
In "11 settembre", pubblicato poco dopo la tragedia, Noam Chomsky ha analizzato gli attacchi al World Trade Center facendo piazza pulita del groviglio di opportunismo politico, patriottismo a buon mercato e conformismo che ha soffocato il dibattito negli Stati Uniti. Chomsky ha proposto una visione complessa, nella quale l'11 settembre si accompagna all'evoluzione della politica estera statunitense. Una politica spesso aggressiva: dall'America Latina al Medio Oriente, dal Pakistan all'Afghanistan. Una politica che ha risposto alla violenza con la violenza, incurante delle conseguenze. Oggi, come dieci anni fa, "11 settembre" ricorda a tutti noi che l'informazione e la trasparenza sono gli strumenti più validi per prevenire conflitti futuri. Aggiornato dopo l'assassinio di Osama Bin Laden.
Gennaio 1960. Un ragazzo cammina per strada. È uscito da scuola. A casa, ad aspettarlo, la madre operaia, il padre invalido. La povertà e la dignità nella luce di una fede semplice e pura. Il ragazzo non torna a casa, va all'oratorio. Virginio ha scoperto la vocazione. Autunno 1962. In seminario, lo studio, i giochi. La vitalità dell'adolescenza stride col rigore delle regole. La forza della fede vince su tutto. Giugno 1969. Prete, il primo incarico, in Bovisa, quartiere operaio nella periferia di Milano, disagio sociale e voglia di riscatto. Voglia di protestare e di abbattere le porte dell'indifferenza. Don Virginio è in prima fila. Aprile 1981. Tre giorni in un monastero a fianco del cardinale Martini, immerso nel suo sguardo colmo di attesa e di fiducia. La nuova spinta, a partire ancora una volta dagli ultimi. Poi la direzione della Caritas ambrosiana. Infine la realizzazione di Casa della carità. "Non per me solo" offre al lettore l'esperienza di vita di un sacerdote che ha fatto una scelta, che rinnova ogni giorno. Mettersi a servizio degli altri. Disabili, donne maltrattate, senza tetto, rom, migranti. Questo libro dà voce a tutti gli esclusi dalla società a cui la vita di don Virginio si è intimamente legata, fino all'ultimo approdo in Casa della carità, la casa di accoglienza voluta da Carlo Maria Martini e presto diventata faro di umanità solidale nella nebbia della metropoli milanese.
“Etica, democrazia, giustizia. Speranza. Fraternità. legalità.” Hanno ancora senso la coerenza e la lealtà in politica? Oppure si esaurisce tutto in uno squallido gioco di potere personale? Cos'è la legalità? Esiste ancora la Legge? Guidati da Don Virginio Colmegna e Maria Grazia Guida, un gruppo di politici e uomini di cultura ha cercato di rispondere a queste domande, proponendo un nuovo modo di fare e nominare la politica. Promuovere la coesione sociale, educare alla Solidarietà, recuperare l'importanza etica della sua funzione: sono queste le parole che servono alla nuova politica.
C'è un filo rosso al femminile nella storia d'Italia ed è rappresentato da tre donne che hanno vissuto in prima persona la straordinaria epopea della famiglia Garibaldi: la brasiliana Anita, moglie di Giuseppe; l'inglese Costanza, moglie del loro figlio Ricciotti; l'americana Speranza, moglie di Ezio, nipote dell'eroe dei due mondi. Tre storie che si snodano attraverso centocinquant'anni, dal 1820 al 1970: dal Risorgimento al periodo postunitario, dalla prima guerra mondiale al fascismo e al dopoguerra. Il volume, grazie alla ricerca compiuta su centinaia di documenti, ufficiali e privati, racconta la storia di queste tre donne coraggiose e coerenti nel testimoniare senza ombre e tentennamenti i valori della dignità umana.
Roma, 11 luglio 1855. Antonio De Felici, cappellaio,reo di avere attentato alla vita del segretario di Stato cardinale Giacomo Antonelli, viene giustiziato.
