
A due anni di distanza dall'11 settembre 2001, gli effetti dell'attentato ancora incombono sulla vita di tanti americani, impegnati a tentare di immaginare un futuro di guarigione e ritrovata serenità. Questo sforzo, individuale e collettivo insieme, ha bisogno di un simbolo, di un faro, di qualcosa che renda tangibile ciò che solo le parole - e a volte neppure quelle - riescono a evocare. Il monumento che dovrà assolvere il compito sarà un luogo di pace, un documento storico, una nuova partenza. Viene così indetto un concorso anonimo e aperto a tutti per scegliere il progetto che meglio rappresenterà questa voglia di memoria e rinascita. Ma per quello che sembra in tutto e per tutto uno scherzo del destino, il progetto prescelto - il Giardino - risulta essere opera di un bravissimo architetto, referenziato e stimato. E musulmano. Per un attimo sembra che quel nome, Mohammad Khan, arrivato in modo cosi inatteso al tavolo della giuria, sia una sorta di déjà-vu: una nuova esplosione, un altro attacco kamikaze, quasi un nuovo attentato alla società americana. Le reazioni dell'opinione pubblica alla notizia sono prevedibilmente di shock e incredulità. L'architetto vincitore si vedrà costretto a ripensare il suo modo di essere americano e musulmano, di essere figlio e compagno, e finirà con l'abbandonare la battaglia per rivendicare quegli stessi diritti che gli hanno permesso di diventare ciò che è, un onesto e produttivo cittadino americano.
A mezzo secolo dalla pubblicazione della classica "Storia delle crociate" di Steven Runciman, "Le guerre di Dio" di Christopher Tyerman è oggi, per la meticolosità e l'approccio innovativo, il testo di riferimento sull'argomento. Non solo in quanto prende in considerazione le acquisizioni più recenti della ricerca storica, ma anche perché fa i conti con una mutata sensibilità culturale. L'autore, medievista di Oxford, colloca innanzitutto gli eventi in una cornice più vasta e realistica, che tiene conto di tutte le forze che portarono alle crociate: sia quelle politiche e religiose, sia quelle culturali, economiche, sociali, demografiche. Dalla pressione araba in Spagna, ai movimenti ereticali in Francia, alle sacche di paganesimo nei paesi baltici: per la prima volta in maniera tanto esaustiva, le crociate vengono viste come l'evento globale che furono, un qualcosa che va ben al di là delle campagne militari in Terrasanta. Una vera e propria visione del mondo, che ha definito la mentalità europea tra l'anno Mille e la" scoperta" dell'America. Tyerman porta alla luce l'intreccio di aggressività e paranoia, utopia e miopia che si materializzò nelle guerre (in Medio Oriente o nel "fronte interno", contro i movimenti ereticali), raccontando le storie degli individui che vi presero parte, dai personaggi celebri a quelli che nessuna cronaca riteneva degni di riportare ma che ugualmente contribuiscono a questo grandioso, paradossale affresco storico.
Mai come negli ultimi decenni il turismo è diventata un'attività che si nutre di immagini e di immaginari. Viviamo in una società fortemente mediatizzata, che produce un'enorme quantità di immagini finalizzate alla conoscenza e al consumo di luoghi e persone, che diventano patrimonio condiviso delle varie "comunità" turistiche e si trasformano via via in una sorta di icone. Partendo da approcci disciplinari diversi ma convergenti, come quello dell'antropologia culturale e della geografia, Marco Aime e Davide Papotti, basandosi su un percorso teorico supportato dall'analisi di casi esemplari, mettono in luce alcuni dei meccanismi che portano alla costruzione degli immaginari relativi a luoghi, spazi, eventi e dimensioni di vita esotiche. Immagini e immaginari che condizionano fin da prima della partenza ogni forma di incontro con la diversità, sia essa di carattere naturalistico-ambientale, sia invece di tipo etnico-culturale, e che determinano il nostro rapporto con l'altro e con l'altrove, perpetuandosi e riproducendosi in una sorta di circolo autoreferenziale.
