Andrew Whittaker è indebitato fino al collo, la rivista letteraria che dirige è a un passo dalla bancarotta, la casa in cui vive cade a pezzi e la moglie lo ha lasciato. Andrew però non molla. È una fucina di idee, progetti. Forse anche illusioni e velleità. E scrive, forsennatamente, a chiunque. Poi raccoglie tutto. Un presente e un passato di sogni, ideali e rimpianti emerge dagli stralci del suo strampalato epistolario: lettere di rifiuto ad aspiranti scrittori, lettere alla ex moglie, lettere a ditte incaricate di rifare i soffitti di casa, lettere di sfratto, annunci di appartamenti in affitto, appunti, cose pensate, bozze di racconti, pezzi di un romanzo, lettere alla madre, post scriptum per la badante della madre, pagine di diario, liste della spesa, cartelli per gli inquilini del palazzo, ancora lettere, ancora pensieri, ancora cartelli... Ne esce l'impossibile catalogo di un amabile perdigiorno. O, meglio, di un nevrotico e coscienzioso archivista del tutto e del nulla in cui siamo immersi.
Nel processo che vedrà la sua condanna a morte, Socrate si presenta al popolo ateniese come "Il dono del dio alla città". Da allora un filo rosso collega la filosofia all'atto di donare. Anzi, la domanda classica su che cos'è la filosofia? si riverbera nell'altra, che torna a chiedersi, da Seneca a Mauss fino a Derrida, ossia dall'antichità ad oggi, che cos'è un dono? Il dono di sé e il dono anonimo: tra queste due forme del donare il libro tenta di rispondere alla domanda sull'essenza della filosofia. Vi si sostiene la tesi che il tratto distintivo della filosofia va in direzione ostinatamente contraria rispetto alla marcia del pianeta dietro il vessillo dell'utile e del profitto e alla sua immane accelerazione nel fondamentalismo economico degli ultimi decenni. Se l'utile, come ammoniva Schiller, "è il grande idolo del tempo, a cui tutte le forze debbono servire e a cui tutti i talenti debbono rendere omaggio", quello filosofico è l'atto antiidolatrico e iconoclasta per eccellenza, che interrompe il circuito dell'utile e dell'interesse, ma anche, in qualche maniera, del sapere stesso, rappresentando il modo, ogni volta diverso per stile e strumentazione concettuale, con cui la filosofia ottiene il suo scopo originario. Che non è la conquista del reale, ma la sospensione del suo assolutismo, ovvero la divisione dei poteri che ne costituiscono la presa.
Il dibattito intorno alla nostra responsabilità verso le generazioni future si è fatto in questi anni sempre più fitto e interessante, man mano che svanivano le certezze sul modello di sviluppo fondato sull'asservimento tecnologico della natura e l'"euforia del sogno faustiano" della modernità lasciava il posto a una visione della storia disincantata e perplessa - quando non disperante e apocalittica. L'uomo è diventato per la natura più pericoloso di quanto un tempo la natura lo fosse per lui, mentre alle tante fratture sociali che ostacolano il cammino verso un'umanità unificata si è venuta ad aggiungere la contraddizione antagonistica tra il mondo di oggi e il mondo di domani. Muovendo da questa diagnosi, Hans Jonas cerca in questo lavoro di andare alle radici filosofiche del problema della responsabilità, che non concerne soltanto la sopravvivenza, ma l'unità della specie e la dignità della sua esistenza. Tra il "principio speranza" di Ernst Bloch e il "principio disperazione" di Günther Anders, il "principio responsabilità" dà voce a una via di mezzo, nel tentativo di coniugare in un modello unitario etica universalistica e realismo politico.
Avete mai pensato alla vostra casa, all'ufficio, alla scuola, al cinema, alla trattoria, ai negozi, alle strade che frequentate? Avete riflettuto sul valore specifico dell'architettura, rispetto a quello delle altre arti figurative? Che differenza c'è tra la vostra abitazione e un tempio, o un arco di trionfo? Il giudizio che diamo su un monumento di Bramante è basato su criteri diversi da quelli su cui si fonda l'apprezzamento di un'opera di Le Corbusier? L'architettura è un'arte "astratta", oppure ha precisi contenuti? "Saper vedere l'architettura" risponde a questi interrogativi: il suo proposito è di rivelare il segreto, l'essenza spaziale dell'architettura, affinché tutti sappiano vedere gli ambienti in cui spendono tanta parte dell'esistenza.
Indignazione è il nuovo romanzo di Philip Roth, il racconto dell'educazione di un giovane uomo alle terrificanti opportunità della vita nell'America del 1951.
Al centro del romanzo Marcus Messner, giovane ebreo di Newark come tutti i più noti personaggi di Roth. Nel lungo delirio che precede la sua morte per le ferite riportate combattendo in Corea, Marcus ricostruisce gli eventi che lo hanno condotto lì, tracciando così il ritratto di un'epoca.
Indignazione è una storia di inesperienza, stoltezza, resistenza intellettuale, scoperta sessuale, coraggio ed errore.
È una storia narrata con tutta l'energia inventiva e l'arguzia di cui Roth è maestro, e un ulteriore poderoso tassello nella sua analisi dell'impatto della storia americana sulla vita di individui vulnerabili.
Il nuovo romanzo di Roth è stato accolto con molto favore dai critici italiani. Repubblica del 9 settembre a Indignazione ha dedicato uno spazio in prima pagina e ne ha pubblicato un'anticipazione nelle pagine interne. E ancora Repubblica al romanzo ha dedicato la copertina di cultura del 14 settembre, con un'intervista di Antonio Monda a Philip Roth.