Roma, 21 settembre 1861. Cesare Lucatelli, facchino, accusato dell’omicidio di un gendarme durante gli scontri fra i pontifici e la folla il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo, viene giustiziato.
Fra le due esecuzioni, fra un popolo e un governo che non ha più autorità su questa terra, il disfacimento dello Stato Pontificio, la fine del potere temporale del papa, l’Unità d’Italia e una città che attende di conoscere il suo destino. Messa troppo spesso in ombra da vicende che già allora occuparono le prime pagine dei giornali italiani ed europei – una su tutte, l’impresa dei Mille di Garibaldi – la storia romana, della città e dello Stato Romano, alla metà dell’Ottocento, dopo la gloriosa quanto breve avventura della Repubblica mazziniana, è poco conosciuta dal grande pubblico.
Roma, il papa, il re è la cronaca dettagliata, quasi accanita di tutto quel che accadde dentro e attorno a Roma negli anni che portarono alla proclamazione del Regno d’Italia.
Ancora una volta, come già in Storia avventurosa della Rivoluzione romana, Stefano Tomassini incrocia i pensieri e le azioni di Vittorio Emanuele ii e Pio ix, Cavour e Napoleone iii, Garibaldi e Mazzini, le osservazioni dei forestieri più o meno affezionati, i pregiudizi o le intuizioni dei diplomatici, i vizi e le virtù del clero, gli entusiasmi, le accidie, le ironie e le ire del popolo.
Nel 1525 un discendente di Tamerlano e Genghiz Khan attraversò l’Indo e conquistò il Pujab: il dominio della dinastia Mogul sul subcontinente indiano era iniziato. Abraham Eraly ripercorre il domino Mogul attraverso le vite dei suoi sei imperatori: guerrieri, mistici, innovatori visionari, asceti e amanti dei piaceri della vita. Tre secoli che hanno lasciato una traccia indelebile sull’India, sulla sua cultura e sull’arte. Il trono dei Mogul è un grandioso affresco storico che rende viva e palpabile le vite dei grandi imperatori, ma anche di cortigiane, soldati, poeti e comuni cittadini.
Nella prima metà del Quattrocento le sorti di Firenze erano incerte ed esposte a gravi rischi. La crisi di potere interna unita a un’endemica debolezza militare aveva reso la città una preda ambita. Ora,mentre i Medici cercavano di stabilire la loro egemonia, il duca di Milano tentava di estendere il suo controllo su tutta l’Italia centrale. La rivoluzione culturale e artistica avviata dal Rinascimento era in bilico. La partita era ancora tutta da giocare.
Faceva caldo a mezzogiorno del 29 giugno 1440. Dagli spalti di Borgo Sansepolcro un condottiere osservava il castello di Anghiari emergere dalla foschia della Val Tiberina. Niccolò Piccinino conosceva bene la zona: quattordici anni prima, al servizio di Firenze, era stato testimone di una disastrosa sconfitta. Adesso era agli stipendi del vincitore d’allora, l’obeso e ambizioso duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Doveva attaccare il campo fiorentino sotto le mura di Anghiari. Ma il vento spirava in modo strano. C’era nell’aria il sentore che quello sarebbe stato il giorno in cui si sarebbero giocate le sorti di Firenze. Fu un pomeriggio di urla e imprecazioni, di scalpitio di cavalli e stridore di armi, di carne e sangue. Alle sette di sera, dopo cinque ore di scontro, i fiorentini conquistarono lo stendardo nemico. Il valore della Battaglia di Anghiari fu colto dai capi della Repubblica fiorentina che nel 1502 affidarono a Leonardo il compito di celebrarla su una parete di Palazzo Vecchio a Firenze. Oggi la battaglia vive nella memoria collettiva per merito del celebre dipinto perduto di Leonardo definito da Benvenuto Cellini «scuola del mondo». Niccolò Capponi conduce il lettore nel cuore della vicenda e ripercorre la storia del capolavoro leonardesco. L’evento storico e il prodigioso gesto creativo di Leonardo si fondono nel racconto del giorno cruciale che salvò il Rinascimento.
