
"C'erano stati parecchi rapporti di strani incidenti con cose che volavano tra gli alberi. Noi, perlopiù, ci ridevamo sopra. Ma quando entrammo nella giungla, vedemmo una forma quasi sferica, sospesa sul terreno su quattro gambe. E c'era un certo numero di umanoidi, tanti quanti no". A parlare è Joe, che all'epoca, nel settembre del 1971, era di stanza con l'esercito USA in Thailandia, durante la guerra in Cambogia. Non fu la prima volta, quella, che gli alieni si fecero vedere negli scenari di guerra del Sud-est asiatico. Apparvero UFO, ripetutamente, nelle guerre del Vietnam e di Corea, e spesso i dischi aprirono il fuoco contro terrestri. Gli alieni monitorarono tutta l'Asia meridionale e solo ora, dopo decenni di omissioni e silenzi, le prove della loro presenza vengono alla luce, nei documenti un tempo secretati dal governo americano. File che l'autore ha raccolto pazientemente negli anni e che adesso sono pubblicati per la prima volta.
Nel 1993, quattro anni dopo la caduta del Muro di Berlino e nel bel mezzo del trionfo della democrazia liberale, Derrida scrisse un libro precursore sull'eredità di Marx. Non si tratta di un tardivo allineamento al marxismo, ma di un ritorno di Marx e di tutti coloro che lo hanno abitato come spettri del nuovo ordine mondiale. È una decostruzione fedele allo spirito del marxismo; o almeno a uno di essi, perché ce n’è più di uno. La riconciliazione è possibile tra un'idea divenuta spettrale e l'imparare finalmente a vivere, tra un tempo disgiunto e un tempo dalla lunga durata. Per vegliare sul futuro e pensare a ciò che potrebbe ancora accadere, è necessario lasciare o ridare parola ai fantasmi; ci richiameranno sempre alla nostra responsabilità. Presa di posizione, gesto politico, dichiarazione di resistenza allo Stato globale, decostruzione del diritto internazionale, c’è tutto. Leggere Spettri di Marx a trent'anni dalla sua pubblicazione significa anche dialogare con gli spettri di Derrida, cogliere l'idea di una possibile rivoluzione a venire. Questa nuova edizione include un dibattito inedito con Étienne Balibar, tenutosi il 1º febbraio 1994 presso il Collège international de Philosophie, correzioni infratestuali dello stesso Derrida ed estratti di corrispondenza.
In Immagini che curano, Horst Bredekamp indaga il legame inedito tra arte e psicoanalisi che ha caratterizzato la vita e la pratica terapeutica di Sigmund Freud. Contrariamente all’idea diffusa di psicoanalisi come mero scambio verbale e alla sua presunta inclinazione aniconica, se non apertamente iconoclasta, Bredekamp dimostra come le immagini abbiano avuto un ruolo cruciale nel pensiero e nel metodo del suo fondatore. L'autore si concentra su due aspetti emblematici: da un lato, l'ossessione per il Mosè di Michelangelo, un'opera con cui Freud stabilì un profondo legame identificatorio e che lo spinse più volte a tornare a Roma; dall'altro, la sua vasta collezione di statuette e idoli in gran parte antichi, raccolti in anni di viaggi e disposti con cura nel suo studio, prima a Vienna e poi a Londra. Questi manufatti, lungi dall'essere semplici oggetti da ammirare nelle vetrine, svolgevano un ruolo attivo nell’indagine dell'nconscio, contribuendo a neutralizzare i fantasmi e i traumi sepolti nel profondo dei pazienti. Un libro che rivela la potenza terapeutica delle immagini e offre una nuova chiave di lettura per comprendere le origini del pensiero freudiano.
Quanto più la tecnologia e l'umanesimo sapranno interagire, tanto più l'umanità solcherà positivamente la strada del progresso. È questa l'idea che ispira questo libro, frutto della collaborazione tra un filosofo e un tecnologo. Entrambi, infatti, promuovono un giudizio positivo sulla tecnologia perché, se è vero, seguendo l’etimo greco di pharmakon, che è insieme un veleno e un rimedio, è innegabile che la capacità tecnologica appartiene all’umanità sin dalle sue origini. E risiede in essa la capacità di conservare e moltiplicare il valore dei suoi beni materiali e culturali a beneficio delle generazioni future.
La peculiarità del pensiero di Michel de Certeau è stata sempre l’attenzione a leggere la storia culturale e sociale intrecciando discipline e me­todi diversi, dalla filosofia alla psicoanalisi, alla linguistica. E questo non per una sorta di comodo eclettismo o di sincretismo conciliante, ma per la volontà di reinserire ogni momento storico nella molteplicità delle sue componenti, anche nelle contraddizioni dei suoi conflitti. Egli diffidava fortemente delle griglie costruite sul passato per ritagliare i saperi e rifiutava l’idea di azione cul­turale come pioggia benefica di briciole cadute dalla tavola dei sapienti e dei potenti.
