
Il De Ente et Uno, qui presentato in nuova edizione critica e traduzione, costituisce uno dei vertici della filosofia dell’Umanesimo italiano. In quest’opera, frutto del più “maturo” pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, l’enfant prodige del Rinascimento in brevi capitoli di approfondita riflessione teoretica, cesellati con passaggi degni della prosa dei più ispirati mistici, tenta di gettare le basi della conciliazione tra la filosofia di Platone e quella di Aristotele, momento aurorale del suo vagheggiato progetto di riunificazione del sapere universale. Il testo è accompagnato dalla prima traduzione italiana delle obiezioni del filosofo faentino Antonio Cittadini al De Ente et Uno e dalle risposte di Giovanni Pico. Il volume è curato da Raphael Ebgi (dottorando in “Metafisica” presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e, per la parte filologica, da Franco Bacchelli. Completano l’opera una prefazione di Marco Bertozzi e una postfazione di Massimo Cacciari.
Dopo I figli di Hùrin, dalle ancora non del tutto esplorate miniere letterarie di J.R.R.Tolkien emerge, grazie alle incessanti ricerche del figlio Christopher, un nuovo, prezioso inedito, per la gioia degli appassionati del “padre” di Il Signore degli Anelli e delle saghe nordiche. A esse, infatti, e in particolare al ciclo di Sigurd e di Gudrún, si rifà il grande narratore inglese ispirandosi all’Edda, alla Canzone dei Nibelunghi e alla Saga dei Volsunghi. Ecco allora susseguirsi prima le eroiche e tragiche avventure di Sigurd, l'uccisore del drago Fafnir che custodisce l'oro dei Nibelunghi, sino alla conquista della valchiria Brynhildr che Sigurd risveglierà dal suo sonno magico per poi inoltrarsi sul sentiero di un terribile destino sposando Gudrún. E quindi la storia della stessa Gudrún, inconsolabile vedova di Sigurd, di cui seguiamo, con tutta la suspense che l’epica autentica sa suscitare, la personale storia di vendetta che ricorda una tragedia greca trasporta nel Nord Europa. Una storia che passa attraverso il matrimonio con il malvagio re degli Unni, Atli attirato da Gudrún in una vera e propria trappola mortale. Un poema che affonda le sue radici nelle antichissime epopee mitiche della tradizione occidentale restituendocene l’afflato nconfondibile insieme a una sensibilità fantastica del tutto contemporanea, che da più di mezzo secolo continua ad affascinare lettori di ogni nazione e di ogni età.
John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), massimo studioso di letteratura medievale inglese, è l’autore della trilogia Il Signore degli Anelli, definito il libro del secolo XX. Tra le sue altre opere, tutte pubblicate in Italia da Bompiani a partire dal Duemila, ricordiamo: Il Silmarillion, Lo Hobbit annotato, Albero e Foglia, Le avventure di Tom Bombadil, Racconti ritrovati, Racconti perduti, Antologia di Tolkien, Mr. Bliss, Lo Hobbit a fumetti, Le lettere di Babbo Natale.
New York, oggi.
Peter, quarantenne, mercante d’arte a Manhattan, ha tutto quello che un uomo potrebbe desiderare. Un lavoro che sta per dargli nuove opportunità, un bell’appartamento, una moglie affascinante, una figlia che è andata al college.
Tutto.
O forse no.
Forse questo non può essere tutto.Forse alla vita di Peter manca qualcosa, il senso di un movimento, un’aspirazione, una tensione. Un pericolo. E quando nell’appartamento che Peter divide con Rebecca arriva Ethan, il fratello minore di sua moglie, un’attrazione misteriosa e inquietante sembra mettere a rischio qualsiasi parvenza di stabilità.
L’autore Premio Pulitzer di Le Ore ritorna con un romanzo seducente e sensuale, dalla scrittura densa e coinvolgente, che conduce il lettore sulle tracce di una Bellezza che tutto può salvare e tutto può distruggere.
Michael Cunningham è cresciuto a Los Angeles e vive a New York. Per Bompiani sono usciti: Le ore (1999), tradotto in ventisette lingue e vincitore del Premio Pulitzer per la Narrativa, del Pen/Faulkner Award e del Premio Grinzane Cavour 2000 per la Sezione Narrativa Straniera, Carne e sangue (2000), per il quale ha ricevuto il Whiting Writer’s Award, Una casa alla fine del mondo (2001), Mr Brother (2002) e Dove la terra finisce (2003). Dal romanzo Le ore è stato tratto il celebre film interpretato da Meryl Streep, Nicole Kidman e Julianne Moore, mentre da Una casa alla fine del mondo è stata realizzata una versione cinematografica diretta da Michael Meyers.
