L'Europa rappresenta da almeno tre generazioni un sogno di pace, benessere, solidarietà e democrazia post-nazionale. Eppure, dallo scoppio della crisi del 2008 in poi, la gestione dell'UE ha assunto dei tratti quasi da incubo, dando man forte all'avanzata dei movimenti euroscettici in tutto il continente. Le procedure democratiche hanno lasciato il posto al "diritto d'emergenza", sempre più decisioni sono state prese dai capi di Stato e dalla Troika, che ha imposto a tutti i paesi in difficoltà le famigerate misure di austerità. Partendo da questo quadro, i due autori riportano il dibattito che ha avuto luogo soprattutto in Germania, dando voce alle proposte per un'Europa diversa di intellettuali quali Habermas, Streeck, Beck, Balibar, Offe e Bauman, ma accogliendo anche le istanze dei movimenti sociali, ai quali attribuiscono un ruolo chiave nella spinta al rinnovamento europeo. L'obiettivo è l'abbandono del nazionalismo e il rafforzamento del potere democratico sovranazionale. In altre parole, salvare il sogno e dargli concretezza.
Una vera e propria guida per chi dell'UE ha una conoscenza solo superficiale, ma che aiuta anche il lettore più esperto a fare chiarezza su molti punti importanti. Partendo dall'esposizione del quadro storico e istituzionale, "Gli Stati Uniti d'Europa spiegati a tutti" passa in rassegna tutti i temi oggi di grande attualità, dall'unione politica alla crisi dell'euro, dal tema dello sviluppo al cosiddetto deficit democratico europeo. La prospettiva è dichiaratamente quella federalista, ereditata dalla visione di Altiero Spinelli, che individua la possibilità di risolvere gli attuali problemi dell'UE e di tornare a crescere solo nel compimento di una vera e propria federazione di Stati. Qual e la differenza tra unione, cooperazione, federazione? Quali sono i rapporti tra unione politica e unione monetaria? Perché una vera federazione potrebbe garantire più democrazia e risolvere il rebus della crescita? Questo libro dà una risposta a queste e altre domande.
Parigi, 1784. Pochi anni prima della Rivoluzione. Camille è un giovane avvocato smaliziato e dalle idee stravaganti, un enfant terrible attorno al quale si affollano pettegolezzi di ogni genere; Georges-Jacques, anche lui avvocato, è un colosso dal viso sfregiato accanto al quale gli altri uomini appaiono piccoli, deboli, sottomessi; Maximilien è un giovane procuratore sempre dalla parte degli oppressi. Gli amici li chiamano per nome, ma nei tribunali sono conosciuti come Desmoulins, Danton e Robespierre. Nati in provincia da famiglie che li avrebbero voluti sistemati con un matrimonio combinato e una vita convenzionale, ma decisi a non accontentarsi, i tre sono riusciti a completare gli studi e arrivare a Parigi, dove proprio in quegli anni "tutte le persone giuste si stanno radunando", dice Camille. Centro del mondo per eccellenza, infatti, la Parigi del 1784 è sì il luogo dove si decidono le sorti dell'intera Francia, ma anche una città in cui i poveri muoiono di fame e i cadaveri giacciono ammucchiati agli angoli di strada. Una città tesa fra l'austerità dell'ancien regime e l'idea di un mondo nuovo e più giusto come quello che i giovani discutono nei caffè e nei circoli. E in questo clima, mentre il malcontento inizia a fermentare in tumulti e improvvisi scoppi di violenza, saranno proprio Robespierre, Danton e Desmoulins a incarnare le speranze di un'intera generazione e a legare il loro destino di eroi tragici alla Rivoluzione.
"Siamo chiamati a reinventare noi stessi in quanto specie", si legge in questo saggio scritto dal brasiliano Leonardo Boff, ex francescano, riconosciuto a livello mondiale come uno dei massimi esponenti della teologia della liberazione, e dal ricercatore e educatore statunitense Mark Hathaway. Il compito non è certo facile, ma per "liberazione", suggeriscono gli autori, va inteso un cambiamento radicale della coscienza umana. A occupare la scena è la crisi odierna, una società "spiritualmente" malata, ossessionata dalla crescita e dal consumo materiale, attaccata a valori che hanno portato al progressivo saccheggio delle risorse e all'aumento delle disuguaglianze. La grande sfida del XXI secolo è allora quella di invertire rotta, operando una trasformazione che sia allo stesso tempo individuale e collettiva. Come? Gli autori tracciano un cammino di guarigione - Tao è l'antico termine cinese per "via" - cercando il punto di intersezione tra la tradizione cattolica e quella orientale. Non solo, la rinascita spirituale che invocano si nutre dell'apporto di psicologia e fisica quantistica, femminismo e cosmologia, economia ed evoluzionismo. Solo incrociando le prospettive di scienze, religioni e saggezze antiche si può produrre una rivoluzione della percezione, il preludio al cambiamento delle nostre abitudini.
