
Una parabola, quella della Compagnia di Gesù (Societas Iesu) che dal fondatore Ignazio di Loyola giunge fino a papa Bergoglio, gesuita argentino. La Compagnia ebbe un ruolo rilevante tra Cinque e Settecento: in particolare nell'istruzione delle élite europee, e nell'intensa opera missionaria di cui è simbolo la fortuna del gesuita Matteo Ricci in Cina. Soppressa nel 1773 e ricostituita nel 1814, essa rappresenta tuttora una realtà assai importante della Chiesa.
Colpevole di amore incestuoso con il padre, la bellissima Mirra viene mutata in albero. Le lacrime che stillano dalla corteccia odorosa sono il profumo che conserva il nome della donna, la mirra. È solo uno dei miti fioriti intorno ai profumi nell'antichità. Destinate agli scopi più diversi, a onorare gli dei o a soddisfare l'olfatto dei re, nel mondo antico le sostanze aromatiche costituivano un aspetto importante della vita quotidiana di sovrani illuminati, imperatori eccentrici, uomini e donne altolocate, ma anche di figure bizzarre, prostitute e parvenu. Tutti erano accomunati dall'uso e dalla passione per gli "aromata", nella forma pura di spezie, o in quella derivata di oli, polveri fragranti e vini aromatici. Sulla scorta delle fonti archeologiche, letterarie ed epigrafiche, il libro ricostruisce l'antica cultura dei profumi, raccontandone la mitologia e le leggende, tracciandone la geografia, studiandone le ricette e le tecniche di produzione.
Dalla grande e discussa risistemazione degli assetti europei e internazionali tentata a Versailles alla fine della Grande Guerra al "nuovo disordine internazionale" in cui stiamo vivendo con la scomparsa del bipolarismo della guerra fredda, il libro propone una nuova visione della storia delle relazioni internazionali contemporanee. Non più in una prospettiva tradizionale di storia diplomatica, ma secondo un'impostazione più inclusiva che non dimentica gli aspetti economici, sociali e culturali, i processi transnazionali e i forti legami fra politica interna e politica estera.
Sulle cause e sugli effetti che scaturiscono dall'incontrollata espansione della proprietà intellettuale è concentrata una parte significativa della recente letteratura giuridica ed economica. Il crescente ricorso all'esclusiva in chiave strategico-opportunistica, sotto forma di ostacolo all'innovazione sequenziale (anticommons e thicket) piuttosto che di leva finanziaria da azionare nelle contrattazioni (trolls), incrina il legame fra appropriazione, innovazione e diffusione della conoscenza minando le ragioni stesse della proprietà intellettuale e rendendo ineludibile una riflessione critica sulla tradizionale giustificazione economica che accompagna i diritti di proprietà intellettuale.
Cercare l'uomo significa per Francesco Calvo porsi la domanda fondamentale: "Che cosa comporta la dottrina aristotelica della sostanza per la realtà dell'essere umano?". Essa nasce da una posizione metafisica, secondo cui l'"opera propria" dell'uomo deve essere ricompresa nell'ordine dell'essere sostanziale. Di conseguenza "l'etica si radica nell'antropologia e questa nella metafisica". Contrariamente al pensiero oggi corrente, infatti, l'etica non è un sapere autosufficiente e neppure, semplicemente, una prassi: la questione del bene umano deve convalidarsi nel confronto sul bene in sé. Platone, raccogliendo l'eredità socratica, ne elabora la fondazione oggettiva nei termini ontologici della sua dottrina del Bene, proponendo come vie dell'ascesa ad esso i due metodi della dialettica e dell'erotica. Ma è solo Aristotele che porta a compimento l'impresa, ricostruendo la figura integrale del bene come reciprocità del proprio e del comune. Con lui il bene, senza perdere il suo carattere di oggettività, risulta pienamente radicato nella sfera dell'interesse proprio. Questo però è possibile solo attraverso un "procedimento articolato" dell'analisi che, muovendo dalla domanda sull'uomo, attraversi gli stadi della psicologia (dottrina dell'anima e delle sue funzioni) e della metafisica. "In questo modo è "tra" Socrate e Platone scrisse Paul Ricoeur nella prefazione - che Francesco Calvo ha esercitato quell'arte della tessitura in cui senz'altro eccelle".
