora forte l'impronta di quei potenti, quanto ancor oggi quel modello e quel potere ci condizioni.
"Chi proibisce ai cristiani lo studio della filosofia e delle scienze proibisce loro anche di essere cristiani." Così scriveva Tommaso Campanella, nell'Apologia di Galileo del 1616, in difesa del principio della libertas philosophandi, predicato specifico e irrinunciabile dell'indagine umana cui non sfuggono né la natura né la religione. E solo un esempio del significato e del valore di quella cultura italiana nella quale si è raccolto quanto di meglio la nostra storia ha generato lungo i secoli moderni. Cultura laica - da non confondere con anticlericale, come spesso è accaduto - nella quale si è espressa una vera e propria concezione del sapere. "Se si vanno a leggere i capisaldi della cultura laica, ci imbattiamo in concetti decisivi come legge, conflitto, eguaglianza, dissimulazione, bisogno, libertà di stampa, opinione pubblica, fino all'argomentazione del rifiuto della tortura e della pena di morte. Princìpi, ieri come oggi, di una sapienza che in Italia ha trovato uno dei suoi luoghi di nascita e di maggiore sviluppo." Una sapienza mondana e civile, che appare in modo luminoso nei testi qui raccolti - da Leon Battista Alberti a Camillo Benso di Cavour, passando, tra gli altri, per Giordano Bruno, Machiavelli, Leopardi, Manzoni - i quali, organizzati tematicamente, affrontano argomenti come la condizione umana, la nascita (e la morte) delle religioni, la loro funzione civile, la critica della Chiesa di Roma e del cristianesimo, la teorizzazione della "libera Chiesa in libero Stato".
La coscienza è davvero ciò che ci distingue dagli altri esseri animati? È riducibile a processi chimici e meccanici? Se sì, che parte hanno in questi processi il dolore e l'amore, i sogni e la gioia? Sono alcune delle grandi domande su cui si arrovellano filosofi e scienziati a partire Cartesio, ma le teorie sulla coscienza elaborate finora, sostiene Dennett, sono tutte sbagliate, anche se la loro semplicità intuitiva ci spinge a crederle vere. Vero è, semmai, che non c'è traccia nel nostro cervello di un "Autore Centrale", responsabile assoluto del nostro "Sé", produttore di un unico e definitivo flusso di coscienza. La nostra mente non funziona tanto come una dittatura o una monarchia, quanto come una democrazia molto sofisticata: "Spiegherò i vari fenomeni che compongono ciò che chiamiamo coscienza, mostrando come siano tutti effetti fisici delle attività del cervello, come queste attività si siano evolute e come facciano sorgere le illusioni sui loro poteri e le loro proprietà. Proporrò, insieme ai fatti scientifici, una serie di storie e analogie per rompere vecchi abiti di pensiero e aiutare a organizzare un'unica visione coerente, sorprendentemente diversa dal tradizionale punto di vista sulla coscienza."
"Nel corso dell'ultimo secolo e mezzo la polizia, i magistrati, i politici, gli opinion makers e perfino i semplici cittadini hanno avuto accesso a un'incredibile quantità di informazioni sul problema della mafia. Gli italiani si sono indignati per la violenza della criminalità organizzata e per le collusioni fra una parte della classe politica e i boss. Il risultato è stato che il dramma della mafia spesso si è dispiegato sotto la luce dei riflettori, diventando un evento mediatico. Ma l'Italia; ha mostrato grande ingegnosità anche nel trovare ragioni per guardare da un'altra parte o per non fare niente. La storia delle mafie italiane, dunque, non è solo un giallo in cui bisogna cercare il colpevole, ma anche un giallo in cui bisogna cercare chi sapeva. E soprattutto, cercare di capire perché diamine chi sapeva non ha fatto nulla". Con le stesse qualità del suo libro precedente, il rigore analitico dello storico combinato al racconto del romanziere, John Dickie affronta contemporaneamente la camorra napoletana, la mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese, le cui origini sono tutte e tre riconducibili alla nascita dello Stato italiano.
