Chi era Gesù? Per alcuni era un contestatore politico, un rivoluzionario, per altri era il Messia, il figlio di Dio. In lui si riponevano in ogni caso immense speranze, e ancora oggi la sua figura e i suoi insegnamenti hanno un peso enorme nella coscienza collettiva. Com'è possibile? Per arrivare al cuore del segreto di quest'uomo, Alois Prinz accompagna il lettore in un viaggio nella Palestina di oltre duemila anni fa, un paese dominato da una forte inquietudine politica e sociale, per comprendere meglio quali fossero e da cosa nascessero le aspettative del popolo ebraico nei confronti di Gesù. Il viaggio si articola dunque in undici tappe che narrano del potere degli occupanti romani e di governatori spietati come Erode il grande, dei disordini che seguirono la sua morte e della spartizione del suo regno tra i figli, del ritorno a Betlemme di Giuseppe e Maria e della nascita del Salvatore, la cui figura diviene realmente centrale solo dal quarto capitolo in poi, quando si racconta del suo ritrovamento nel tempio di Gerusalemme, dove si era intrattenuto per tre giorni a conversare con i dottori della legge. Età di lettura: da 12 anni.
Le tribolate vicende di questo romanzo, ambientato tra il Pakistan e l'Afghanistan invaso dagli americani dopo l'11 settembre, si snodano sullo sfondo di un giardino incantato, come ad assorbire la violenza di ciò che accade intorno, contrapponendo l'innocenza della natura alla crudeltà degli uomini e alle loro guerre insensate. Il giardino appartiene al vecchio Rohan, saggio e devoto musulmano che ha costruito un'oasi di pace nella città pachistana di Heer - una scuola aperta ad allievi di ogni credo religioso nel tentativo di allargare gli orizzonti di giovani altrimenti facili prede del fondamentalismo islamico nelle madrasse. Ma le speranze di Rohan di porre un freno alle violenze della guerra che infuria oltreconfine saranno tragicamente deluse: i suoi stessi figli, Jeo e Mikal - partiti in segreto per l'Afghanistan per contribuire alla liberazione del paese dalla tirannia talebana -, vengono rapiti dai fondamentalisti e costretti a partecipare alla jihad, a combattere contro il popolo che avrebbero voluto difendere. Mentre Rohan pota le rose del giardino, Jeo viene ucciso e Mikal è venduto agli americani dal signore della guerra che lo ha catturato. Dopo essere stato internato in un campo di prigionia americano, il giovane cercherà di fuggire attraverso il deserto afghano.
I giovani senza lavoro, i giovani senza ambizioni, i giovani senza valori, i giovani senza futuro. Sono davvero così le nuove generazioni? Stefano Laffi pensa di no e intende spostare il fuoco dell'analisi da come sono e come stanno i giovani a come sono e come stanno gli adulti riflettendo sul mondo che hanno creato per i loro figli. Sono gli adulti i responsabili della condizione dei giovani: dalla culla alla scuola, dall'università all'interminabile precariato lavorativo, il mondo degli adulti progetta e produce le nuove generazioni per soddisfare i propri bisogni e le proprie aspirazioni. Prima bambini capaci di saziare il narcisismo dei padri, poi adolescenti consumatori di esperienze e prodotti suggeriti da un marketing onnipresente, infine stagisti da reclutare e dismettere a seconda dei volubili trend del mercato. E al primo malessere, una pletora di esperti. Perché l'eterno limbo in cui oggi sopravvivono molti giovani garantisce lo status degli adulti, la loro economia schiavistica, la loro psicologia egocentrica, in una parola il loro potere: la condizione giovanile è il risultato di una vera e propria congiura. Stefano Laffi capovolge una lettura tradizionale e colpevolizzante del disagio giovanile e denuncia le cause che hanno portato a questo disagio, svelando le logiche che lo governano, gli interessi che lo rafforzano, i meccanismi che lo perpetuano. E suggerisce la via d'uscita, che libera tutti, adulti compresi, da una società sterile, mortifera.
1995, campo profughi di Shatìla, Libano. All'ospedale Galilea viene portato, in coma, un anziano combattente per la liberazione della Palestina che in gioventù aveva fatto da padre putativo al medico-infermiere che ora lo assiste, il dottor Khalìl. Rifiutandosi di lasciarlo morire, Khalìl decide di curarlo con la terapia della parola e si lancia in un lungo racconto che, coprendo un arco temporale di oltre cinquant'anni, ripercorre la vita dei due uomini ora chiusi nella stanza d'ospedale. Alle tappe del leggendario amore che ha unito Yùnis il fedayin alla moglie rimasta in Galilea e diventata cittadina israeliana "La porta del sole" affianca le vicende di tutta un'umanità che ha subito la Storia senza lasciare traccia di sé. "Bisogna riconoscere ad ognuno il diritto di raccontare la propria storia," scriveva il grande poeta Mahmùd Darwìsh e a quest'imperativo, con mano ferma, "La porta del sole" risponde. Denunciando ogni forma di vittimismo, abbandonando ogni retorica volta a mitizzare eroismo e martirio e ammettendo le debolezze della sua gente senza per questo screditarla, Elias Khoury riesce nella difficile impresa di raccontare i palestinesi in quanto individui e non soltanto la loro causa. Dal romanzo nel 2004 il regista egiziano Yousri Nasrallah ha tratto il film che porta lo stesso titolo.
