
Anni trenta. Willie Talos, un giovane di origini contadine, diventa quasi per caso governatore di un non nominato stato del Sud e promulga una serie di riforme populiste che migliorano le condizioni di vita delle classi disagiate. A narrare la vicenda è il giornalista Jack Burden che, affascinato dalla personalità di Talos e vittima del senso di colpa per le sue origini aristocratiche, ne diviene il più fedele e spregiudicato collaboratore. Il tragico evolversi dei fatti porta Burden a mettere in discussione la sua convinzione che nessuno può essere considerato responsabile per le conseguenze di un'azione nel caotico dispiegarsi della storia.
Almeno due generazioni di italiani non hanno un ricordo di Palmiro Togliatti da vivo. Sono passati cinquant'anni dalla sua morte e di Togliatti è sopravvissuta forse un'immagine di uomo freddo, scostante, che portava occhiali da professore, un intellettuale avaro nei sentimenti, un politico scaltro e cinico, troppo filosovietico e ortodosso per ispirare o appassionare. Ma bisogna allora spiegare perché l'Italia proletaria fu pronta all'insurrezione armata quando si attentò alla sua vita, e perché milioni di italiani di ogni ceto ebbero il sentimento, nel giorno della sua morte, che con lui se ne andava uno dei padri della Repubblica. "Quegli incredibili funerali! Un milione di persone al seguito del feretro, gente arrivata da ogni parte d'Italia, comunisti e non comunisti, gente che ha preso il primo treno, il primo aereo per vederlo l'ultima volta nella camera ardente, gente che saluta con il pugno chiuso o chinando il capo, o segnandosi con la croce, donne e uomini in lacrime come se piangessero un loro padre. Ma l'uomo che è morto non è colui che ha sempre ritenuto la politica cosa troppo importante per lasciarla fare alla gente semplice? Che cosa è che gli italiani piangono in quell'uomo?" Giorgio Bocca tentò nel 1973 di rispondere a queste domande: anche solo osare occuparsi di Togliatti per un giornalista (non uno storico) non comunista significava esporsi a critiche e attacchi di ogni tipo. Prefazione di Luciano Canfora.
Siamo in Paradiso, prima della Divisione fra angeli e demoni: gli angeli Gahan e Dhalissia sono innamorati e felici, anche se lui è insofferente per il troppo tempo che lei passa a lavorare al grande Progetto con l'architetto Jehovah, mentre lei non approva gli amici di Gahan. Per il suo Progetto, però, Jehovah ha bisogno di un nemico, perché non può esistere il Bene senza il Male. La potenza divina scaraventa allora una schiera di angeli fuori dal Paradiso, creando una barriera che non potranno oltrepassare. Gahan fa parte del gruppo di angeli condannati all'esilio: non vedrà mai più Dhalissia?
La prima raccolta dei tre testi in prosa del poeta Mahmud Darwish. Dice Elias Sanbar: "Darwish non era ambasciatore del suo paese ma un poeta slegato dalla nazionalità e dal passaporto. Certamente la Palestina era il suo humus, la terra dove affondava le radici: la sua flora e la sua fauna, la sua musica e le sue nuvole, ma tutto questo non doveva essere il suo limite. Se parla di terra, quella terra è proprio la sua terra. Non si è mai impantanato nelle chiavi di lettura che davano della sua opera". "Diario di ordinaria tristezza" (1973) ripercorre il tempo che precede la scelta dell'esilio, gli arresti domiciliari, gli interrogatori degli ufficiali israeliani, il carcere, e chiude la fase più drasticamente militante del poeta. "Memoria per l'oblio" (1987) evoca l'invasione israeliana di Beirut nell'agosto del 1982. "In presenza d'assenza" (2006) è una riflessione sull'esperienza poetica e sulla lingua. Una sorta di testamento, che coincide con l'addio dello struggente poema "Il giocatore d'azzardo" (2009), che chiude questo volume.
A partire dagli anni settanta il jazz italiano ha acquisito un peso e un ruolo importante, ben considerato persino sull'arena internazionale. Sulle tracce di alcuni interpreti di assoluto valore mondiale, oggi è nata una nuova scena di musicisti più giovani, che si sta già imponendo, non solo nel nostro paese, per la rigorosa preparazione musicale e le capacità creative. Questo è dovuto anche al lavoro sostenuto dalle scuole di jazz e dai conservatori, all'azione di jazzisti stranieri di passaggio in Italia che, collaborando e insegnando, hanno fatto crescere dal punto di vista tecnico e artistico i nostri musicisti. La necessità di un esaustivo Dizionario del jazz italiano era dunque sentita da tempo: era urgente la necessità di monitorare i movimenti presenti sulla scena italiana, ricostruendo i fili delle relazioni e delle collaborazioni tra i diversi musicisti. Questo Dizionario dedica spazio non solo alle figure più note del jazz italiano, ma anche ai musicisti più giovani. Una guida che cerca di rappresentare, attraverso i suoi protagonisti, le diverse aree geografiche italiane, le loro caratteristiche intrinseche e il tipo di jazz suonato. Di ogni musicista si fornisce un'esauriente biografia, una discografia con i lavori più importanti e il sito web di riferimento.