Essere un uomo politico nell'Atene del V secolo significava senz'altro essere presente tanto nell'assemblea che in guerra. Ma se Aristide, Temistocle, Cimone, Pericle, Nicia e Alcibiade sono diventati uomini illustri è anche perché hanno saputo costruire un'immagine pubblica in cui i loro stili di vita erano parte del loro agire politico. Plutarco ci racconta come sono cresciuti nella fama, sono stati amati, celebrati, invocati: Cimone, dopo una gioventù dissipata, apre i suoi giardini al popolo di Atene e diventa uno dei leader della vita politica. Alcibiade ama giovinetti e fanciulle in uguale misura, seduce l'assemblea, conduce la flotta e guida le processioni. Sono comportamenti che, se ora ci sorprendono, erano perfettamente integrati in un'immagine complessiva del politico dalle molte sfaccettature, spesso emotive. La storia politica della Grecia antica considera, nelle fonti antiche relative ai leader, solo alcune delle loro attività: i discorsi all'assemblea, la gestione della guerra, le proposte di legge, i conflitti con gli altri leader per l'esercizio del potere. L'autore studierà i loro costumi, o meglio: i modi in cui si comportavano, nascevano, crescevano, abitavano, pregavano, si vestivano, mangiavano, si sposavano, morivano.
Crescendo in Versilia, un bambino impara subito che al mondo esistono differenze clamorose. Differenze tra le stagioni - in un paese che d'estate è Las Vegas e nel resto dell'anno ricorda Bucarest - e differenze sociali, sbattute in faccia senza pietà dalle sfarzose vite dei bambini villeggianti, biondi e viziati e senza dubbio migliori di noi. Una cosa deve essere chiara da subito, sennò di questo posto non si capisce nulla. Perché uno dice Versilia e pensa al lusso sfrenato, alle ville con la pista per gli elicotteri, ai furgoni con scritto "caviale", agli hotel cinque stelle per cani e al citofono per ordinare lo champagne senza doversi alzare dalla sdraio. Ma non è sempre stato così. Mio babbo faceva l'idraulico, e andava a lavorare a casa di Mina. Cioè, il mio babbo era l'idraulico di Mina. E certe volte, siccome lui si chiama Giorgio, lei passando gli cantava Giorgio, Giorgio del lago di Como... Il mio babbo aggiustava lo scarico della fognatura e intanto Mina cantava per lui. Una volta l'ho raccontato a un arredatore di Bologna e si è dovuto mettere a sedere perché sveniva. E invece il massimo commento del mio babbo, quando gli chiedo di quei giorni, è "Mi pare che cantava bene". Dire che vivi qua è una scelta abbastanza impegnativa. Va tutto liscio se stai a Roma o Milano o Ponte Biscottino. Ma se dici che vivi a Forte dei Marmi la gente va fuori di testa e non ti lascia più andare. Perché al Forte ci sono stati tutti, almeno una volta. Però d'estate, per le vacanze.
Quali sono i confini della libertà? Tradizionalmente si è pensato che si estendessero alle cose che possediamo, alle parole che pronunciamo, agli incontri che facciamo e che arrivassero al corpo solo per rifiutare la violenza o la detenzione senza diritto. Gli sviluppi della biotecnologia e i casi della bioetica hanno mostrato che la libertà si estende fin dentro il corpo. Ma per poterlo fare, la libertà deve affrontare avversari vecchi e nuovi. Deve affrontare le concezioni religiose e conservatrici che hanno sempre concepito il corpo e alcuni suoi momenti cruciali, come la procreazione, la sessualità e il morire, come sfere indisponibili alla scelta e alla libertà umana. E deve affrontare anche avversari nuovi che trattano la vita umana dal punto di vista medico e degli interessi sociali alla salute. Piergiorgio Donatelli difende la libertà sulla propria vita intima, nella procreazione, nella sessualità e nel morire: difende la possibilità che anche questi momenti siano governati in modo radicale dalla propria soggettività, dal proprio punto di vista sulle cose. Il volume smonta le argomentazioni religiose e conservatrici, ma affronta anche i pericoli sottesi alla medicalizzazione dei corpi. Discute il quadro liberale e mostra l'inadeguatezza di trattare la libertà come un principio neutrale e astratto, come è stato dipinto in genere dai teorici liberali. La libertà va vista invece come un modo specifico di affrontare la vita, che si vede in cose...