Di Paolo Borsellino, del suo esempio e del suo lavoro di contrasto alla mafia, si è sempre parlato molto. Negli ultimi tempi, forse, si parla di più della sua morte e dei misteri che la avvolgono. Ma della famiglia Borsellino, dell’uomo anziché del magistrato, non si sa tanto. Fin dai primi, terribili giorni dopo l’attentato di via D’Amelio, infatti, la moglie Agnese e i figli Lucia, Manfredi e Fiammetta – allora poco più che adolescenti – hanno mantenuto uno stretto riserbo e sono intervenuti solo raramente nel dibattito mediatico.
All’inizio di quest’anno, la signora Agnese, che combatteva contro un terribile male, ha voluto raccontare la sua vita a Salvo Palazzolo, per lasciare dietro di sé – ai figli, ai nipoti, alle persone che mantengono vivo il ricordo di Paolo Borsellino e, in definitiva, a tutti gli italiani – i ricordi di un’esistenza segnata dall’amore per un eroe civile che era anche un uomo normale, innamorato della moglie, giocoso con i figli, timido ma provocatorio, generoso e indimenticabile.
Agnese Borsellino se n’è andata il 5 maggio 2013, ma le sue parole sono rimaste impresse in questo libro, un libro carico di amore, di dolore, di indignazione e di speranza per il futuro del nostro paese.
“Cara mamma, ci hai fatto un gran bel regalo, in parte anche inaspettato. […] Neanche noi figli conoscevamo tutti gli aneddoti e le confidenze che – stupendoci – ci hai voluto lasciare in questo racconto, prima che la tua malattia prendesse definitivamente il sopravvento. […] C’è tutto questo e molto altro ancora nelle pagine che ci hai lasciato in dono: non sono una biografia, una raccolta di testimonianze o una ricostruzione storica di eventi più o meno noti. Queste pagine sono molto di più: il tuo ultimo atto d’amore verso papà, anzi sono la vostra storia d’amore.” Manfredi Borsellino
“La domanda sull’identità di ciascuno e su quella di interi gruppi o popoli ha acquistato una maggiore urgenza”
Questo libro, totalmente aggiornato e rivisto dall’Autore, offre gli strumenti per delineare la mappa dei percorsi in cui la filosofia del Novecento (e del nuovo millennio) incrocia gli altri saperi. Cogliendo le idee in movimento, risultano maggiormente visibili, nella loro specificità, gli snodi che articolano il discorso filosofico. Vengono consapevolmente abbandonati i due modelli espositivi più diffusi: quello della storia lineare e quello della descrizione di sistemi miniaturizzati e isolati. A questi si preferisce la rappresentazione di scene teoriche compatte, scandite per quadri concettuali, in cui i protagonisti intrecciano i loro argomenti nello sforzo di chiarire problemi che sono anche nostri.
Le psicosi sono le forme più gravi di turba psichiatrica. Proprio intorno a questa forma così inquietante e sfuggente (il cui ventaglio di manifestazioni è vastissimo) si snoda il discorso di Borgna. Oggi è di moda, anche se già si sentono i primi segnali di inversione di rotta, l'interpretazione naturalistica della malattia mentale.Le cause prime andrebbero associate a un malfunzionamento dei centri cerebrali e le cure dovrebbero incentrarsi su terapie chimiche (farmaci) o di tipo affine (elettroshock). Questa impostazione è spesso viziata da motivi tutt'altro che scientifici. L'organizzazione sanitaria del nostro paese come di altri, tra cui gli Stati Uniti, non è in grado di sopportare i costi (anni di psicoterapia) di una psichiatria più umana. Eugenio Borgna, pur dichiarando che l'ausilio di farmaci può essere indispensabile quando si tratta di psicosi e non di nevrosi, difende la necessità di porsi in relazione con il paziente e di ‟penetrarne” il mondo. Il talento di Borgna consiste appunto nella capacità di penetrare il mondo psicotico tanto nel rapporto con i pazienti dell'Ospedale Maggiore di Novara quanto sulla pagina scritta, dove con l'ausilio delle storie dei suoi malati e dei testi letterari di famosi grandi psicotici, come Antonin Artaud e Gérard de Nerval, riesce a dare voce all'‟urlo silenzioso” di questa patologia. Il libro, accessibile a ogni lettore colto, si rivolge ai colleghi psichiatri perché dismettano gli alibi della scienza e si calino umanamente nel loro compito terapeutico.