Il volume raccoglie i due scritti più importanti e corposi appartenenti alla prima fase di attività intellettuale del pensatore russo, quando – stando al suo stesso giudizio – “riteneva” ancora di essere un critico letterario. Si tratta peraltro di due testi assai eterogenei, di diversa natura e anche di diversa importanza. Shakespeare e il suo critico Brandes è la prima opera pubblicata da Sv estov in volume autonomo, nel 1898, e la traduzione qui proposta è la prima edizione a livello mondiale in una lingua che non sia l’originale russo. La lettura di Shakespeare risente della recente “scoperta” da parte di Sv estov dell’opera filosofica di Nietzsche, e manifesta un’importante impronta interpretativa tragica, contrastante quando non apertamente polemizzante con la visione del critico danese Brandes. Il valore positivo dell’idea di tragico, incarnato dalla grandezza e dalla dignità morale dei Bruto e dei Coriolano, sarà ben presto soppiantato da una tragicità – sempre su orme nietzschiane – progressivamente più disperata. Una delle prime testimonianze dell’involuzione disperata del tragico è allora proprio l’inedito e incompiuto scritto su Turgenev, abbozzo di testo critico dedicato a Turgenev e Cv echov, il cui contenuto sarebbe confluito in buona parte nella Apoteosi dell’infondatezza di poco posteriore, dove per la prima volta lo shakespeariano “tempo” che è “uscito dai cardini” giunge fino in fondo al suo cammino lasciando il pensiero a una altezza intollerabile per la ragione e per le costruzioni pacificate e onnicomprensive dell’intelletto. Qui nemmeno il riscatto morale troverà più luogo, e come unica via d’uscita rimarrà da quel momento in poi l’invocazione all’Assurdo di Dio e alla contrapposizione Atene-Gerusalemme.
Vladimir Sergeevicv Solov’ëv (1853-1900),visionario profeta del dialogo e tenero amante della Sapienza Divina, scrisse “Il dramma della vita di Platone”nel 1898, lo stesso anno del secondo viaggio in Egitto allorquando cominciarono i primi segni di cedimento fisico dovuti al troppo lavoro. In XXX paragrafi Solov’ëv analizza –facendo precedere il tutto da una lunga introduzione su come intendere il concetto di “dramma” nel pensiero greco a partire dai pre-socratici– il legame tra la teoria dell’amore di Platone (o meglio: la sua “crisi erotica”, proprio per come la definisce Solov’ëv) e il consequenziale mutamento della sua visione del mondo. L’autore si chiede quale sia la svolta (e ‘quando’, oltre al ‘come’, precisamente, si sia consumata) che induce Platone –fino a quel momento pensatore del “non essente”, fondatore del ‘pensare’ metafisico e delle questioni gnoseologiche astrattamente interpretate– a dedicare le sue migliori opere all’amore. Un argomento fino ad allora non specificatamente rientrato nell’ordinarietà della sua sfera filosofica che lo porta alla proposizione di una teoria che non trova punti di appoggio nelle sue ‘visioni’ precedenti e che ha lasciato, in tutto il successivo corso del suo pensiero, un’impronta profonda, determinante. Ancor prima della contrapposizione tra il “vero essere” e l’umbratile “divenire”, l’apparente o il fenomeno, Platone, sotto l’influsso della dottrina e della morte di Socrate, presentì la contrapposizione etica tra ciò che deve essere e ciò che effettivamente è, tra l’autentico ordine morale e l’ordinamento della società data. Questo fu il ‘dramma’ vissuto da Platone e dalla risposta di Solov’ëv alla domanda precedente concludiamo che la revisione del pensiero filosofico platonico fu determinata proprio da tale ‘crisi’ (da cui scaturisce, appunto, la sua teoria dell’amore) che è concepibile solo come progresso del suo idealismo letteralmente imposto dalle esigenze di una nuova esperienza esistenziale.
La dialettica della durata è stata pubblicata nel 1936, nel pieno del surrazionalismo di Gaston Bachelard (1884-1962), ossia della dottrina epistemologica più spregiudicata e provocatoria del secolo scorso, pure in così piena sintonia con le rivoluzioni relativistica e quantistica della scienza fisica. Lo scritto critica in maniera costruttiva la nozione tradizionale di durata e propone l’originalissima nozione del tempo come scintillanza quantica. Oltre che per la profonda opera di scavo del concetto di durata, per il superamento netto del bergsonismo e per le proposte innovative nella riflessione sulla temporalità, il testo si caratterizza per la lucida prospettazione di una futura disciplina epistemologica: la ritmologia. Uno dei pochi libri filosoficamente decisivi sul problema del tempo. L’edizione è stata curata da Domenica Mollica, studiosa del pensiero epistemologico francese del XX secolo. Questa sua traduzione restituisce con grande sapienza lo stile immaginifico ma al contempo scientificamente sorvegliato dell’originale francese.