Anche questo testo, che vede qui la sua prima traduzione italiana, è intriso della sua capacità di vedere sempre più lontano e in profondità, andando a scoprire le mille reti informali che permettono ai flussi di trasmissione culturale di circolare: unico modo per evitare che una società soffochi e muoia. Perché una cultura al singolare traduce sempre, dice de Certeau, il «singolare di un ambiente», imponendo la leg­ge di un potere, mentre la cultura plurale è crea­zione, magari deperibile, magari conflittuale, ma sempre relativa a una comunità che cresce e sa cambiare e, alla fine, durare.
Figlio del suo tempo (gli anni a ridosso del ’68 francese), il libro affronta argomenti ancora al centro delle nostre preoccupazioni: le forme del lavoro, la situazione nella scuola, la collocazio­ne sociale degli intellettuali e degli scienziati, lo spazio di convivenza urbana, le minoranze, il ruolo delle istituzioni culturali… Tutti stimoli per riflettere anche sull’oggi adottando il ‘metodo de Certeau’, il suo sguardo che smaschera il simulacro di ciò che è stato e non è più, ma che allo stesso tempo conosce e valuta i limiti del gioco plurale. Una lezione di libertà, un deside­rio attivo di creare possibilità, di allestire spazi concreti di movimento nella vita in comune.
Biografia dell'autore
Michel de Certeau (1925-1986), gesuita fran­cese, è stato una delle figure di maggior rilievo nel panorama culturale contemporaneo. Storico affascinato dall’avventura mistica, antropologo attento alla vita quotidiana delle persone, viag­giatore curioso delle diverse culture umane, ha indagato su vari ambiti del sapere, spesso mescolandoli in percorsi trasversali di grande originalità. Tra le sue molte opere tradotte in italiano: Fabula mistica, Storia e psicoanalisi, La presa della parola, L’invenzione del quotidia­no. Per Vita e Pensiero sono già usciti nel 2010 Lo straniero o l’unione nella differenza e nel 2020 La debolezza del credere.
In una chiesa parata a festa, un uomo piange dietro una colonna. Alto e magro, è un ragazzo, accanto a lui una bambina sembra consolarlo. Sta per sposarsi, ma quelle lacrime non esprimono paura, bensì il timore di non poter offrire alla sua Lucia il matrimonio che si merita. Dentro di lui arde il fuoco della recitazione, vuole andare a Roma e cercare di dimostrare che può fare l'attore e avere successo, e poi tornare a prendere Lucia e il figlio che ha in grembo. Per tutta la vita, Lando Buzzanca ha vissuto questo dualismo: da una parte, il suo furore per il set, per il desiderio di calcare le scene, dall'altra la passione per l'unica donna che abbia mai amato. Severo in famiglia, sorridente, sfacciato, impertinente quando recitava. Dal provino per Gassman, ai grandi ruoli per Germi, De Sica, Festa Campanile e molti altri, ha lavorato con il Gotha del cinema italiano, spesso incarnando la figura del tipo maschio italico, superdotato e spaccone. Ma chi era veramente Gerlando Gigi Buzzanca? In questa auto barra biografia, il figlio Massimiliano racconta l’uomo dietro all'attore, il padre oltre che l'artista, rivelando aneddoti e ricordi che solo chi è cresciuto al suo fianco e ne ha visto forze e debolezze può svelare, spiegando anche ciò che ha voluto dire essere "il figlio di Lando Buzzanca".
La scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922 scatenò l’immaginazione di tutto il mondo. Mentre Howard Carter ne svuotava i tesori, la mania verso il faraone attanagliava il pianeta e, per molti versi, non è ancora cessata. Ma chi era il re bambino e com’era veramente la sua vita? Garry J. Shaw racconta la storia completa del regno di Tutankhamon e la sua moderna riscoperta. Come faraone, Tutankhamon dovette gestire un impero, destreggiarsi tra cortigiani influenti e soffrire per la perdita di almeno due figli, il tutto prima del suo diciannovesimo compleanno. Shaw esplora i tesori e i beni del re bambino, da una ciocca di capelli della nonna a una canna tagliata con le sue mani. Si sofferma anche su Ankhesenamun, la moglie di Tutankhamon, e sul potere che le regine detenevano. Si tratta di una nuova biografia avvincente che intreccia dettagli intriganti sull’antica cultura egizia, sulle sue credenze e sul suo posto nel mondo.