Nei primi anni settanta Dominique Lapierre,con Larry Collins, arriva a Nuova Delhi per scrivere la straordinaria storia dell’indipendenza dell’India dall’Impero britannico.
Sarà l’inizio di una prodigiosa storia d’amore. Al volante di una vecchia Rolls-Royce Silver Cloud, la “macchina dei maharaja”, percorre in sei mesi più di ventimila chilometri. Raccoglie testimonianze e documenti unici, vive avventure rocambolesche, conosce e riesce persino a intervistare gli assassini del Mahatma Gandhi. Ne nascerà Stanotte la libertà, racconto epico sulla lotta per l’indipendenza indiana. Ma nascerà anche un rapporto forte, intenso e sincero tra gli ultimi della terra e lo scrittore affermato, che da allora all’India e all’aiuto umanitario dedicherà tutto se stesso.
Dopo il primo viaggio, Lapierre infatti ritornerà in India incessantemente, impegnandosi in programmi concreti contro le condizioni di estrema povertà.
Dormirà nelle bidonville fianco a fianco con gli emarginati della società e con i tanti eroi senza nome che si danno da fare per migliorare le condizioni dei più poveri, incontrerà Madre Teresa di Calcutta; collaborerà con James Stevens, fondatore del centro Udayan, grazie al quale migliaia di figli di lebbrosi vengono strappati dalla miseria e dalla malattia.
L’intervento di Lapierre si rivelerà decisivo per la sopravvivenza e il rilancio di questa istituzione, che garantisce un futuro per tanti bambini malati o con genitori lebbrosi. Seguiranno gli anni vissuti tra i diseredati delle bidonville di Pilkhana, a fianco dell’infermiere svizzero Gaston Grandjean. Anni di grande slancio e di immersione nella sofferenza e nella privazione da cui vedranno la luce un libro e un film celeberrimi: La Città della gioia, di cui in India mon amour Lapierre ci regala inediti dietro le quinte.
La penna di Lapierre accompagna il lettore in ripetuti viaggi nei misteri del paese-continente, immergendolo nella vitalità e il fascino dell’umanità incontrata. Foto, ricordi e riflessioni si mescolano creando una testimonianza unica: India Mon amour.
Un indimenticabile inno alla vita e alla speranza, unito da un fil rouge che deriva da un proverbio indiano: “Tutto ciò che non è donato, è perduto”.
Un lampo di umanità tra gli orrori del primo conflitto mondiale. Sono passati sei mesi dall'inizio delle ostilità, le truppe tedesche e quelle alleate si fronteggiano in una estenuante guerra di posizione, sotto i colpi del fuoco nemico, della fame, del freddo e della paura. Ma all'improvviso, alla vigilia di Natale, in un luogo imprecisato delle Fiandre, dalle trincee tedesche si levano canti natalizi e cartelli con la scritta "We not shoot, you not shoot". Superata la diffidenza iniziale gli inglesi rispondono con i loro canti e i due schieramenti concordano una tregua di tre giorni ribellandosi agli ordini. Materiali d'archivio, diari, fotografie, lettere hanno consentito a Michael Jùrgs di raccontare questo piccolo e grande miracolo dimenticato dalla Storia.
Per giustificare la propria politica estera, gli Stati Uniti hanno ripetutamente rivendicato un presunto diritto di agire contro gli "stati falliti" del globo, senza rendersi conto di condividerne drammaticamente alcune caratteristiche. Gli stati falliti sono infatti i paesi incapaci o poco propensi a "proteggere i propri cittadini dalla violenza e dalla distruzione" e che si pongono "al di là del diritto nazionale e internazionale". Anche se mettono in pratica alcune funzioni della democrazia, soffrono di un "deficit democratico" che priva le istituzioni del loro potere sostanziale e che mette in serio pericolo i propri cittadini e il resto del mondo: proprio come l'America.