
Ci sono occasioni in cui non serve essere un addetto ai lavori per comprendere a fondo un'opera d'arte. Specie se quello a cui si mira non è tanto l'analisi di una tecnica o l'esegesi di un significato, quanto piuttosto la ricostruzione di una grammatica del pensiero. Di Jonathan Littell conoscevamo finora il registro narrativo (il monumentale "Le Benevole"), saggistico ("Il secco e l'umido") e quello del reportage, giocato anch'esso sul filo della narrazione in continuo dialogo però con una realtà spesso atroce e complessa (i taccuini ceceni e siriani). "Trittico" ci propone un nuovo volto dello scrittore, che non contraddice i precedenti ma anzi li integra grazie a un serrato confronto, emozionale e stilistico, con le immagini. E non con immagini qualsiasi, ma con quelle della pittura di Francis Bacon, un artista che ha affrontato, con una tecnica inconfondibile e unica, molti dei fantasmi della modernità, dall'angoscia all'incomunicabilità, e soprattutto il grande tema del corpo. Bacon è anzitutto un pittore di figure deformate che sono in realtà specchio dei fantasmi interiori. Armato di un amore intenso per la sua opera, di un'intelligenza acuta e supportato da uno studio approfondito, Littell articola la riflessione sulla vita e sulle opere di Bacon attraverso tre diversi punti di vista, regalandoci così il suo personalissimo "Trittico".
Nei tre decenni trascorsi dall'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984 e dall'intesa coi valdesi firmata tre giorni dopo, è stata disattesa la promessa di novità contenuta in quei patti. Invece di accompagnare il cambiamento sociale e religioso, governi e parlamenti si sono aggrappati al passato, con la complicità di una gerarchia cattolica impaurita. I rapporti tra Stato, Chiese, islam e nuove religioni si sono impantanati nella retorica della "tradizione cristiana" e negli equivoci sulla laicità. Con sguardo acutissimo e una rara chiarezza espositiva, Ventura ripercorre le tappe che hanno portato al declino della Chiesa e del paese, entrambi ostaggio dei "creduli", i dogmatici e i manipolatori, i cinici e i faccendieri. Le dimissioni di Benedetto XVI e l'elezione di un papa Francesco in lotta contro le "bolle di sapone" pongono tutti davanti a un bivio. Se i credenti prevarranno sui creduli, se chi prende sul serio la propria fede politica o religiosa caccerà i mercanti dal tempio, è ancora possibile una primavera per l'Italia e per la Chiesa.
C'è qualcosa di vischioso nel Condominio R39. Un'aria viziata che toglie il respiro. Varcarne la soglia è come entrare in una gabbia di cui solo i bambini possiedono le chiavi. Un vecchio biologo infermo ossessionato dalla decomposizione. Una giovane che lavora in un night club e il suo fidanzato, dediti a pratiche erotico-esoteriche. Un'ex attrice di grandi speranze la cui mente è ora preda di fantasmi. Un ragazzino di dieci anni oppresso dall'affetto morboso della madre. Sono gli inquilini di una palazzina di Milano dove si consuma un atto violento e all'apparenza inspiegabile. Delle indagini è incaricato un commissario dal passato oscuro e dal presente tormentato. La realtà prende forma un tassello alla volta, in un'atmosfera che si fa sempre più tesa, fino a comporre un mosaico gotico che costringe i protagonisti a fare i conti con ciò che davvero sono.
A Buell, in Pennsylvania, il sogno americano prende la ruggine accanto alle fabbriche chiuse e alle acciaierie dimesse. Il lavoro che se ne va lascia dietro di sé una comunità in cui la fine del sogno di una nazione si ripete, ogni giorno, nei sogni infranti dei suoi abitanti. Come quelli di Isaac English: vent'anni, timido, insicuro, ha il cervello di un genio ma il college rimane un sogno da quando la madre si è suicidata e lui, qualche tempo dopo, ha tentato di imitarla. Sarebbe morto se non l'avesse salvato Billy Poe. Billy, da parte sua, non è molto sveglio, ma in compenso è grande e grosso: a scuola era un campione di football tanto da guadagnarsi una borsa di studio per l'università. Andarsene avrebbe significato stare alla larga dai guai ma ad abbandonare sua madre e la baracca in cui vivono non ce l'ha proprio fatta. Poi un giorno, dopo anni passati ad accudire il padre invalido, Isaac decide di scappare di casa e partire per la California. Appena fuori città si imbatte nell'amico Billy e quando scoppia un temporale decidono di ripararsi in un capannone abbandonato: l'incontro con tre senzatetto darà inizio a un'imprevedibile catena di eventi che segneranno per sempre le vite di Isaac, Billy e degli altri personaggi.
