
“Un doloroso e frantumato itinerario nel cuore di una donna incompiuta” il venerdì di Repubblica
Parigi. È qui che la passione per la danza ha condotto Alice, acrobata di un’esistenza precaria come la maggior parte dei suoi coetanei: la generazione senza futuro, quella immersa in un eterno presente che si sente derubata da chi l’ha preceduta. Il suo vivere fuori squadra e senza radici è in parte anche una sfida alla madre – insigne grecista, con alle spalle brucianti passioni politiche e un presente di dolenti disillusioni –, da sempre convinta che l’unico antidoto al caos e alle brutture del mondo sia la bellezza. Dopo uno scontro feroce, la madre si accascia. A Napoli, dove la riportano in coma, quel corpo diventa per Alice uno scrigno di memoria e un enigma. Il ritorno a Napoli coincide per lei con il ritorno nella casa della sua infanzia, dove è costretta a una difficile convivenza con il padre, chiuso in una scontrosa solitudine. In quel grande appartamento, la vita torna comunque a sussurrare parole: c’è da scoprire chi è stata veramente quella donna così passionale che ora “dorme”, c’è da preparare una dipartita che chiama sulla scena fantasmi d’amore.
Iaia Caputo scava nel cuore di una figlia per arrivare al grande cuore di sua madre, per ripercorrere la catena dei giorni e dell’accadere, perché capita che infine sia il dolore a insegnare l’arte di vivere.
Furono marinai, schiavi, soldati, plebaglia, ma anche gruppi organizzati come i pirati e gli affiliati a sette religiose radicali gli eroi di una guerra di classe che si protrasse tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Settecento e la cui "storia dal basso" Rediker e Linebaugh ricostruiscono in questo libro. La scoperta di nuove rotte marittime verso le Americhe e le Indie Orientali segnò una nuova fase storica. Furono aperte vie commerciali, fondate colonie, avviata una nuova economia transatlantica, organizzate forze lavoro per produrre ed esportare lingotti d'oro, pellicce, tabacco, zucchero e manufatti. Tutto ciò rendeva vitale il controllo capillare delle popolazioni e dei territori espropriati e il pugno di ferro sulle moltitudini di diseredati impiegati nelle piantagioni, nei porti, sulle navi, nei suburbi manifatturieri. Debellare, estirpare, trucidare, sterminare, liquidare, annichilire, estinguere qualsiasi segno di rivolta: fu questa la parola d'ordine. Eppure la ribellione, come per esempio all'inizio del Settecento nella città di New York, esplose violenta a più riprese nei porti dell'Atlantico, dando vita a una nuova consapevole classe organizzata, a una moltitudine multietnica, libertaria e ribelle. Il libro racconta la storia perduta di questa classe proletaria e cosmopolita e del suo ruolo nella nascita della moderna economia globale.
“Nessuno è autorizzato a parlare al Timoniere. E il Timoniere non è autorizzato a parlare con nessuno”
Lewis Carroll pubblicò La caccia allo Snark nel 1876. Un fantastico racconto epico nel quale i dieci protagonisti, i cui nomi iniziano tutti per B, spariscono, si dileguano, impazziscono, trovano se stessi percorrendo un’improbabile rotta attraverso un mondo fatto solo di nonsensi: un poemetto eroicomico concepito sul concetto della doppiezza, dell’ambiguità, dell’inafferrabilità. Lo stesso nome Snark coniuga in sé due animali tra loro molto distanti, eppure per qualche misteriosa ragione simbolicamente associabili: lo shark (lo squalo) e lo snake (il serpente). Lo Snark è il non-visibile, il non-rappresentabile, che tuttavia, con stupore e terrore, percorre tutta l’esistenza. In questo poemetto, destinato a diventare uno dei punti di riferimento del surrealismo, il lettore è messo di fronte allo sviluppo autonomo di dimensioni simultanee. Più volte sollecitato a dare spiegazioni sul senso di questo suo lavoro, solo una volta Carroll si limitò a dire che è un’allegoria sulla ricerca della felicità.