La vita non è forse la cosa più naturale al mondo? Eppure, dagli albori del pensiero filosofico l'uomo s'interroga su come viverla. "Non mi ci raccapezzo", ammetteva Wittgenstein, esperienza che non ci è certo estranea. "Pure Kant si trova a disagio di fronte alla confusione che regna tra i più diversi maestri dell'arte di vivere". Sì, perché la vita può essere oggetto di una vera e propria arte. Se "l'escursione nella filosofia", come argomenta Wilhelm Schmid in questo saggio, "inizia quando l'esistenza viene messa in questione", l'antichità si è interrogata a lungo su come vivere: dalle scomode domande di Socrate all'idea del bene di Platone, dalla virtù aristotelica alle scuole epicuree, stoiche, fino ai latini Seneca, Marco Aurelio, Cicerone. E dall'epoca moderna in poi che l'arte di vivere diserta la scena, quando certezze e criteri tradizionali si dissolvono progressivamente. L'uomo moderno procede a tentoni, saggiando, rivela Montaigne, grande artefice della sua riscoperta. Essa prende allora una via sperimentale, "senza sapere davvero dove si possa essere condotti percorrendola". Oggi il filosofo tedesco Schmid, che dell'arte di vivere ha fatto il perno della sua ricerca, ci guida attraverso la sua storia e le sue poste in gioco.
"Questa stanza è come la mia anima: sporca e disordinata". L'anima di Arthur Maxley è opaca, stretta nell'incertezza della giovane età e in una biografia familiare amara, dove la protezione dei genitori si è polverizzata quando era ancora un ragazzino. Arthur spende la giornata estiva che fa da cornice a questo romanzo breve a San Francisco: qui ci sono le feste di Max Evartz, dove si beve troppo, e l'amico Stafford Lord, sempre in ritardo e terribilmente lamentoso, un giovane viziato da sogni irrealizzabili. Ma non sono le frequentazioni quanto i pensieri ad affollare la mente di Arthur, frammenti di ricordi di un'infanzia che ha al centro una voragine, una madre perduta senza sapere quale sia stata la causa e un padre, uomo d'affari sempre in giro per i continenti, il quale proprio in questo giorno è in città e propone al figlio un incontro. Ed è allora che le parole non si trovano e quelle che vengono pronunciate sono troppo poche e deboli, in un dialogo che non concede nulla al rapporto tra un genitore e un figlio. È a partire da Luisant's, un club immerso nelle strade della metropoli, che consuma la notte e la delusione, un cocktail dopo l'altro con una donna che diventa compagna di solitudini e seduzioni.
Mai l'Unione Europea era stata più discussa: dopo oltre cinque anni di crisi, il progetto europeo si trova davanti alla reale possibilità del fallimento. Ma cosa succederebbe se finisse l'esperienza dell'euro, o addirittura quella dell'Unione? Possibile che il vincolo sovranazionale che da oltre sessant'anni garantisce la pace nel nostro continente, per secoli devastato dai conflitti interni, sia oggi caduto così in basso nella stima del cittadini europei? Martin Schulz, rispettato ma a sua volta discusso presidente dell'Europarlamento, ci esorta a non ascoltare le sirene degli euroscettici, dei populisti di destra che prendono piede in tutta Europa, né di quei governi ancora convinti che gli interessi nazionali siano prioritari rispetto a quelli europei. Smantellare la costruzione dell'UE o anche solo bloccarne lo sviluppo, come dimostra in questo saggio, sarebbe una catastrofe. In epoca di globalizzazione e mercati finanziari "selvaggi", lo Stato-nazione è un'illusione per nostalgici, un anacronismo che rischia di sprecare l'enorme potenziale del nostro continente unito. L'Europa, infatti, è forte, di questo il presidente è convinto: lo è la nostra moneta, nonostante la crisi, la nostra produzione, specie nel caso di alcune eccellenze, e soprattutto il nostro modello sociale solidale, che è ammirato a livello planetario. Certo, per fare dell'Europa un attore decisivo anche nel XXI secolo servono indubbiamente delle riforme, soprattutto istituzionali.