Che cosa è l'Intelligenza artificiale? Che cosa ha a che fare con alexa, google maps, la nostra televisione, il telefono che abbiamo in tasca, il frigorifero in cucina... tutti rigorosamente smart? Che cosa rischiamo quando usiamo questi strumenti consegnando loro, spesso inconsapevolmente, una grande quantità di informazioni su di noi, sulle nostre attività, i nostri gusti, i nostri spostamenti?In quali ambiti l'Intelligenza artificiale rende le nostre vite più semplici e sicure?L'autore di questo libro ha creato un percorso che, nella maniera più semplice possibile, risponde a queste e a molte altre domande, stimolando la curiosità del lettore e promuovendo una consapevolezza tecnologica.L'intelligenza artificiale non è un destino, ma una possibilità, sta a noi decidere come vogliamo sfruttarla.
Ampio saggio sulle Afriche inteso come un Continente dai molti volti. L’Autore, profondo conoscitore del Continente, prende in esame non tanto l’Africa intesa come luogo bensì le Afriche che convivono nella stessa terra, nei loro diversi aspetti: storia, cultura, economia, religioni. Un’indagine a tutto campo per sfatare molti pregiudizi e acquisire nuove conoscenze sul Continente che inizia a far sentire il proprio valore e peso geopolitico nella comunità internazionale.
Al cuore di questo lavoro è incastonata la coscienza, vista come esperienza complessa e dinamica influenzata da percezioni sensoriali, impulsi affettivi e interazioni con l’ambiente fisico e virtuale. Voltolin esplora come i media digitali stanno trasformando noi e il modo in cui viviamo e percepiamo le cose, nella quotidianità ordinaria così come nella vita spirituale. Tecnologie digitali e realtà virtuale, concepite come un’estensione del corpo e delle capacità umane, amplificano le esperienze sensoriali e offrono nuove forme di interazione con il mondo e con il trascendente: permettono esperienze immersive che coinvolgono profondamente corpo, mente e spirito. La nostra coscienza, allora, può estendersi oltre i limiti fisici. Ciò in fluisce anche sull’esperienza religiosa, perché i linguaggi digitali possono arricchire la nostra spiritualità, permettendoci nuove modalità di preghiera e contemplazione. Infine Voltolin esplora la coscienza come esperienza vissuta. I media digitali facilitano una comprensione più integrata della coscienza, intesa come un flusso continuo tra percezione, emozione e pensiero, e superano la separazione tra soggetto e oggetto, trasformando l’interazione tra coscienza e realtà.
Vedete tutto senza sfumature, o bianco o nero? Vi concentrate solo sugli aspetti negativi, gli errori, le incapacità? Credete di sapere in anticipo cosa penserà un altro? Prevedete eventi negativi in continuazione? L'autrice individua ben 36 distorsioni cognitive, idee sbagliate o irrazionali e una dozzina di convinzioni errate che pregiudicano la vita di molte persone. Non sono le situazioni della vita a determinare la felicità o l'infelicità di un individuo ma la sua interpretazione dei fatti e, di conseguenza, il suo atteggiamento verso le avversità. Il libro conduce brillantemente il lettore a individuare e correggere definitivamente le proprie convinzioni errate e distorsioni cognitive per recuperare serenità ed equilibrio psicofisico.
Per otto anni sull’uccisione di Giancarlo Siani, avvenuta il 23 settembre del 1985, cala il silenzio. Il movente è chiaro fin dall'inizio, molto scomodo individuarlo davvero. A quarant'anni da uno dei più efferati delitti mafiosi avvenuti in Italia, questo libro è un contributo alla memoria da parte di chi ha lavorato in via Cosenza n. 13, a Castellammare di Stabia, la stessa redazione del Mattino dove ha operato Siani. È il racconto dell'impegno di un ristretto gruppo di giornalisti, il "pool Siani", che ha inseguito la verità a partire dal 1993, quando alla direzione del quotidiano arrivano un maestro di comunicazione, Sergio Zavoli, e Paolo Graldi, geniale esperto di mafia e terrorismo, entrambi non napoletani. Comincia sotto la loro guida una lunga inchiesta parallela a quella della magistratura, tra silenzi impenetrabili e piste inesplorate: Siani lasciato solo in "terra nemica"; un manoscritto, in procinto di essere pubblicato, fatto sparire; la paura che lo divora poche ore prima di essere ucciso, quando invano cerca di essere scortato a casa. Piste decisive se imboccate subito, destinate a essere percorse a metà a distanza di otto anni dal martirio laico di un cronista ventiseienne, senza contratto, armato soltanto del proprio coraggio.