
Che cosa vuol dire credere? Cosa accade quando l'uomo compie un atto di fede? Esso ha sì come motivo ultimo e fondante la Rivelazione, ma, in quanto atto umano, si esprime attraverso il soggetto esistenziale, attraverso la sua storia, i suoi affetti, la sua memoria, la sua libertà e razionalità, la sua apertura radicale al Mistero. Come può, allora, ciò che è infinito trovarsi nell'esperienza limitata della contingenza? Questa domanda nasce nella modernità, nel momento in cui la ragione, sancendo progressivamente la sua autonomia dalla conoscenza metafisica nelle forme della tradizione Scolastica, non riconosce più nella Trascendenza l'unica fonte del sapere e dell'esperienza. Mentre le soluzioni a tale problema sono andate nella direzione di una conciliazione a posteriori dell'aspetto razionale con quello trascendente dell'atto di fede, il nostro autore propone una nuova prospettiva. Individuando nell'interpretazione rahneriana della "consolazione senza causa precedente" (cioè di quella mozione interiore di cui si tratta nelle Regole degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola) la stessa struttura trascendentale dell'atto di fede, lo ricomprende come autoattuazione del soggetto credente nel suo rapporto sintetico-originario con l'oggetto categoriale del credere. Così la tensione-frattura tra aspetto contingente e trascendente della fede viene risolta nel dinamismo della "percezione eccedente" dello spirito umano.
«Il dibattito in Italia intorno a questo tema (per meglio dire: intorno a questa "parola") negli ultimi tempi sembra essersi esaurito come esausto dalle troppe polemiche, come sfinito dall'apparente inutilità di un dialogo tra sordi, come schiacciato dagli usi a volte pretestuosi o ideologici che lo hanno ampliato a dismisura, ma anche apparentemente svuotato di ogni possibilità reale di progresso nel confronto reciproco. Allora perché riattivare braci ormai apparentemente limitate a gruppi particolarmente coinvolti con una traduzione degli atti di un seminario di studi tenutosi in Francia in due tappe, nel 2012 e nel 2014? Serve, sì.... Ne siamo profondamente convinti. Serve per riportare il dibattito al suo luogo originario e proficuo, quello della riflessione pacata e plurale, che si confronta per cercare di capire meglio il mondo in cui viviamo e la sua complessità. Ma a una condizione: che il libro sia come quello che avete per le mani, un testo articolato, serio, complesso anche, ma di interesse indubbio per fare un "punto della situazione" intorno a questa categoria, prendendo in considerazione molti e diversi elementi, senza passionalità né pregiudizi ideologici.» (dalla Prefazione all'edizione Italiana di Stella Morra)
Il volume raccoglie alcuni tra i più significativi lavori di Eugenio Guccione sulla figura e l'opera di Luigi Sturzo e anche sul rapporto con pensatori ed eventi a lui contemporanei. Si tratta di contributi scritti nell'arco di oltre quarant'anni e sparsi, qua e là, in atti di convegni e in riviste scientifiche e divulgative. Essi si inseriscono organicamente, per originalità e innovazione, nella cospicua produzione dell'autore, noto tra i più impegnati e apprezzati studiosi del pensiero politico italiano e francese e del liberalismo e popolarismo di matrice cristiana. Dall'insieme dei contributi, che tornano alla luce in questa edizione, emergono aspetti e caratteristiche dei progetti di società civile e di Stato del fondatore del Partito Popolare Italiano, che, anche nel terzo millennio, continua a sorprendere per capacità creativa, realismo e lungimiranza.
«Non tacerò!», aveva detto don Peppe Diana, e la camorra aveva pensato di ottenerne il silenzio uccidendolo. Dopo 25 anni quel grido «Non tacerò!» risuona su altre bocche e don Peppe parla ancora alla vita della comunità, una testimonianza viva di sacerdote e cittadino tra Chiesa e territorio.
Di fronte alla oggi diffusa ricerca di un padre l'autore propone un itinerario per ritrovare il Padre e il senso di una paternità liberante. Un percorso compiuto a partire dalla rilettura e dal commento delle parole del Padre Nostro grazie alle quali Dio si rivela come Padre-Madre fino alla ricomprensione del senso profondo della relazione così da poter affermare che: «La teologia pretende talora di avere il monopolio su Dio, trascurando tutto ciò che è libero e personale incontro con l'amore del Padre. Ma il Padre non è il Dio dei teologi».