Fra Duecento e Trecento i mongoli costruirono un vastissimo impero che andava dalla Corea alla Russia, dalla Cina alla Siria. Nel giro di tre generazioni, da conquistatori sanguinari essi si trasformarono in saggi amministratori come pure in mecenati dell'arte e della cultura. La pace e lo sviluppo Favorirono gli scambi commerciali con gli altri popoli, compresi gli europei, ponendo le basi della storia euroasiatica moderna.
L'Italia vive da tempo una questione della lingua che tocca problemi d'identità e orgoglio nazionali. Ma il dominio dell'inglese è ormai un dato di fatto. Il linguaggio quotidiano ne fa un uso disinvolto e invasivo, mentre sempre più numerosi sono i corsi universitari tenuti in lingua inglese. Che cosa implica per il nostro patrimonio culturale l'ascesa dell'inglese come lingua veicolare? Un destino di subalternità? O viceversa l'opportunità di un arricchimento? Sul tema discutono uno storico contemporaneo e un italianista. Il primo prende atto del tramonto delle lingue nazionali come lingue scientifiche, ma coglie in questo processo anche la possibile, vitale affermazione di un plurilinguismo europeo. Il secondo difende con vigore l'uso dell'italiano a tutti i livelli, come dispositivo utile a promuovere una comunicazione diffusa e non solo d'élite.
Che cosa dico quando dico "io credo". Il primato della parola, la fede nell'amore: è ciò che hanno in comune il credente che prega e il paziente che si affida all'analisi. Mossi da una sofferenza che prende i toni ora dell'ansia di compiutezza e perennità, ora del disagio esistenziale, entrambi investono nell'altro, nella speranza di riceverne una rivelazione pacificante e salvifica. Ma le loro esperienze, per un tratto così vicine da coincidere quasi, si divaricano e giungono ad approdi interiori radicalmente diversi: la perpetua fusione spirituale in un caso, l'apprendimento della separatezza e della perdita nell'altro.
In confronto, Berlusconi era normale. Coi suoi doppiopetto, la sua faccia fintamente pensosa, la sua commovente devozione alla "bienséance". Ma Renzi? La camicia bianca con le maniche rimboccate, l'uso aggressivo dei social network, l'imitazione di Fonzie, la doccia gelata per i malati di SLA, l'eloquio infarcito di cool, smart e storytelling... In meno di un anno, Matteo Renzi ha cambiato lo stile e il linguaggio della politica italiana. Tra interviste, comizi, talk-show, libri scritti da lui o dai suoi ghost-writer, ce n'è ormai più che abbastanza per una fenomenologia: quella che Claudio Giunta ha affidato a questo saggio esilarante, spietato e, insieme, sorprendentemente simpatetico.
Le vicende linguistiche fanno da guida nella storia e nella cultura italiana: dalla frammentazione medievale alla subalternità rispetto al latino umanistico, dalla codificazione cinquecentesca alle nuove esigenze della società moderna (scienza, economia, pubblicistica), dalla nascita dello stato unitario e dei mezzi di comunicazione di massa - con la generalizzazione dell'uso dell'italiano e il rapido declino dei dialetti - alle tendenze evolutive odierne. Fino al primo Novecento lingua nobilmente letteraria, lontana dalla vita quotidiana della maggioranza della popolazione, ora lingua sottoposta alle tensioni che sempre accompagnano le fasi di allentamento della norma grammaticale, l'italiano è specchio fedele del paese e delle sue contraddizioni.

