Sì, anche i bambini sono sotto stress! E spesso lo traducono diventando essi stessi fonte di stress per gli adulti che se ne occupano. I bambini di oggi appaiono agitati, dispersivi, con problemi di attenzione e di concentrazione, ansiosi o insicuri, difficilmente rilassati. La meditazione però può aiutarci a crescerli più sereni e presenti e a far sbocciare le loro potenzialità. Con semplicità, questo libro illustra le diverse tecniche meditative, i processi fisiologici e neurologici implicati e i vantaggi che ne derivano. Nella seconda parte, la teoria si fa concreta e tutti gli interrogativi pratici trovano una risposta. Un ricco capitolo conclusivo propone meditazioni guidate originali e appositamente concepite per fasce d'età e problematiche (iperattività, ansia, sviluppo della creatività e così via), rispettose dei tempi dei bambini, facili da insegnare, adatte al nostro mondo occidentale, piacevoli da fare e "pronte all'uso". Che siate genitori, zii, nonni, insegnanti, educatori o terapeuti dell'infanzia, avrete a disposizione uno strumento semplice eppure efficace, privo di controindicazioni, che ha dato risultati straordinari e riconosciuti anche dal mondo scientifico e permetterà una qualità di vita migliore a voi e ai vostri bambini! In questo libro, il lettore viene guidato un passo alla volta ad apprendere come accompagnare i bambini nell'esperienza della meditazione, trovando risposta a numerose domande.
Ormai i giovani danno per scontato che le uniche possibilità di cominciare a lavorare saranno temporanee e poco garantite, mentre molti lavoratori stanno facendo i conti con la possibilità che tutta la loro vita professionale sia all'insegna della precarietà. Ma cosa significa questo per la società nel suo insieme? Dopo aver presentato il precariato come classe di massa emergente, e potenzialmente pericolosa per la stabilità politica, nel suo precedente libro ("Precari. La nuova classe esplosiva"), Guy Standing compie qui un passo ulteriore, approfondendo il discorso sul tipo di politiche progressiste necessarie per ridurre le ineguaglianze e l'instabilità caratteristiche dei precari nelle nostre società. Le idee di Standing sulla condizione, sempre più globale, dei precari e le conclusioni a cui è giunto sono state ampiamente riprese da intellettuali come Noam Chomsky e Zygmunt Bauman, da attivisti e uomini politici. In questo autentico programma politico per una nuova sinistra, ricorda come i diritti, politici, civili, sociali ed economici, siano stati negati al precariato, favorendo nuove forme di sfruttamento e mettendo a rischio la democrazia, e sottolinea la necessità di riconsiderare la nozione stessa di "lavoro", il fondamento del contratto sociale e l'idea di cittadinanza. Mettendo al centro di questo suo manifesto dei diritti di libertà, sicurezza ed eguaglianza, il tema, caldo e ineludibile anche in Italia, del reddito minimo garantito.
Come si definisce l'eredità nel campo del pensiero e della filosofia? Qual è il lascito ideale di uno dei più importanti filosofi italiani del secolo scorso come Enzo Paci? Il rapporto tra maestro e allievo rivive nel ricordo dell'erede Carlo Sini, per il quale Enzo Paci (1911-1976) è stato uno dei più significativi e originali filosofi italiani della seconda metà del Novecento. Allievo di Antonio Banfi, ha insegnato nelle Università di Pavia e di Milano. Già nei primi anni quaranta si segnalò, con Luigi Pareyson e Nicola Abbagnano, come protagonista dell'esistenzialismo italiano. Seguì la fase del "relazionismo" con la fondazione della rivista "aut aut" nella quale la filosofia dialogava a tutto campo con l'arte, la letteratura, l'architettura, la scienza, l'economia. Fu allora che Paci ripropose la fenomenologia husserliana come filosofia guida del nostro tempo, coniugandola negli anni sessanta con il marxismo umanistico, in collaborazione con Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty. In questa fase, culminata con la pubblicazione del capolavoro di Paci ("Funzione delle scienze e significato dell'uomo", del 1963), si colloca la collaborazione di Carlo Sini, allievo e assistente di Paci alla Statale di Milano e poi suo successore dal 1976. Sini in questo libro ripercorre, sul filo della memoria, il suo rapporto con il maestro e con l'eredità culturale e umana che ne è derivata.
Antonio Gramsci è, più di ogni altro, autore fecondamente "inattuale", dissonante rispetto allo spirito del nostro presente. A caratterizzare il rapporto che l'odierno tempo del fanatismo dell'economia intrattiene con Gramsci è, infatti, la volontà di rimuoverne la passione rivoluzionaria, l'ideale della creazione di una "città futura" sottratta all'incubo del capitalismo e della sua mercificazione universale. Risiede soprattutto "nell'attuale inattualità" della sua figura la difficoltà di ogni prospettiva che aspiri oggi a ereditare Gramsci e ad assimilare il suo messaggio: ossia ad assumere come orientamento del pensiero e dell'azione la sua indocilità ragionata, fondata sulla filosofia della praxis dei "Quaderni". Essa trova la sua espressione più magnifica nella condotta di vita gramsciana, nel suo impegno e nella sua coerenza - pagata con la vita - nella "lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo". Critica glaciale delle contraddizioni che innervano il presente e ricerca appassionata di un'ulteriorità nobilitante costituiscono la cifra del messaggio dell'intellettuale sardo: l'ha condensato lui stesso nel noto binomio del "pessimismo dell'intelligenza" e dell'"ottimismo della volontà". Ereditare Gramsci significa, di conseguenza, metabolizzare la sua coscienza infelice e non conciliata, la passione durevole della ricerca di una felicità più grande di quella disponibile.
