
Che cos'è la famiglia? Come e perché diventa un'istituzione giuridica? E quale tipo di comunità familiare è 'famiglia' per il diritto? Nel libro, uno sguardo critico sulla famiglia quale prodotto del diritto positivo degli Stati, e sul ruolo che svolge nella disciplina dei rapporti interpersonali, sessuali e intergenerazionali, strutturando precise relazioni di potere fra i generi e costruendo identità e ruoli sociali che coinvolgono gli individui e i gruppi fino a incidere sulla fisionomia delle comunità nazionali.
Ogni generazione condivide il destino del proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro. La morte implica la trasmissione dei beni materiali da una generazione all'altra, ma quanto si riceve in eredità non sono soltanto cose: un intero mondo di simboli e principi si perpetua e si trasforma in questo passaggio secondo la prevalente logica del dono e della restituzione. Se in una delle canoniche divisioni della vita umana - quella tripartita in giovinezza, maturità e vecchiaia - la preferenza era data alla maturità, simbolo di pienezza e culmine dello sviluppo dell'individuo, oggi la gioventù e la vecchiaia si dilatano e la maturità si restringe. I giovani tendono a rimanere più a lungo a casa, i vecchi cercano una seconda giovinezza e restano spesso produttivi dopo il pensionamento. Anche per effetto della crisi del welfare state muta pertanto la trama dell'esistenza individuale e dei rapporti di solidarietà tra le diverse età della vita. Si indeboliscono, in particolare, i legami sociali e la fiducia tra le generazioni. Si potrà introdurre tra loro un nuovo, più equo e lungimirante patto? Quali saranno le modalità di restituzione di risorse materiali e immateriali - cose, sicurezza, affetti, autonomia - alle giovani generazioni?
Non esiste potere privo di una propria politica dell'informazione. La considerazione è tanto più vera da quando l'invenzione della stampa ha trasformato i sistemi di comunicazione in Europa. Tra XVI e XVII secolo, la diffusione del libro, la crescita della lettura e della scrittura in tutti gli strati sociali e l'affermazione delle lingue nazionali posero le basi per un diverso rapporto tra poteri e società. I tempi divennero maturi perché anche i sovrani entrassero in gioco con decisione, provando a far valere i propri punti di vista, talvolta in netto contrasto con quelli della Chiesa che in tale campo rivendicava il diritto alla supremazia. Questo volume parte dalle vicende individuali degli uomini che ebbero a che fare con il mondo della stampa e del suo controllo: i governanti, i loro funzionari, le gerarchie ecclesiastiche da un lato e gli scrittori, gli editori, i librai dall'altro. Le motivazioni alla base delle ansie di controllo degli uni e le aspirazioni alla libertà di espressione degli altri sono tutte legate a doppio filo all'evoluzione delle tecnologie della comunicazione. Il fulcro è sulla Venezia tra '500 e '600, quando la città costituiva uno dei centri europei della produzione del libro, alimentando una fama di isola di libertà di espressione soprattutto nei confronti dell'autorità ecclesiastica.
"La sera del 9 novembre 1860 una colonna di soldati in lacere uniformi turchine, disarmati e sotto scorta, marciava lungo la tortuosa strada alpina che risale la Val Chisone, nelle montagne piemontesi, verso la fortezza di Fenestrelle...". Chi erano quegli uomini? Cosa accadde davvero ai prigionieri napoletani trasportati al Nord nel 1860, e in genere agli ex-soldati borbonici caduti nelle mani delle autorità vittoriose negli anni che portarono all'unità d'Italia? Erano migliaia? Quanti sopravvissero e quanti morirono di stenti, di fame e di freddo? Chi navighi nella rete alla ricerca di informazioni o di opinioni su Fenestrelle e sulla deportazione dei prigionieri di guerra meridionali al Nord è subito colpito dall'estrema violenza del linguaggio e dal ricorrere di termini di confronto novecenteschi impiegati senza alcuna prudenza: campi di concentramento, lager, Auschwitz, sterminio. Intorno al destino di quei soldati è stata sollevata negli ultimi anni una cortina di interrogativi fumosi e di sospetti gratuiti, che può essere smantellata solo attraverso un'aderenza scrupolosa ai fatti dimostrati. Alessandro Barbero racconta la vera storia di Fenestrelle ma anche la storia di come quegli avvenimenti, già di per sé abbastanza drammatici, siano diventati nell'Italia del Duemila materia di un'invenzione storiografica e mediatica.