In meno di un anno di pontificato, papa Francesco ha già compiuto una sorta di rivoluzione dolce, scandita da una serie di mosse inattese e inaugurata dalla scelta epocale di assumere il nome del santo di Assisi. C'è di che ben sperare, e così fa il teologo statunitense Matthew Fox, da tempo in attesa di un segnale di rinnovamento da parte del Vaticano. Per questo Fox, ex domenicano espulso dall'ordine dal cardinale Ratzinger, si arma di penna e decide di indirizzare una serie di appassionate lettere al nuovo "vescovo di Roma". Sono molte le sfide che attendono Francesco, cui spetta il compito, che già fu del suo omonimo, di "riparare" una "Chiesa in rovina" e possibilmente traghettarla verso il futuro. Nelle sue otto lettere, Fox le cita tutte: recuperare il rapporto con il sensus fidelium, il popolo della Chiesa; sciogliere il nodo del celibato e del sacerdozio femminile; predicare la sacralità della creazione per affrontare l'emergenza ecologica; mettere fine agli scandali sessuali e ripulire la Curia; riportare in auge un vero ecumenismo; svincolare la Chiesa dagli affari finanziari; tenere vivo il dialogo con la scienza e saper coinvolgere i giovani. Le parole che oggi Fox rivolge al nuovo pontefice sono gravide di speranza, evocano la possibilità di una rinascita, lasciano intravedere la costruzione di una Chiesa futura più saldamente fondata su quella delle origini.
Che strano oggetto culturale è mai un "dizionario innamorato"? Ancora più bizzarro se si considera che il destinatario dell'amore in questione è quell'ebraismo da molti "denunciato come dottrina degli assassini del Messia, come pratica degli usurai che sfruttano il mondo intero, dei cospiratori e degli assetati di sangue, pretesto di milioni di omicidi". Ma questo non è certo il punto di vista di Attali, nato in Algeria da genitori ebrei francesi e dedito allo studio di questa religione non solo per averla ereditata dalla sua famiglia, ma anche in risposta a un vivo interesse culturale. Quello che ci restituisce in questa serie di voci, da "Abele" a "Zohar", non è affatto un sapere enciclopedico o nozionistico, bensì il tentativo di interpretare e vivificare un'eredità personale e culturale dalla portata globale. Il mosaico che si compone voce dopo voce, tassello dopo tassello, ci offre un ritratto dell'ebraismo profondo e lontano dai luoghi comuni. Un ebraismo la cui storia millenaria, sintetizzata da Attali nelle pagine introduttive, è segnata dal confronto e dallo scambio con le altre civiltà e che diviene oggi, in forza della sua spiccata singolarità, un baluardo della resistenza a una certa globalizzazione. Da leggere tutto d'un fiato o da sfogliare saltando di voce in voce, questo dizionario è un percorso di autoconoscenza anche per chi dell'ebraismo è solo curioso.
Questo volume del noto teologo gesuita Roger Haight è stato dichiarato nel 2004 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede "contrario alle verità della fede divina e cattolica". All'origine della condanna inflitta a Haight, ci sono le sue affermazioni in favore di un pluralismo culturale e religioso, quando sostiene che "non si può continuare ad affermare ancora che il cristianesimo sia la religione superiore", o che "una religione possa pretendere di essere il centro al quale tutte le altre devono essere ricondotte". Ma il dialogo alla pari tra il cristianesimo e le altre religioni non è forse quello che anche papa Francesco auspica quando rigetta la nozione di "verità assoluta" e sostiene che "la verità è una relazione"? Altri punti giudicati erronei dal Vaticano riguardano la preesistenza del Verbo, la divinità di Gesù, la Trinità, il valore salvifico della morte di Gesù, l'unicità e l'universalità della mediazione salvifica di Gesù e della Chiesa, la risurrezione. Confrontandosi con questi dogmi, Haight li interpreta utilizzando le nozioni scaturite da secoli di evoluzione intellettuale con particolare attenzione al pensiero contemporaneo. Alla base di questo suo lavoro c'è la convinzione che "un cristiano non può veramente dare risposte a un non cristiano sull'essenza del cristianesimo senza avere nemmeno un'idea di chi fosse Gesù" e per questo Haight pone di nuovo la domanda "chi è Gesù?", facendolo alla luce degli strumenti intellettuali di cui oggi disponiamo.