“... Ti scrivo perché ho letto Tutto il pane del mondo che mi ha
profondamente commossa ed è riuscito a infondermi dopo anni
di oscurità un barlume di speranza...” (Chiara).
“... Mi ricordo che piangevo come una pazza quando andai
a comprare il libro della signora De Clercq; avevo ammesso tutto!
Mi ero rimessa in gioco, mi ributtavo nel mondo! NON ERO
SOLA! C’era qualcuno che poteva capirmi e che sollievo
e che pena ritrovarmi in quelle parole... nei punti e nelle virgole.
Continuate così!...” (Aisha).
“Mi chiamo Nica, ho 23 anni e dopo avere letto il tuo libro Tutto
il pane del mondo ho avvertito l’esigenza di scriverti, forse perché
la tua testimonianza ha alimentato ancora di più la speranza: forse
si può guarire, ritornare a vivere, veramente?...”.
“... Ho letto il libro Tutto il pane del mondo e sono rimasta
sbigottita dalle rivelazioni sconcertanti di Fabiola De Clercq:
quei comportamenti a me così familiari, quel modo meccanico
di vivere così affine alle mie abitudini; la stessa visione
del mondo. Ho detto a me stessa : ‘Mio Dio! Ma allora esistono
veramente le bulimiche! Non sono solo personaggi visivi! Esistono
e hanno le mie stesse preoccupazioni, provano le mie emozioni
e soprattutto affogano nel mio stesso mare di vomito!’...” (Maria).
In tre volumi, il filosofo Giovanni Reale ci spiega gli affreschi di Raffaello nella Stanza della Segnatura: la Scuola di Atene, la Disputa del SS. Sacramento e il Parnaso. La Stanza della Segnatura, che probabilmente era lo studio-biblioteca personale del Pontefice, rappresenta l’accettazione, da parte della Santa Sede, del pensiero umanistico - rinascimentale. In essa infatti sono rappresentate le tre vie del sapere umanistico: l’arte, la filosofia e la religione.
Con i volumi di Reale, un film di Elisabetta Sgarbi assolutamente unico. La regista, infatti, è riuscita a entrare nella Stanza della Segnatura, inaccessibile alle telecamere da circa quarant’anni.
Le Upanisad, parte dei testi sacri della religione induista, sono costituite da trattati di estensione variabile, appartenenti ad epoche diverse, in prosa e in versi, alcune miste; l’aspirante alla verità è indotto a trascendere il piano di realtà del grossolano attraverso la contemplazione o la stimolazione della ragion pura e attraverso l’ascolto delle verità supreme sull’origine e sul destino dell’uomo. In questa edizione vengono riportate con il testo sanscrito a fronte le tredici Upanisad più antiche (“vediche”), che risalgono a un periodo compreso, con tutta probabilità, tra il 700 e il 300 a.C.
“Sto preparando nella mia mente e anche sulla carta la formazione di nulla meno che un romanzo. Il protagonista dovrebbe essere un ragazzo della mia età (17 anni), [...] i tipi fondamentali li ho già trovati e sono gente che ho conosciuto e osservato. [...] ci vorrà un anno e più; ma sono sicuro che quando l’avrò finito avrò fatto qualche cosa di buono.”
Alberto Moravia, lettera ad Amelia Rosselli del maggio 1925
Alberto Moravia era legato per nascita ai fratelli Rosselli: Carlo e Nello, assassinati in Francia su mandato del fascismo italiano. Con loro, suoi cugini, e con tutta la famiglia Rosselli, in particolare con la zia Amelia, Moravia intratteneva un costante carteggio, qui raccolto con circa 60 lettere: Amelia Rosselli (1870-1954) svolse un ruolo decisivo nella formazione umana e intellettuale del giovane scrittore. Molte lettere sono state scritte da Moravia durante la degenza al sanatorio di Cortina e testimoniano della sua sensibilità di adolescente e della formazione letteraria e culturale nel periodo della lunga convalescenza. Quel che ne emerge, insieme ad altre lettere familiari e ai primi esercizi poetici, è un vero e proprio ritratto dello scrittore da giovane – quando già letture e interessi facevano presagire il futuro di grande scrittore che di lì a poco lo aspettava. Le lettere registrano infatti la crescente minaccia del regime, che sin dagli anni Venti si abbatte con violenza sui Rosselli, protagonisti della lotta antifascista, e negli anni Trenta in modi più circospetti anche sul loro cugino, divenuto ormai l’autore famoso degli Indifferenti. Il rapporto tra Moravia e i Rosselli prosegue oltre la morte di Carlo e Nello e presiede nel ’50 al discusso romanzo Il conformista. Un capitolo ineludibile del Novecento italiano.