Il poemetto è stato adattato in musical e a teatro ma ha ispirato anche episodi televisivi, videogame e filmati di animazione giapponese, oltre ad altri scrittori, quali Jack London (The Cruise of the Snark) e C.S. Lewis.
“Vi siete mai arrampicati su un albero di mango?
La scimmietta Mambi lo faceva ogni giorno, perché quella era la sua casa. Mambi viveva sul mango più alto nel cuore della foresta.”
Una storia tenera e educativa che racchiude un grande insegnamento: non desiderare mai di essere qualcun altro, perché ognuno di noi ha un dono che lo rende speciale e unico.
Chi racconta ha temporaneamente perso la memoria a causa di un forte trauma. Ricoverato in una clinica in Alaska, su di lui sono state rinvenute persistenti tracce radioattive e il dottor Mills, che lo ha in cura, si convince che l’uomo sia sopravvissuto a un disastro nucleare. Grazie ai frequenti dialoghi con lo psichiatra, in lui riaffiora il volto di una donna, sempre più insistente: non ricorda il suo nome, ma sente di averla amata. In seguito gli tornano alla mente voci e suoni di una città distrutta – che nel romanzo non ha nome, ma è facilmente identificabile con Pripyat, la più vicina al reattore di Chernobyl. Il bisogno di recuperare la propria identità e la speranza di incontrare quella donna misteriosa lo spingono a fuggire dalla clinica per tornare nei luoghi dove è intrappolata la sua memoria. Nella città apparentemente abbandonata, il protagonista incontra persone in cerca di risposte, tra case deserte piene di ricordi altrui, prati vetrificati e la Centrale che domina la città come un grande mostro dormiente. Nella zona contaminata nuovi ricordi vengono a galla, legati alla donna amata, ma anche a un carissimo amico in comune. Riemergono frammenti del tempo perduto, discussioni appassionate sui libri prediletti, le partite a scacchi, le passeggiate, il lavoro alla Centrale. Tuttavia gli oggetti sembrano restituirgli anche un passato colpevole, l’ombra di un tradimento che si allunga sino al giorno dell’incidente nucleare, ripercorso nel suo drammatico crescendo. Matteo Fontana dà vita a un flusso narrativo ipnotico, denso e metaforico, che cattura il lettore e lo trascina, insieme al protagonista, verso l’unica possibile espiazione.
La storia si sviluppa nel breve lasso di tempo di un weekend, che la protagonista e principale voce narrante trascorre nella casa delle vacanze della sua infanzia in procinto di essere ceduta ai nuovi proprietari. L’addio alla casa si dilata in una sequenza caotica di aneddoti e di ricordi relativi al passato drammatico della sua famiglia: c’è il fratello sordomuto nato da una relazione extraconiugale della madre che il padre ha accettato annegando la delusione nell’alcolismo, un altro fratello che si suicida traumatizzato al ritorno dall’Angola. E ci sono le vicende passate e presenti della protagonista: l’adorata amica d’infanzia che ritrova nella veste di una scostante dottoressa quando viene operata di un tumore al seno, il matrimonio infelice con un uomo mediocre, l’insoddisfacente relazione lesbica con una collega e il desiderio di farla finita come il fratello, gettandosi dalla scogliera. Intorno, tutta una galleria umanissima di personaggi secondari e, come sempre nei romanzi di Lobo Antunes, oggetti e animali che assumono temporanee valenze antropomorfe per farsi a loro volta partecipi delle vicende umane.
Reduce da un divorzio, senza un soldo in tasca, vicino alla pensione, trasandato e sovrappeso nonostante i tentativi di stare a dieta, il detective della Squadra Omicidi di Miami Hoke Moseley è pieno di casini. Il capo gli ha sbolognato una valanga di casi irrisolti sulla scrivania. Dovrebbe istruire la sua nuova collega di origine cubana, Ellita Sanchez, giovane e voluttuosa, che però attraversa un momento esistenziale ancora più complicato del suo. L’ex moglie gli rispedisce le due figlie con una lettera accompagnatoria che non prevede replica. E, problema per niente irrilevante a Miami, deve trovare casa. Poi viene chiamato a indagare sulla morte per overdose di un ragazzo e quello che sembrava un caso di routine rischia di trasformarsi in qualcosa di diverso: l’avvenente matrigna della vittima è infatti ansiosa di portarsi a letto Hoke e lui si chiede se questa non sia la soluzione a tutti i suoi problemi. O forse è solo l’inizio di una catena di eventi ancora più imprevedibili e sfortunati?