Ras Tafari (1892-1975), ultimo imperatore d'Etiopia dal 1930 con il nome di Hailé Selassié I, viene deposto da un colpo di stato il 12 settembre 1974. Kapuscinski si reca ad Addis Abeba per capire cosa fosse davvero la monarchia assoluta del Negus, il Re dei Re, e perché sia caduta. Riesce a incontrare i rappresentanti dell'entourage imperiale e ne raccoglie i racconti, acuti, commossi, involontariamente umoristici. Intervista gli uomini che stavano a Palazzo o avevano avuto il diritto di accedervi, con la funzione di servitori, cortigiani, funzionari, spie, camerieri di ogni sorta, ma anche testimoni acuti e smaliziati di intrighi, lotte di potere e abiezioni. Ne esce un ritratto insolito del Negus, educato a Cambridge ma deciso a conservare il rituale di bacio al piede e genuflessione, promotore di riforme economiche, morali e sociali che però di fatto preservano l'arcaica sostanza del suo impero, preda di deliri di grandezza e progresso per cui sperpera denaro in un paese che muore di fame. Un vecchio rabbioso, onnipotente e superbo, ma anche terrorizzato dall'idea delle congiure, che si circonda di ministri inetti, in una società gerarchica, primitiva e corrotta. Un ritratto insolito del Negus. Una ricostruzione a più voci della vita di corte, dell'arte di governo e di una società, a metà tra l'analisi storica, il reportage e l'opera narrativa. Uno sguardo ironico e stupefatto sull'universo grottesco di ogni dispotismo.
Romanzo nato insieme al progetto cinematografico di "Va, vis et deviens", del regista rumeno Radu Mihaileanu e presentato al 55° Festival internazionale di Berlino, racconta la storia dei falasha - gli ebrei neri - e dell'epico viaggio verso Gerusalemme. La storia di un bambino cristiano che, fatto passare per figlio di una madre falasha, arriva nella città santa e deve cominciare a vivere, a diventar grande sapendo che non è ebreo, che non è un orfano, che non è ancora nulla. Ma che vuole diventare un uomo.
Con le sue storie Andrea Camilleri riesce sempre a creare una magia narrativa. Si sentono gli odori e si percepiscono gli sguardi. Con poche pennellate evoca i personaggi in un modo talmente vivo da renderli realmente presenti. Con pochi tratti ce li fa conoscere nella loro intimità e con le loro piccole debolezze così umane. Ma sempre con uno sguardo insieme ironico e affettuoso. Ed è per questo che finiamo per amarli: ci sembra di conoscerli, di aver fatto con loro un tratto di strada. I racconti raccolti in questo libro ci restituiscono al meglio l'affabulatore Camilleri. Tra i più intimi, autobiografici e sentiti del romanziere siciliano, questi racconti fulminanti ci riservano una sorpresa in più, perché i personaggi evocati si chiamano Leonardo Sciascia e Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo e Renato Rascel, Jean Genet e Samuel Beckett, George Patton. Ed è così che Camilleri ci porta per mano dentro storie vere, che appartengono alla sua vita e alla sua memoria, e che finalmente vedono la luce. L'avvento del fascismo e lo sbarco degli Alleati, il separatismo e la mafia, le amicizie e la famiglia, gli incontri con i grandi maestri e, su tutto, lei: l'amata Sicilia.
Daniel Barenboim torna a riflettere sulla musica. Sulla musica che si fa, che si legge, sulla musica che si interpreta, sulla musica che si ascolta. Sulla musica che interconnette, che stringe relazioni e le riempie di senso. Daniel Barenboim ha a cuore una visione della musica in cui etica ed estetica dialoghino continuamente e a livelli diversi. Se l'essenza della musica è il contrappunto, ecco che l'idea di un tutto non scomponibile nei suoi elementi domina, come un'ossessione, l'opera e il lavoro del grande Maestro. Eseguire bene un pezzo implica una scelta, è di per sé una sequenza di scelte. Non è diverso - dice Barenboim - da ciò che deve fare un politico. La scelta giusta. E il giusto qui produce bellezza. Ma produce bellezza se si impone quel formidabile equilibrio che da una parte guarda alla partitura e al compositore, dall'altra al nesso profondo fra gli esecutori, e dall'altra ancora al pubblico, ai luoghi dell'ascolto, a chi governa le sale, a chi governa tout court. Diviso in tre sezioni (Occasioni, Conversazioni e un Epilogo), questo libro entra con severità e leggerezza di spirito nei temi che sono centrali per la cultura musicale contemporanea, non senza toccare la complessità di compositori che hanno segnato la carriera del Maestro, Mozart e Wagner; in chiusura, una riflessione su Giuseppe Verdi.
Lasciato il marito e la giovane figlia, Martha si mantiene lavorando in un ufficio legale, ma dedica tutte le proprie energie alla cellula comunista a cui aderisce, formata da sei amici, tra i quali il pilota della Raf di cui è innamorata. Abbandonata dal pilota, si innamora di un profugo e lo sposa, ma il matrimonio è presto una delusione. L'unico sollievo per Martha, appena ventitreenne ma già avviata sulla difficile strada della ricerca della propria identità, resta l'amicizia con le donne del gruppo. In questo romanzo prosegue la storia di Martha Quest, il più brillante esempio di femminilità moderna descritto da Doris Lessing: appassionata, testarda e inquieta nella ricerca della propria emancipazione. Nel seguirla attraverso i suoi turbamenti emotivi e il suo coinvolgimento sempre più profondo nella politica rivoluzionaria, assistiamo anche al dispiegarsi della vita in Sudafrica nel XX secolo, che l'autrice guarda in modo compassionevole, senza tuttavia cedere ad alcun compromesso. Questo libro è il terzo di un ciclo di cinque romanzi intitolato "Children of Violence" (i primi due sono "Martha Quest" e "Un matrimonio per bene").