«Negli ultimi tempi ho scritto sempre di persone anziane.», ha dichiarato lo scrittore, «Questa volta ho voluto raccontare una storia di inesperienza e disperazione all'epoca di un periodo storico che tendiamo a dimenticare. Io venni arruolato in quel terribile conflitto [la guerra di Corea, ndr], ma, fortunatamente, la guerra terminò prima della mia partenza».
E al giornalista che gli chiedeva perché avesse scelto di raccontare ancora una volta un'iniziazione erotica e una storia di conflitti con l'ambiente accademico, Roth ha risposto: «Mi interessava raccontare la repressione sessuale precedente agli anni Sessanta. L'ambientazione in un college offre anche altri elementi di repressione e conflitto, anche se devo dire che come docente ho avuto un'esperienza interessante». (leggi l'intervista completa)
«In Indignazione ci sono gli elementi del miglior Philip Roth.», ha scritto Alessandro Gnocchi sul Giornale, «Quel che colpisce è la bravura eccezionale nel cogliere e raccontare temi universali, ad esempio il rapporto fra padri e figli. L'autore evita il rischio di cadere nella banalità con un racconto cinico ma toccante».
E se Francesca Borrelli, su Alias, ha definito Indignazione «la nuova magistrale performance di Philip Roth», Tiziano Gianotti così ha recensito il romanzo su D di Repubblica: «Roth è al suo meglio nel dar figura allo struggimento del giovane maschio alla soglia di un mondo ricco di opportunità, che si scopre frenato dalle pastoie delle convenzioni.[...] Un altro notevole libro di Philip Roth
Quante volte un medico si sente dire: «Dottore, mi metto nelle sue mani». Di fronte a questa totale fiducia, deve mettere in campo non solo le proprie competenze tecniche e professionali, ma anche quelle umane, rivolgendo l'attenzione al recupero della salute del paziente come al suo equilibrio psicofisico e alla sua serenità. Così le sue «mani» si stringeranno idealmente a quelle del malato nel segno di una condivisione di responsabilità, di consapevolezza e di coscienza.
Partendo da queste premesse, Ignazio Marino attinge alla sua ricchissima esperienza per sviluppare una riflessione profonda e articolata, costellata di storie di vita vissuta, attraverso diversi aspetti dell'etica medica: dalla ricerca alla sperimentazione, dalla vita ospedaliera alla malasanità, fino alle nuove frontiere della scienza. Se quarant'anni fa dialisi e trapianti erano ancora in fase sperimentale, oggi il potere di vita e di morte dei medici è cresciuto in maniera esponenziale: si può far nascere un bambino in provetta, trapiantare cellule staminali, e prolungare artificialmente l'esistenza di una persona.
Come è emerso dal dibattito intorno alle vicende di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro e alla legge sul testamento biologico, ripreso nel corso del libro, sono temi che toccano in prima persona tutti noi, chiamati a comprendere l'intreccio complesso fra la medicina, la bioetica e la politica.
Senza dimenticare l'intreccio fra il corpo e l'anima, la libertà e la coscienza, i diritti dei singoli e il bene comune.
Uno scienziato travalica i confini della coscienza per dare vita a una creatura abominevole. Un giovane avvocato è sopraffatto dalle trame segrete di un diabolico conte. Un medico esplora il suo lato più oscuro cadendo vittima di se stesso. Titoli diventati presto leggendari e parte di un linguaggio universale, Frankenstein, Dracula, Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde, sono riusciti a rappresentare in modo tragico ma realistico l'eterna lotta fra Bene e Male che da sempre alberga in ognuno di noi. Stessa sorte mitica è toccata ai loro autori - Mary Shelley, Bram Stoker, Robert Louis Stevenson - che grazie al potere della loro inventiva, alle situazioni terrificanti, alle atmosfere "gotiche" catturano e lasciano sgomenti i lettori di ieri e di oggi, e, come le creature che hanno creato, sono diventati immortali. Con l'introduzione di Stephen King.
Eguaglianza e libertà sono sì due delle tre "parole della Rivoluzione francese", ma anche due concetti che non è affatto scontato accordare: l'uno limita l'altro e viceversa, e proprio in questa reciproca autolimazione risiede uno dei segreti cardinali della democrazia. Bobbio ripercorre la storia concettuale e sociale dei due termini, dall'idea generale, dall'ideale, fino alle incarnazioni politiche recentissime di quelle che, in fondo, sono anche due concezioni del mondo che continuamente si cercano e si provocano attraverso i secoli di storia dell'uomo.
Marco Lodoli non è soltanto uno scrittore, ma anche un insegnante, un professore nelle scuole superiori. Ogni giorno, in presa diretta si incontra e scontra con la scuola, con gli studenti e con il diffìcile e appassionante mestiere di insegnante. In "Il rosso e il blu" abbandona la finzione narrativa e, attraverso brevi ma folgoranti osservazioni, affronta i molti "cuori ed errori" che sono disseminati nella scuola italiana, e di cui è testimone quotidiano, esprimendo così il suo punto di vista sui tanti temi che entrano nel dibattito pubblico sull'educazione scolastica e i giovani di oggi: dal momento topico dell'esame di maturità alla piaga emergente del bullismo; dalla straniarne e defatigante esperienza delle gite di classe al problema della droga. Dall'angoscia degli studenti per il loro futuro, alla sintonia magica che talvolta si crea con il loro professore. Si delinea cosi un percorso mai scontato, dove la chiarezza espressiva è contemperata dalla profondità di giudizio. Gli errori della scuola sono solo un aspetto della questione. Non avrebbero senso e importanza, se dietro di essi non ci fosse la passione, insomma i cuori.