L'ansia fa parte della vita, e ciascuno di noi ha a che fare con essa: con le sue figure fuggitive e arcane, camaleontiche e crepuscolari, nelle quali si riflette come in uno specchio la linea misteriosa e affranta delle realtà psicopatologiche e umane: al di qua, e al di là, di ogni malattia. Come riconoscere le figure dell'ansia, e come cogliere le sue trasformazioni e i suoi possibili sconfinamenti nella depressione, nelle malattie psicosomatiche, nell'esperienza ossessiva e in quella dissociativa, ma anche nelle situazioni umane contrassegnate dalla solitudine e dalla timidezza nell'adolescenza come nella maturità, dalla nostalgia e dall'attesa, dalle infinite agostiniane inquietudini del cuore: sono gli orizzonti di senso di questo libro che si confronta, infine, con l'ansia che sta nello sfondo tematico, umbratile e scintillante, di alcune esperienze creative. Il discorso sfolgorante di Simone Weil ci dice come solo le sonde luminose dell'intuizione consentano di scendere negli abissi dell'interiorità ferita e della sofferenza: che si nascondono, del resto, in ogni figura dell'ansia.
Dopo la sua morte, questo piccolo libro è da leggersi come il testamento di Kapuscinski. Chi è veramente l'altro da noi? Non quello che condivide la sorte di essere uomo (che sente fame, freddo, gioia, dolore). Fino a quel punto, siamo tutti pronti – almeno in linea teorica – a riconoscerci, a simpatizzare. Il discorso cambia di fronte alla razza, alla religione, alla cultura. È lì che scatta veramente l'essere altro. E lì scatta anche la volontà di capire e investigare. Sei conferenze che hanno lasciato il segno. Una breve, illuminante "lezione" di Kapuscinski.
Il libro
La definizione "l'altro"/"gli altri" può venir intesa come l'altro da sé, come l'individuo contrapposto agli altri individui, ma anche l'altro che affonda le radici nella diversità di sesso, generazione, nazionalità, religione. Attraverso il reportage (che secondo Kapuscinski è il genere letterario più collettivo che esista) l'autore ci rammenta gli interlocutori incontrati sulle strade del mondo, quelli che raccontano la storia della loro vita o che parlano della società alla quale appartengono. Chi sono questi interlocutori? Sono persone fatte da due parti spesso difficili da separare. Una è l'uomo uguale a noi, con le sue gioie e i suoi dolori, i giorni fasti e quelli nefasti, che teme la fame e il freddo, che sente il dolore come una sventura e il successo come soddisfazione e appagamento. L'altra, sovrapposta e intrecciata alla prima, è l'identità razziale, culturale e religiosa. Le due parti non appaiono mai distinte, allo stato puro e isolato, ma convivono influendo l'una sull'altra.
Kapuscinski lavora su questo doppio aspetto di uomo-individuo e di uomo-razza lasciando emergere come la percezione culturale non sia mai rigida, statica, stabilita una volta per tutte, ma dinamica, mobile, mutevole, soggetta ad alti e bassi di tensione a seconda del contesto esterno, delle esigenze del momento, delle aspettative circostanti e perfino dello stato d'animo e della nostra età.
Il mondo che Kapuscinski ha imparato a conoscere camminando si disvela ancora una volta ma in una nuova accezione: come territorio in cui la salvaguardia della diversità passa attraverso la conoscenza della diversità.
Un piccolo libro che raccoglie il materiale di sei conferenze e diventa occasione per riflettere sull'altro che è in ciascuno di noi, sulla distanza fra l'uomo ipoteticamente senza connotazioni e l'uomo connotato.
Un piccolo libro. Un grande testamento spirituale.
Capire il buddhismo costituisce una succinta, autorevole e accessibile introduzione a una delle grandi tradizioni religiose e culturali del mondo. Il libro è organizzato intorno a nove temi chiave: le origini e lo sviluppo storico, gli aspetti del divino, i testi sacri, le persone sacre, i principi etici, gli spazi sacri, il tempo sacro, la morte e l'aldilà, la società e la religione. Ciascuno di questi temi è arricchito con citazioni oppure con riassunti di testi storici, accompagnati da un commento d'autore che spiega il significato di ciascun testo o lo colloca nel suo contesto.
Più specificamente, gli argomenti trattati in questo libro comprendono: le Quattro Nobili Verità; il Nobile Ottuplice Sentiero; le scritture mahayana e le opere tantriche; la Ruota della Vita; i buddha, i bodhisattva e i mandala; i concetti di arhant e siddha; i pellegrinaggi e i templi; le feste e i riti di passaggio.
“Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che forse possono esistere solo quando si è giovani”
Un giovane sognatore, nella magia vagamente inquieta delle nordiche notti bianche, incontra una misteriosa fanciulla e vive la sua “educazione sentimentale”, segnata da un brusco risveglio con conseguente ritorno alla realtà. Un Dostoevskij lirico, ispirato, comincia a riflettere sulle disillusioni dell’esistenza e dell’amore nell’ultima opera pubblicata prima dell’arresto e della deportazione, esperienze che modificheranno in maniera radicale e definitiva la sua concezione dell’uomo e dell’arte. In questa edizione, al celebre racconto viene affiancata la visione “diurna” di Pietroburgo contenuta nei feuilletons che compongono la Cronaca di Pietroburgo, vero e proprio laboratorio per la scrittura dostoevskiana. Lo stretto legame tra pubblicistica e letteratura, che accompagnerà Dostoevskij negli anni della maturità, viene così a manifestarsi fin quasi dal suo esordio. Il racconto Le notti bianche ha ispirato il film omonimo di Luchino Visconti (1957), con Marcello Mastroianni e Maria Schell, e il film Quattro notti di un sognatore di Robert Bresson (1971).
Il Fedone è la storia di una morte, quella di Socrate e, allo stesso tempo, è il racconto di una nascita, quella della metafisica occidentale, che proprio nelle pagine di questo splendido dialogo vede la luce. Il racconto dell'ultima giornata di Socrate nel carcere di Atene diviene, per Platone, il luogo decisivo per tenere un altro discorso sulla morte: un discorso diverso da quelli della religione, dell'arte o della scienza, un discorso che non si limita ad inaugurare un modo nuovo di parlarne, ma si spinge fino ad intrecciare la morte e la filosofia in un abbraccio indissolubile.
Dopo il Fedone, la morte non potrà più essere, per il pensiero, qualcos'altro a cui pensare, un pensiero particolare, un determinato oggetto del pensiero. Dopo il Fedone, la morte si porrà, sin dall'inizio, insieme al pensiero. Dopo il Fedone non si cesserà di pensare alla morte che cessando di pensare.
Negli ultimi sette anni, Etgar Keret ha avuto molte ragioni per stare in pensiero. Suo figlio Lev è nato nel bel mezzo di un attentato terroristico a Tel Aviv. Suo padre si è ammalato. Tremende visioni del presidente iraniano Ahmadinejad che lancia invettive antisemite lo perseguitano. E Devora, l'implacabile venditrice di un call center, sembra determinata a seguirlo anche all'altro mondo. Con un'ironia fulminante e la sua speciale capacità di cogliere del buono dove meno te l'aspetti, Keret si muove con disinvoltura tra il personale e il politico, il faceto e il terribilmente serio, per raccontare i suoi ultimi sette anni a Tel Aviv: un condensato di vita, humour ed emozione.
A rincasare ubriachi nel cuore della notte si rischia di inciampare in qualsiasi cosa: un gradino, i lacci delle scarpe, uno stuoino fuori posto. Ma se ti chiami Giulia, sei una pubblicitaria di successo e per te l'infanzia è solo una nicchia di mercato, puoi anche inciampare in una camicia da notte con una bambina dentro: Rebecca, la figlia della nuova vicina. Allora, tra i fumi dell'alcol, puoi persino decidere di ospitarla per una notte sul tuo divano. Salvo poi rimanere invischiata in sessioni di fiabe da raccontarle ogni volta che la madre, misteriosamente, non c'è. Da Cenerentola a Pollicino, da Raperonzolo alla Sirenetta, purché siano sempre le versioni originali: quelle di Perrault, dei Grimm e di Andersen, dove i ranocchi si trasformano in principi soltanto se li lanci contro un muro, e non sono certo i baci a risvegliare le più belle del reame. Se invece ti chiami Rebecca e sei arrivata da poco in città, puoi provare a conquistare i compagni di classe con le "fiabe vere". Salvo poi imbatterti nelle temibili bimbe della Gilda del cerchietto, pronte a screditarti con le versioni edulcorate della Disney. E forse, nonostante i tuoi nove anni, cercherai di far capire a Giulia, la tua amica del pianerottolo, che, anche se i principi azzurri nella realtà non esistono, l'uomo giusto a volte è più vicino di quanto si pensi. Ciò che ancora non sai è che la verità costa cara. E non solo perché certe cose è meglio non raccontarle, specie quando ci sono di mezzo i segreti degli adulti.