Esistono storie, nella lunga vicenda italiana, che si fa fatica a raccontare. Che restano nascoste, sepolte quasi dall'oblio. I lunghi secoli della presenza musulmana nella Penisola è una di queste storie. Più di quattrocento anni, dall'inizio del IX secolo al 1300: materia poco interessante, dominio quasi assoluto di uno sparuto gruppo di specialisti. Eppure, si tratta di un tempo particolare. Un'epoca in cui gran parte della Penisola è più Oriente che Occidente, più Africa ed Asia che Europa, estrema propaggine, civilizzata ed evoluta, di un mondo che, tutto intero, andava da Cordova alla rive del Gange. Un'Italia per molti versi scomoda, dove tante generazioni vissero e pregarono lo stesso Dio da orizzonti diversi. Un mondo che questo libro cerca di recuperare, con una narrazione che abbraccia un orizzonte geografico che va dalla Sicilia alfa Campania, passando per la Puglia e la Calabria, posto all'intersezione di culture, costumi, mentalità, credenze contrapposte, sempre in conflitto tra loro ma che, talvolta, convissero, alla ricerca di un comune equilibrio e di un rispettivo spazio di tolleranza e sopravvivenza. Amedeo Feniello traccia con scrittura brillante il profilo di un universo che non è Europa, ma qualcosa di diverso. Nel quale energia e sviluppo, intraprendenza e spirito di progresso arrivano dal mare, dalle coste contrapposte alla Penisola e non da nord, cioè dall'interno di un Continente che, a lungo, in questa storia, resta in pratica assente.
La paura è il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo. Incerti, fragili, insicuri, ci sembra di non controllare più nulla, da soli, in tanti o collettivamente. A rendere la situazione peggiore, concorre l'assenza di quegli strumenti che consentirebbero alla politica di ricongiungersi al potere, permettendoci di riacquistare il controllo sulle forze che determinano la nostra condizione comune, fissando la gamma delle nostre possibilità e i limiti della nostra libertà di scelta. Un controllo che ora ci è sfuggito o ci è stato strappato dalle mani. Il demone della paura non sarà esorcizzato finché non avremo trovato (o più precisamente costruito) tali strumenti.
Questa "Storia della filosofia contemporanea" è la continuazione della "Storia della filosofia antica" di Giuseppe Cambiano e della "Storia della filosofia moderna" di Massimo Mori e, come i volumi precedenti, è diretta a studenti universitari e a un pubblico più generale. Data la sua destinazione, offre un corso completo ricco di contenuti sia sul piano delle informazioni, sia sul piano della ricostruzione delle dottrine, con una introduzione che lo raccorda alla storia della filosofia moderna. La bibliografia contiene, a proposito degli autori stranieri, anche indicazioni riguardanti le edizioni in lingua originale e studi in lingue diverse dall'italiana, utili soprattutto per la composizione di relazioni e tesi di laurea.
Oggi che i profitti delle multinazionali tornano a salire, il nostro Paese resta impantanato nella recessione. I poteri della grande industria svaniscono, sacrificati al mito dell'italianità (Alitalia), svenduti alla concorrenza estera (Telecom), decapitati da inchieste e arresti (Eni e Finmeccanica) o salpati direttamente oltreoceano (Fiat). Non va meglio ai poteri storti dell'alta finanza, che negli scandali Montepaschi e Fonsai hanno saputo aggirare anche la vigilanza di Consob e di Bankitalia. In questo stato di decomposizione, l'opinione pubblica ha trovato il capro espiatorio nella casta politica. In realtà stiamo vivendo l'eclissi di un'intera filiera del potere, che nel pubblico come nel privato non ha saputo né voluto affrontare il cambiamento e cavalcare la modernità.
Fanno le stesse cose degli adulti, si vestono come loro, guardano la tv, giocano con i videogiochi, navigano su internet, praticano gli stessi sport, parlano con un uguale numero di vocaboli, usano gli stessi gesti, hanno pochi giocattoli ma moltissimi gadget. Sono i bambini dei nostri giorni, i bambini adulti, figli di adulti bambini. Più imparano, più rapidamente crescono, meno responsabilità hanno coloro che se ne dovrebbero prendere cura. Divorati dall'ansia, i genitori preferiscono delegare alla scuola, ai vecchi e nuovi media, alle tecnologie, all'associazionismo, il compito di accudire, crescere ed educare alla vita adulta. Perché esistono i bambini ma è scomparsa l'infanzia? Come sono e come dovrebbero essere gli adulti che hanno il compito di farli diventare grandi?
"Le tribolazioni del filosofare" è il viaggio allegorico di un Poeta attraverso il buio inferno dell'intelletto, nella spirale dell'errore, alla ricerca di una via d'uscita dalla condizione di stallo e confusione diffusa nella quale sarebbe precipitato. Non sfuggiranno le affinità, sul piano dello stile come su quello dell'architettura complessiva, tra questo poema filosofico e l'"Inferno" di Dante: là Virgilio, qui Socrate; là i peccati, qui gli errori; là i golosi, gli iracondi, gli eretici, i traditori della patria o del partito, qui gli scettici, i dualisti, i realisti ingenui, i fedeli al linguaggio e ai miti facili. Le annotazioni dei curatori ricostruiscono analogie e divergenze con dovizia di dettagli, ma quale sia esattamente il nesso tra le due opere non è dato di sapere. Quel che è certo è che questa "comedia metaphysica" è una testimonianza autentica. È il poema di una vita. È il viaggio ispirato e ispiratore di chi appetisce all'Amore per la Sapienza e, prima ancora, alla purificazione dell'intelletto: quella purificazione liberatoria di cui in fin dei conti abbisogniamo tutti, anche noi, soprattutto noi, filosofi di nascita ma non di costumi, in questa buia contemporaneità.