Si può raccontare la storia di una relazione naturale, eppure così densa di arcaiche ambiguità, come quella tra una figlia e suo padre? Una storia antica come l’umanità, che parla di rapporti reali, ma anche di ordine simbolico.
Nel 1968 un’intera generazione di donne si è interrogata su che cosa significasse ribellarsi all’autorità paterna, con una rivelazione sorprendente. Per nessuna di queste donne la ribellione era abbastanza. Dei loro padri non potevano buttare via l’eredità affettiva. Per essere adulte ciascuna doveva affrontare nel proprio padre la contraddizione di chi rappresenta sia l’autorità da sfidare, sia l’amore che offre guida e protezione.
“In questo libro”, scrive Maria Serena Sapegno, “volgiamo lo sguardo necessariamente indietro, agli archetipi che la modernità rilegge e da cui è ossessionata, per ricostruire la lunga storia che porta fino a noi, in un percorso non omogeneo né evolutivo.” Per raccontare questa storia, Sapegno si rivolge alle scrittrici e agli scrittori che di questo rapporto ancestrale hanno fatto il cuore della propria indagine umana ed esistenziale. Lungo un percorso eterogeneo e scosceso – pieno di esitazioni e interruzioni, ma anche di grandi conquiste – incontriamo Eva, Antigone e Cordelia, figlie ribelli che violano le leggi dei padri e resistono alla loro autorità. Entriamo nei romanzi delle più celebri autrici della letteratura occidentale, da Jane Austen a George Eliot, a Virginia Woolf, e ci scontriamo con la crisi epocale messa in scena da Philip Roth in Pastorale americana. Perché dopo il Sessantotto, quando le figlie “non hanno voluto diventare come la madre e hanno sfidato il padre, di cui hanno messo in discussione tutti i valori”, trovare una voce propria è ancora più difficile.
“Il rapporto tra padre e figlia parla dell’autorità e dei limiti del Potere, del rapporto tra natura e cultura, della legge e della morale. E, attraverso diverse figure di figlie ribelli come Eva, Antigone e Cordelia, parla di resistenza all’autorità, di trasgressione.”
Qual è il momento in cui una figlia smette di essere tale e diventa una donna?
“L’economia italiana è cresciuta poco negli ultimi vent’anni. Ha accelerato un po’ nel 2017, ma hanno accelerato anche tutti gli altri paesi. Se fosse una corsa ciclistica, sarebbe come rallegrarsi di andare più veloci senza accorgersi di avere iniziato un tratto in discesa. In realtà, anche in discesa il distacco dal gruppo sta aumentando.”
Perché l’economia italiana non riesce a recuperare? Secondo Carlo Cottarelli esistono alcuni ostacoli molto ingombranti. Sono i sette peccati capitali che bloccano il nostro paese: l’evasione fiscale, la corruzione, la troppa burocrazia, la lentezza della giustizia, il crollo demografico, il divario tra Nord e Sud, la difficoltà a convivere con l’euro.
Quali sono le cause di questi peccati? Davvero commettiamo più errori degli altri paesi? Ma, soprattutto, ci sono segnali di miglioramento e speranza per il futuro?
Dopo un’esperienza decennale da dirigente del Fondo monetario internazionale, Cottarelli torna in Italia e risponde a queste domande con un linguaggio semplice ma rigoroso. Dimostra che se i segnali positivi sono ancora parziali e moltissimo resta da fare, la precarietà che impedisce la nostra ripresa non è legata a un destino che siamo costretti a subire.
Un saggio necessario che guarda al futuro con realismo, ma anche con una consapevole fiducia. Correggere i nostri errori e smettere di peccare è ancora possibile.
Ecco perché nel nostro paese la crisi sembra non finire mai.
La scienza è diventata un crimine.
La vera medicina è stata bandita.
Hanno vinto "loro".
Ma una madre non si arrende. Non ancora.