Nell'altro, nel suo mondo e nei suoi vissuti, non bisogna scorgere soltanto negatività o criticità, nell'altro e dall'altro vengono fuori, lasciando che emergano, potenzialità e risorse: nell'altro ci sono io, ci siamo noi, c'è il nostro vissuto, la nostra storia, c'è la nostra umanità. L'altro viene sempre prima di me. Per questo è sempre più urgente e necessario dare il primato all'altro. Prima l'altro! Il che vuol dire, fondamentalmente, prima la persona umana! [...] L'altro prima di me significa che c'è una infinità di cose che mi e ci oltrepassano. Il prima di me è l'affermazione, ma soprattutto l'evocazione e l'invocazione, che allude ad un riferimento e ad un orizzonte per ripensare l'umano in modo sempre più essenziale e radicale. È sempre più necessario e urgente, infatti, nell'attuale contesto culturale, sociale, politico, religioso, ritrovare questa priorità per non abbandonare l'umano che è in noi. Mi pare importante porre all'attenzione di tutti questa priorità che si presenta sempre di più come la vera emergenza, per l'uomo del nostro tempo: se vogliamo ancora rimanere umani occorre riconoscere l'altro in quanto altro, nella sua alterità a partire anzitutto dalla sua precedenza temporale ed ontologica.
Gemma vive circondata dall'affetto dei genitori, ma ben presto resterà orfana e in estrema povertà. Gesù le sarà compagno, guida e conforto negli anni difficili che dovrà affrontare.
Un album per raccogliere i momenti più belli della festa del battesimo. Un posto per fermare sulla carta le foto, i pensieri, i ricordi e gli attimi di vita che sono solo tuoi. Un libro da completare adesso e che ti accompagnerà nel futuro.
In questo libro sono raccolte le relazioni del convegno “La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo” promosso dalla sezione san Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e tenutosi a Napoli il 20-21 giugno 2019. Esso è il risultato di anni di lavoro teso ad elaborare una teologia contestuale che sia capace di discernere i segni dei tempi a partire dall’interculturalità generata dalle migrazioni. In quei segni si rivela l’attualità della parola di Dio e la presenza vivente di Gesù di Nazareth per la costruzione di una società fondata sull’accoglienza, sopratutto delle persone emarginate e deboli, e sul rispetto delle differenze. Il convegno ha registrato la partecipazione straordinaria in qualità di relatore di papa Francesco. Le sue parole indicano ai teologi del Mediterraneo il loro nuovo compito: «La teologia - tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio misericordioso e pietoso” (cf Gn 4,2) - può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria».
Nel periodo della seconda guerra mondiale – dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943 – l’Italia ha vissuto, come buona parte delle nazioni, una tragedia immane: milioni di soldati mandati al massacro, vite spezzate per i disegni criminali di alcuni dittatori, devastazioni immotivate ed irreparabili. Ma per certi aspetti il dramma che si è consumato tra l’armistizio dell’8 settembre e la liberazione dai nazifascisti è stato più incisivo e penetrante nella memoria collettiva del popolo italiano: perché ha portato la guerra “in casa”, dando la stura alla violenza vendicativa. “Il fronte” si è trasferito improvvisamente nel cortile di casa, sul sagrato della chiesa, sotto il portico del comune. Tutti, e non più solo i soldati, cominciarono a vivere nel terrore di essere assaliti e uccisi. Il volume di Alberto Mandreoli documenta in modo impressionante la situazione di quei due anni, nei quali l’Italia del Nord – e nello specifico il territorio del bolognese – visse questo dramma. Le fonti qui raccolte e commentate ruotano attorno alla figura del Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, al quale toccò di guidare l’arcidiocesi di Bologna nel difficilissimo trentennio 1921-1952: vivendo cioè per intero l’ascesa al potere e la dittatura di Mussolini, la seconda guerra mondiale, la Resistenza e la prima ricostruzione post-bellica. Un periodo di tensioni eccezionali ed inaudite rovine materiali e morali. Nasalli Rocca non amava i proclami e le prese di posizione dure, anche perché conosceva per esperienza di quali ritorsioni siano capaci gli aguzzini, verso i deboli, quando avvertono il fiato sul collo di altri “potenti”. E il Cardinale sentiva certamente l’enorme peso morale del suo ruolo. A Nasalli Rocca deve essere riconosciuto il merito di essere rimasto a Bologna durante l’intero periodo della Resistenza; e non stette certo fermo. Le lettere testimoniano il suo costante interessamento per la sorte delle persone che si rivolgevano a lui, direttamente o indirettamente. Intercedeva presso le autorità civili, si interponeva a decisioni ingiuste, cercava i contatti che potessero salvare il maggior numero di vite possibili.