Una ragazza bonaerense bellissima, destinata a diventare l'Emmanuelle argentina, fugge in Spagna inseguita dai militari. Anni dopo, il cadavere di una barbona assassinata viene ritrovato a Barcellona. Carvalho, insieme al fidato Biscuter, dovrà chiarire inquietanti misteri che coinvolgono il giudice Garzón, l'ispettore-semiologo Lifante, tutta una serie di emarginati e un nucleo di alleanze segrete tra diversi stati. La Barcellona crepuscolare del Barrio Chino sta ormai diventando la città del design mentre, un po' dappertutto, nuovi cadaveri spuntano come funghi velenosi. E, sempre presente, il tango. A dieci anni dalla sua scomparsa, torna Manuel Vázquez Montalbán con un romanzo inedito della serie Carvalho, quasi un prologo al "Quintetto di Buenos Aires", ritroviamo qui personaggi, stile e temi ricorrenti nell'opera di Manuel Vázquez Montalbán, come la buona cucina, la figura di Pepe antieroe sexy, o il Biscuter consigliere-intellettuale-modernizzatore.
Si tratta di un monologo che mette in scena l'appassionata esistenza di Frida Kahlo "detta" dalla protagonista dal vertice estremo dei suoi giorni. Mentre corre verso la morte, Frida torna ai patimenti della sua reclusione forzata (ripetutamente ingessata e condannata all'immobilità), ai suoi lucidi deliri artistici di pittrice affamata di colore, alla sua relazione con Diego Rivera. In poche pagine c'è il Messico, c'è il risveglio dell'immaginazione, c'è la storia di una donna, c'è la rincorsa di una passione mai spenta per un uomo. La sintesi infuocata di un'esistenza.
Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l'interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. Su un tavolo della Biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo e interpretando eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l'incontro fra Attila e papa Leone. È riuscito anche a elaborare una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile "insofferenza dell'insicurezza", che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Luigi Martinetti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità, sospesa tra aspirazioni intellettuali e esposizione al fallimento, si lascia contaminare dall'imprevedibilità dei rapporti umani, ivi comprese l'intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e l'inspiegabile tenerezza per il figlio di lei. Solo l'amico Giuseppe estroso insegnante affetto da una malattia genetica che lo getta in ricorrenti crisi depressive - riesce a tenere accesa la sua vocazione e a comunicargli una sorta di profonda serenità. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla.
Fin dall'infanzia, il protagonista di questo romanzo rivela un'estrosa inventiva nella ricerca della felicità: e se alle volte, come in occasione della memorabile vincita al casinò di Campione, la fortuna favorisce le sue intuizioni, altre volte è lui a forzarle la mano, per esempio con il ricatto innocente grazie al quale entra in possesso dela prima bicicletta a dodici anni. Il romanzo narra le vicende di un talento sempre in lotta con la fortuna, di un personaggio ora candido e sensibile, ora sventato e disonesto sullo sfondo dell'Italia degli ultimi quarant'anni.
Un vecchio criminale di guerra vive con sua figlia, divisa tra la repulsione e il dovere di accudire. Lui è convinto di avere per unico torto la sconfitta. Lei non vuole sapere i capi d'accusa perché il torto di suo padre non è per lei riducibile a circostanza, momento della storia. Insieme vanno a un appuntamento prescritto dalla kabbala ebraica, che fa coincidere la parola fine con la parola vendetta. Pretesto sono le pagine impugnate da uno sconosciuto in una locanda.
"La coscienza di Zeno" (1923), uno dei capolavori della letteratura europea del Novecento, è la tragicomica vicenda di un "inetto a vivere", che, su sollecitazione del proprio psicanalista, ripercorre le tappe della sua oscillante e inconcludente esistenza punteggiata dai ripetuti, e inutili, tentativi di smettere di fumare. Zeno Cosini è una specie di marionetta tirata da fili che, quanto più indaga, tanto più gli sfuggono. È schiacciato da un destino che sembra ineluttabile: desideroso dell'Ordine, è sommerso dal Caos; alla infantile ricerca di certezze, si ritrova compiaciuto funambolo sul filo oscillante della catastrofe personale e familiare. Introduzione di Franco Marcoaldi.