Dalle aste con cui una volta i bambini riempivano i quaderni delle elementari è possibile passare facilmente all'ortografia, ai primi temi, e poi, attraverso passaggi sempre più ardui, arrivare a scrivere un vero romanzo, diventare anche un grande scrittore, come Italo Calvino ad esempio. È quel che sogna Michele Astarita, in una Napoli chiassosa e verace, che urla in dialetto e ostenta il disordine, tra padri autoritari e compagnie violente, fino a quando questa sua ossessiva ambizione non lo porta a confrontarsi con quel passato di scelte, piccoli equivoci, ingenue zone di silenzio che hanno condizionato irrimediabilmente tutta una vita. Un romanzo ironico e compassionevole che mette in scena, con disincanto le speranze e le delusioni di un'intera generazione. Con una premessa dell'autore.
"Chiunque abbia lavorato in un hotel giurerà di avere a disposizione un'aneddotica pressoché sterminata sulla clientela", dice il protagonista di questa vicenda ipnotica. La sua aspirazione sarebbe quella di diventare "un virtuoso del pianoforte", ma per sbarcare il lunario si vede costretto a fare il portiere di notte in un albergo. Ed è li che conosce Mabel, una collega con "poco seno, pochi fianchi, nessuno slancio - capace di comunicare una morbidezza del tutto assente nelle sue forme". Il fascino e la complicità che sprigiona ogni suo gesto sono le armi più affilate di un personaggio disarmante e inafferrabile che - accettando "tutto quello che le viene incontro con arrendevolezza" - fa infuriare ogni donna e seduce ogni uomo. Sarà proprio Mabel a illuminare lo scorrere lento delle notti del protagonista - incapace di trovare il coraggio per mettere a fuoco la sua vera identità -, e a impartirgli un'inconsapevole lezione sulle qualità che deve possedere un artista.
Per la radicalità della sua ricerca, l'originalità del pensiero e la determinazione con la quale ha saputo ridisegnare il panorama filosofico, Ludwig Wittgenstein è unanimemente riconosciuto come uno dei massimi filosofi del Novecento. Questo libro offre al lettore un'introduzione al pensiero del filosofo austriaco sintetica, rigorosa e completa al tempo stesso, a partire dal celebre esordio rappresentato dal Tractatus logico-philosophicus, per arrivare alle note Della Certezza, scritte poco prima della morte. Evitando di concentrarsi sulle ben note bizzarrie del personaggio, il libro di Sluga ha il merito di ricostruire gli eventi della vita di Wittgenstein riferendoli sempre e con grande attenzione alle condizioni storiche, politiche e personali dalle quali è scaturita la sua opera filosofica. Tratteggiando le idee fondamentali e i concetti-chiave delle diverse fasi della filosofia wittgensteiniana, Sluga rivela al contempo la misura in cui i mutamenti culturali e politici vissuti da Wittgenstein e dai suoi contemporanei riflettano molti dei drammatici eventi che caratterizzano il XX secolo, e come il pensiero del filosofo austriaco possa aiutarci ad affrontare i problemi peculiari dell'esistenza politica e sociale contemporanea.
"Francamente trovare idee per la mia vita mi sembrerebbe troppo, avendola anche vissuta". Più che un'autobiografia, "Bugiarda no, reticente" è un vitale, indisciplinato, libero confidarsi di Franca Valeri come fa la notte con se stessa, o con i suoi cani. Quando si ha da restituire una vita e non una scansione ordinata di fatti, le priorità di un'intera esistenza si possono anche riassumere in poche splendide righe, se si possiede l'etica disciplinare della sintesi: "A vent'anni era affondare il fascismo, a trenta avere in pugno il teatro, a quaranta tutto, a cinquanta occhiali e quasi tutto, e... eccomi". Fra una virgola e l'altra, e disseminati in queste pagine, ci sono naturalmente i fatti, gli affetti, gli eventi: i genitori, gli amici, la scuola, le leggi razziali, la guerra, il trasferimento da Milano a Roma; gli episodi più importanti della lunga carriera, dagli inizi in Francia, con il Teatro dei Gobbi, all'ultima commedia appena scritta. La nascita dei personaggi più celebri, dalla Signorina Snob alla signora Cecioni. E gli amori, anche: due uomini da raccontare senza imbarazzi come grandi traditori. E il ritratto di una generazione di donne libere e anticonformiste, uscite dalla guerra ventenni con una storia tutta da inventare. Ma quello che conta, e che resta, è il sorriso storto con cui Franca Valeri commenta e valuta ogni episodio, è la qualità dello sguardo, la grana della voce che trasfigura tutto. Capita, leggendo questo libro, di tornare indietro.
