Per secoli i muri hanno raccontato la storia. Oggi che gli dèi sono caduti, e la storia sembra una lunga sequenza di errori, i muri delle città non hanno smesso di essere luogo di celebrazione e di insegnamento. Dove troneggiavano divinità, eroi o eventi del passato, appaiono ora oggetti comuni e di uso quotidiano: la morale a cielo aperto della città contemporanea, la pubblicità, continua a parlarci del bene, ma lo fa attraverso auto, telefoni, rasoi, vestiti, cibo, e quanto siamo abituati a chiamare merci.
Una sintesi delle caratteristiche peculiari e delle vicende che concorrono a definire una civiltà antichissima e complessa come quella indiana. Abbracciando oltre cinquemila anni di storia, il libro dà largo spazio all'origine e all'evoluzione dei tratti forti di tale civiltà (struttura della famiglia e della società, forme delle religioni), e non manca di illustrare il ruolo che essi svolgono nella dinamica realtà dell'India contemporanea.
La cultura è stata vista di volta in volta nei termini di bellezza che rinfranca e nutre lo spirito, oppure come bene economico che arricchisce il nostro benessere materiale, o come base per lo sviluppo di molte industrie creative. Per Santagata, essa ha valore ai fini della qualità della vita, e identifica una società più libera dal bisogno economico e più aperta ai valori della solidarietà, della cooperazione e della fiducia. L'idea innovativa insita in questa visione è che la cultura "per" lo sviluppo non si appiattisce sui mercati e sulle loro regole egoistiche, ma ambisce a promuovere equità e giustizia sociale. Un libro che porta a compimento il lavoro di anni durante i quali l'autore, forte delle esperienze svolte come consulente dei ministeri della cultura italiano e francese, è giunto a formulare la sua proposta di nuovo "Ministero per la cultura".
Il 16 giugno 1743 sulla strada per Siena un giovane servitore in fuga d'amore con la sua bella viene raggiunto dagli inseguitori; ferito da un'archibugiata, morirà pochi giorni dopo. Componendone le spoglie, all'ospedale fanno una scoperta stupefacente: quel garzone già in fama di donnaiolo impenitente è in realtà una donna. Un medico famoso si appassiona al fatto e ne ricostruisce la storia. Caterina Vizzani, questo il suo nome, per otto anni si era finta uomo per poter seguire, al riparo di un'identità maschile, la sua allora illecita inclinazione per le donne. Prendendo le mosse dal circostanziato racconto di questo caso il libro traccia la storia dell'amore fra donne durante gli ultimi tre secoli: di come è stato vissuto ma anche di come è stato interpretato e giudicato dalla religione, dalla scienza, dal diritto.
Nella storia dell'umanità il senso del gusto si è progressivamente raffinato sino a diventare un "sapere che gode e un piacere che conosce". Se è vero che tutti gli animali mangiano per sopravvivere, solo l'animale umano elabora l'atto alimentare come esperienza cognitiva e come linguaggio, fino a trasformarlo in oggetto dell'arte culinaria e delle scienze gastronomiche. Per queste ragioni "saper gustare" è una prerogativa della nostra specie. A partire dai gusti delle scimmie e degli ominidi fino alla nascita della gastronomia come scienza, il libro ripercorre le avventure della facoltà gustativa umana mettendone in rilievo l'ineludibile portata corporea, simbolica ed emozionale.
A partire dalle campagne di guerra che ebbero luogo nel 451 in Gallia e nel 452 in Italia, la fama di Attila come "flagello di Dio" attraverso i secoli si è fatta icona proverbiale. Ma ehi era Attila e chi erano gli unni a cui si associa una così pertinace fama di devastazione e crudeltà? Questo libro racconta con esemplare chiarezza che cosa se ne sa in concreto, come si è formata ed evoluta nel tempo la loro leggenda, sorta quasi subito nell'agiografia cristiana, e come si è differenziata nelle diverse aree europee. Attila il terribile è infatti quello di area italiana, nei paesi germanici figura come re benevolo e generoso, e in Ungheria è addirittura un eroe nazionale.
Sorto nel XV secolo sulle rovine dello stato selgiuchide e di Bisanzio, l'impero ottomano si estende rapidamente sino alle frontiere dell'Austria-Ungheria, in Medio Oriente e nell'Africa settentrionale. Questo volume ne ripercorre la storia politica dalle origini all'apogeo, e poi fino alla sua disgregazione, cominciata già nel XVII secolo e consumatasi nel corso dell'Ottocento, con il risveglio dei nazionalismi balcanici e sotto la spinta imperialista delle nuove potenze industriali. Particolare attenzione è dedicata all'economia, alla cultura, alle arti e al ruolo delle donne nella società ottomana.
A quarant'anni dal suo completamento, la Ostpolitik del cancelliere Willy Brandt continua a rappresentare un esempio di accettazione del tragico passato collettivo tedesco e di riconciliazione con il presente di un Paese diviso. Tuttavia, essa fu anche un laboratorio progettuale orientato alla ridefinizione della futura sicurezza europea e alla promozione di un nuovo ordine di pace per il continente. Dato il suo carattere di accentuata autonomia, la Ostpolitik comportò fasi di dissidio e competizione con la distensione promossa dal presidente statunitense Richard Nixon, incentrata sul dialogo esclusivo con l'Unione Sovietica. Tali processi furono fortemente condizionati dal riaffiorare a Washington di timori e sospetti in merito alla rinnovata intraprendenza della politica estera condotta dalle autorità federali tedesche, a un quarto di secolo dalla fine della Seconda guerra mondiale. Grazie alle fonti d'archivio oggi disponibili, il volume ricostruisce le dinamiche attraverso cui i due processi si influenzarono reciprocamente e posero le basi per la riformulazione della Guerra fredda in Europa, conferendole alcuni caratteri che essa avrebbe conservato fino al definitivo smantellamento della "cortina di ferro" e alla riunificazione della Germania.
Un morbo che ha profondamente influenzato il corso della storia: dalla "peste di Giustiniano", fra VI e Vili secolo, alla peste nera fra XIV e XVIII secolo, alla pandemia che solo cento anni fa fece tredici milioni di vittime in Cina e India. Questo libro ci racconta che cos'è la peste sotto il profilo medico, come è stata identificata, come si è manifestata nel tempo, in che modo la vivevano le persone e con quale politica sanitaria fu contrastata, come ne venne elaborata l'immagine nell'arte e nella letteratura.
L'uomo è davvero un "animale politico" come lo definiva Aristotele? Esistono dei vincoli naturali nei modi di governare degli animali sociali? E se ciò fosse vero, che ruolo svolgono nella crisi che stiamo vivendo? A partire da una critica dell'ingegneria politica di Platone, il libro delinea una biopolitica alternativa fondata sui regolatori naturalistici dell'evoluzione: il linguaggio, la riproduzione e le migrazioni. L'autore mostra come qualsiasi organizzazione politica degli animali sociali non dipenda dalla trasmissione ereditaria dei "buoni geni", ma dall'insieme delle relazioni speciali che si instaurano per massimizzare la cooperazione sociale e l'intelligenza ecologica.