Scritto nel 1936, apparso per la prima volta in Francia nel '38 e poi da Einaudi nel 1945, questo libro è ancora oggi una delle maggiori opere che la nostra letteratura possegga sulla Grande Guerra. L'Altipiano è quello di Asiago, l'anno dal giugno 1916 al luglio 1917. Un anno di continui assalti a trincee inespugnabili, di battaglie assurde volute da comandanti imbevuti di retorica patriottica e di vanità, di episodi spesso tragici e talvolta grotteschi, attraverso i quali la guerra viene rivelata nella sua dura realtà di "ozio e sangue", di "fango e cognac". Con uno stile asciutto e a tratti ironico Lussu mette in scena una spietata requisitoria contro l'orrore della guerra senza toni polemici, descrivendo con forza e autenticità i sentimenti dei soldati, i loro drammi, gli errori e le disumanità che avrebbero portato alla disfatta di Caporetto.
Un fantasma degli anni Trenta più spaventato dei malcapitati a cui compare, un capitano dell'esercito di Napoleone durante la campagna di Russia, il protagonista de "L'uomo sentimentale" ritratto quando era ancora bambino, un maggiordomo bloccato in un ascensore, un caso di "doppio" a Barcellona che porterà alla rovina, un caso di "doppio" in Inghilterra che porterà all'orrore, un "ciccione schifoso" in adorante contemplazione di una donna dalla bellezza tanto ideale da apparire irreale... Sono solo alcuni dei personaggi di questi racconti scritti nell'arco di trent'anni che testimoniano un percorso narrativo in costante ascesa.
La storia è quella di papa Giulio II che, una volta morto, cerca di varcare le porte del paradiso ma viene respinto da san Pietro. Furibondo, cerca di convincere il più antico collega che la sua idea di Chiesa è vecchia e superata, cerca di "convertirlo" agli ideali della forza, del denaro, del potere. Ma, nonostante lo minacci con le sue armate, dal paradiso rimarrà fuori. Al di là della caricatura personale, un Giulio II ubriacone, omosessuale e sifilitico ricavato in parte dalla vox populi del tempo, l'aspetto più sovversivo del dialogo è lo svelamento della degradazione del papato come istituzione. È ovvio che un uomo prudente in termini di ortodossia come Erasmo poteva essere orgoglioso del suo pamphlet in comunicazioni private ma non poteva permettersi di firmarlo, e che quando i suoi ex amici luterani prendono lo Iulius come un libro-bandiera per le proprie battaglie si impegnerà a fondo per negarne la paternità. Ma i moderni filologi, tra i quali eccelle Silvana Seidel Menchi, glielo riattribuiscono a distanza di circa cinque secoli in maniera inoppugnabile. La storia di questo libello, che la curatrice ripercorre nel saggio introduttivo, attraversa gli anni cruciali della Riforma e incrocia tutti i protagonisti della grande battaglia teologico-culturale che ha forgiato l'Europa all'inizio della modernità.
La società non è la somma di rapporti bilaterali concreti, tra persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si riconoscono come appartenenti a una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi sono gli altri. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura. Dopo "Fondata sul lavoro", Gustavo Zagrebelsky prosegue la sua riflessione sui principi della Costituzione: al centro di questa riflessione stanno le idee, la loro importanza nella nostra esistenza, la gioia che possono procurare e i pericoli che ne insidiano l'autenticità. Senza idee, non c'è cultura; senza cultura non c'è società. E, senza libertà della cultura non c'è libertà della società.
Nelle terre di confine tra Liguria e Francia, un gruppo di personaggi il cui ago della bilancia è Veronique, con la sua malinconica bellezza, si incontra nelle case, lungo i sentieri delle colline, sulle strade vicino al mare. Nel fitto intreccio delle loro parole prende corpo il senso profondo della civiltà che quella terra ha espresso: il saper guardare gli alberi e i colori, il ricordo di guerre combattute senza doversi nascondere, i simboli malati delle culture nate da quello scontro. La conversazione è come sospesa sull'abisso. Nell'oscurità della notte si agita un mondo clandestino regolato dalle leggi della violenza e dello sfruttamento: l'universo dei disperati che si riversa in Occidente come un'onda oscura e inarrestabile. Prefazione di Giorgio Ficara.
Maurizio ha dieci anni e non vede l'ora che comincino le vacanze. Per lui l'estate significa stare dai nonni a Crabas: lì ogni anno ritrova Franco e Giulio, fratelli di biglie, di ginocchia sbucciate e caccia alle libellule, e domina con loro un piccolo universo retto da legami che sembrano destinati a durare per sempre. Ma nell'estate del 1986 qualcosa di imprevedibile incrinerà la loro infanzia e mostrerà a tutti, adulti e ragazzi, quanto possa essere fragile il granito delle identità collettive. Basta un prete venuto da fuori a fondare una nuova parrocchia per portare una scintilla di fanatico antagonismo dove prima c'erano solo fratellanze. In quella crepa della comunità l'estraneo può assumere qualunque volto, persino i capelli rossi di un inseparabile compagno di giochi. In questo racconto insieme comico e profondo, la penna inconfondibile di Michela Murgia ci regala una storia di formazione in cui il protagonista scopre - insieme al lettore - cosa significa dire "oi". "Non era un pronome come negli altri posti, ma la cittadinanza di una patria tacita dove tutto il tempo si declinava così, al presente plurale".