"Conservare una lettera è come cercare di preservare un bacio" diceva John Cheever per esortare parenti e amici a gettare quelle che lui scriveva. E proprio perché convinto che i destinatari gli avrebbero dato ascolto, il Cechov dell'America suburbana ha confidato per lettera pensieri e timori, eventi importanti e cose di tutti i giorni, e lo ha fatto con un candore, una freschezza, un senso dell'umorismo, una verità che non si riscontrano neppure nei diari. Recuperata e riunita dal figlio dello scrittore, la corrispondenza di Cheever può essere considerata a tutti gli effetti un'autobiografia involontaria, e per questo più sincera e incantevole di una normale autobiografia.
L'insieme di questa storia di iniquità e violenza del potere, di dolore e di vergogna delle vittime, conferisce all'umana amministrazione della giustizia, smarrito ogni senso religioso, ogni riferimento ideale alla giustizia superiore di "chi solo sa", un che di orribilmente fragile e precario. L'indignazione, nel Manzoni, non è solo morale, ma comprende una sua partecipazione commossa di fronte alla sorte toccata agli umili, di molti altri dei quali si occupa, assorbiti dalla "favola", impigliati in quella rete di delazioni e invenzioni. Ha scritto Carlo Bo: "L'operetta è un miracolo di logica del male, di qui il doppio piacere della lettura: in effetti il lettore è chiamato a seguire il giuoco tortuoso, seppure trasparente, delle varie soluzioni e dei tanti passaggi e, nello stesso tempo, a prender atto della logica invincibile della corruzione che porta l'ingiustizia gabellata per opera di giustizia". Prefazione di Maurizio Cucchi.
"Non è facile amare Franti, è più facile espellerlo dalla scuola, il maestro di Enrico Bottini lo fa. Niente di straordinario. La scuola è così, perde continuamente ragazzi. È il suo modo di affacciarsi sull'abisso della disuguaglianza e ritrarsi. Ci stiamo ritraendo anche noi, di nuovo, dopo una stagione in cui abbiamo fatto a Franti molte promesse: un mondo che potesse contenerlo, una scuola che lo inglobasse dandogli un'istruzione di qualità elevata, una comunità che mettesse a frutto la sua infrazione per vedersi e criticarsi. All'intelligenza diffusa e insoddisfatta che noi stessi abbiamo allevato, spesso malamente, reagiamo come in Cuore: quando essa non si lascia abbracciare, la allontaniamo impauriti e disorientati. Con la differenza che De Amicis, dopo lo sforzo di combinare una macchina narrativa che avesse una qualche coerenza di fronte alla disuguaglianza e allo sfruttamento, scavalcò i Bottini e si fece socialista a suo modo, onestamente, nel 1891. Noi invece, che ormai non sappiamo offrire altro ai diseredati del pianeta se non l'ingerenza del manesco Garrone o una solidarietà elemosinante e piena di tatto, sembriamo tornare ai Bottini. L'infrazione Franti ci appare ingovernabile, come ai Padri e ai Figli di Cuore." (dall'Introduzione di Domenico Starnone)
Un uomo che per vivere ha bisogno di riflettersi nella percezione altrui un giorno si trova d'improvviso di fronte un sosia, come fosse il suo riflesso nello specchio, e non si capisce se sia un'allucinazione schizofrenica o una realtà inquietante. Prefazione di Olga Belkina.
"La tragedia greca ha saputo articolare, a più riprese e con implicazioni differenti, il linguaggio della sofferenza e la rappresentazione di corpi umani stretti dalla morsa del dolore, feriti e piagati fino agli estremi limiti della sopportazione. Meno consueta è la rappresentazione diretta di un corpo divino che, nell'impossibilità di agire, occupa lo spazio con l'ostensione di una pena indicibile e inaggirabile. Il criminale è Prometeo, riconosciuto colpevole da Zeus, considerato un nemico dagli altri dei che si raccolgono intorno al trono olimpico del figlio di Crono. La partita si gioca crudamente tra pari, tra soggetti che appartengono ad una stessa dimensione. La società divina, nella persona del suo re, espelle e condanna un suo membro che ha rotto gli equilibri, che ha infranto un ordine e un patto di governo. Prometeo ha commesso un torto dispensando onori e privilegi che erano un possesso celeste. Ha rubato il fuoco per darlo agli uomini. Ma la crisi che tale iniziativa innesca non si misura a partire dai soggetti mortali che vengono beneficati: gli uomini restano, essenzialmente, fuori campo e fuori scena. Il dramma si muove in una sfera superiore: il teatro degli dei è un teatro di signori che disputano, fra loro, per il potere e la supremazia, che regolano i loro conti con la ferocia dei gesti e delle maledizioni, che rispondono alla violenza con la violenza per assicurarsi il regno." (dall'introduzione)
"Storia di una capinera" è il primo romanzo di Verga. Pubblicato nel 1871 e scritto due anni prima, tramite una forma epistolare dominata alla perfezione ci tuffa nel cuore pulsante di un'anima prigioniera. Maria, una ragazza costretta dal padre a chiudersi in convento in assenza di qualsiasi vocazione, trova il modo durante una fugace vacanza in campagna di intrattenere con l'amica Marianna una corrispondenza che diviene per lei l'unico modo di dar sfogo ai suoi molti turbamenti. Respirando finalmente un'aria non compressa all'interno delle mura del convento, Maria scopre l'esistenza di un mondo più ampio, più inebriante, più vivo. E, soprattutto, scopre l'esistenza e l'essenza dell'amore, un sentimento che, costretto a nuotare controcorrente, la sconvolgerà per sempre. Prefazione di Federico De Roberto.