La prima guida all'uso personale del cinema. Di tutto il cinema. Da quello mai visto o dimenticato al grande successo planetario. Da Hollywood a Dakar, da Hong Kong a Cinecittà, di serie A e di serie Z, in nitrato d'argento o digitale. Una mappa geografica ed emozionale del cinema, suddivisa per generi.
"Ruzzante" è senz'altro il principale modello storico del teatro di Dario Fo. La forza della satira, la deformazione grottesca, la capacità di volgere il comico in tragedia sono caratteristiche della scrittura teatrale di Fo, e sono anche nell'archetipo dell'autore cinquecentesco. Logico dunque che allo scrittore-attore padovano Dario Fo abbia dedicato uno spettacolo che è omaggio, riscoperta, riscrittura. Una lezione di storia del teatro che è anche una sorta di autobiografia artistica. Angelo Beolco, detto il Ruzzante, fu uno degli autori più acclamati nella prima metà del Cinquecento. Dario Fo ha portato in scena, a partire dal 1993, un'affabulazione che lo rievoca, fa rivivere i suoi testi teatrali, ne spiega al pubblico la grande importanza storica riavviando i meccanismi della sua irresistibile comicità. Questa è la prima edizione a stampa del copione di quello spettacolo. Un copione che, come sempre è andato mutando via via con le varie repliche. Anche questa volta Franca Rame è riuscita a ricostruire il testo scegliendo tra infinite varianti, e ne ha tradotto le parti dialettali assemblando le ragioni della filologia e quelle dell'efficacia teatrale. Collaboratori: Marina De Juli, Gisella Palombi, Chiara Porro. Disegni originali di Dario Fo con la collaborazione di Giacomo Muscolino e Michela Casiere. Fotografati da Luca Vittorio Toffolon.
La sera del 9 luglio 1864, Thomas Briggs, benestante bancario della City, grigia figura della grigia Londra vittoriana, prende il solito treno per tornare a casa. A malapena si accorge di salire sulla carrozza 69: di certo ignora di star entrando, a suo modo, nella storia. Pochi minuti e alcune stazioni dopo, due pendolari trovano lo scompartimento vuoto e i sedili sporchi di sangue. Più in là due signore si lamentano col capotreno di essersi macchiate i vestiti per alcune gocce di una sostanza rossa entrata dal finestrino. Immediatamente le autorità ferroviarie capiscono che un orribile delitto si è appena consumato all'interno della carrozza 69. L'opinione pubblica è sconvolta. Per la prima volta in Inghilterra il treno diventa il palcoscenico di un omicidio: da rassicurante simbolo del progresso, il nuovo mezzo di trasporto svela la sua natura minacciosa, annunciandosi come un luogo pericoloso dove la violenza che attraversa la società può manifestarsi indisturbata. Spinta dalle pressioni della popolazione, del governo e dell'industria ferroviaria, Scotland Yard sguinzaglia i suoi uomini migliori. Inizia cosi una caccia all'uomo che non si limita alle strade di Londra ma proseguirà in un vero e proprio inseguimento transoceanico fino a concludersi in una New York scossa dalla Guerra civile. Sembra un romanzo giallo, antesignano di tanti "omicidi ferroviari". Invece Kate Colquhoun riporta alla luce una storia vera e incredibile che di quei romanzi è stata l'ispiratrice.

