
Era il 29 febbraio 2016 ed erano le 7 di mattina, atterra a Fiumicino un volo Alitalia proveniente da Beirut. Novantatré persone, in gran parte bambini, tutti siriani. È il primo corridoio umanitario che porta in salvo un gruppo di persone in fuga dalla guerra. In sicurezza e lontano dalle mani dei trafficanti. Fra di loro c'è anche Badheea. La donna protagonista di questa storia. Una dei sessantacinque milioni di profughi nel mondo. Una madre-coraggio che affronta la morte dei propri cari, la perdita della propria casa e di tutto ciò che aveva; il dolore, la paura, la separazione, il pericolo: ma senza smettere di resistere e di coltivare la speranza. Una storia che racconta anche di un gruppo di volontari italiani, i corpi civili di pace dell'Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII, che hanno vissuto con Badheea e con la sua famiglia per tre anni nei campi profughi del Libano; racconta di un passaggio verso una vita degna di essere vissuta, un corridoio umanitario, aperto dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche e dal Tavolo Valdese, che ha consentito a Badheea di richiedere protezione internazionale.
Aprire una birreria nei luoghi in cui la tradizione e l'economia si reggono sul vino. Iniziare a farsi la birra da soli in un paese dove la legge non lo prevede e non si sa neanche quali permessi ci vogliano. Trasformare un sogno in realtà e vedere la nascita e lo sviluppo di una cultura nuova della birra in Italia. Questa è la storia di Teo Musso. Si vestiva strano, si truccava molto e andava in giro per l'Europa in autostop quando decise di aprire la birreria Baladin nella piazza del suo paese, Piozzo. Era il 1986: nelle Langhe esisteva solo il vino, in Italia l'unica possibile birra era una bionda industriale rigorosamente pubblicizzata da una bionda sorridente. Quasi nessuno poteva sospettare che in pochi decenni sarebbe scoppiato quel movimento di passione, gusto e cultura della birra artigianale che è ormai una realtà sempre più in espansione. Ma non c'era calcolo nell'impresa di Teo: c'era solo la scoperta entusiasmante delle infinite possibilità espressive dell'universo della fermentazione artigianale e la capacità di contagiare con il suo entusiasmo, e con la bontà delle birre che riusciva a produrre, dapprima i clienti della sua birreria, poi i ristoratori più attenti e aperti, poi sempre più persone in quella che stava diventando una vera e propria rivoluzione. Un'avventura esaltante, piena di storie e di personaggi di ogni sorta, di passioni brucianti e di sapori inaspettati. E un mondo che prima non c'era. Prefazione di Carlo Petrini. Con un'appendice di Maurizio Maestrelli.
Baldovino di Sassonia Coburgo Gotha, Re del Belgio dal 1951 al 1993, è stato una personalità autorevole e influente nell'Europa del Novecento. Nel libro si ripercorrono tutte le pagine salienti di una vita: il racconto dell'infanzia infelice, con la perdita della madre in un incidente stradale, la prigionia e la deportazione con la famiglia reale durante il nazismo, gli anni del collegio svizzero. Salito al trono poco più che ventenne, il nuovo Re dovette affrontare la grave crisi in cui versava la sua nazione dopo la Seconda guerra mondiale e cercò di rimediare agli esiti nefasti del colonialismo nel Congo, voluto dallo zio Leopoldo II. In seguito, si adoperò con convinzione e da protagonista per l'ingresso del Belgio nell'Ue e nell'Alleanza Atlantica. Figura indelebile della vita di Baldovino è quella della regina Fabiola. Compagna inseparabile di vita e di fede e sua prima confidente, ebbe un ruolo di primo piano anche nello snodo più drammatico del regno, quando, nel 1990, il Re decise di sospendere il suo incarico piuttosto che firmare la legge favorevole all'aborto votata dal Governo. In questa decisione risultò decisivo l'incontro segreto che i sovrani ebbero con un frate al santuario di Loreto. È questo il "gran rifiuto" di Baldovino, lodato da papa Francesco durante la sua visita pastorale a Bruxelles del 28 settembre del 2024, in cui ha anche sollecitato l'apertura del processo per la beatificazione.
Conosciuto come il Re lebbroso, Baldovino iv fu il giovane re di Gerusalemme che, pur se affetto da una gravissima malattia, difese le terre conquistate dai cristiani affrontando le armate del suo grande rivale Saladino.
Figlio di Amalric e Agnese di Courtenay, Baldovino divenne re ad appena tredici anni nel 1174, per decisione della corte, accettato dai capi dei crociati che lo ritenevano debole a causa di una forma devastante di lebbra che si era manifestata sin dalla fanciullezza. Un re che non sarebbe dovuto durare e che non avrebbe dovuto avere alcun peso nella feroce guerra tra le fazioni politiche per il controllo della Terra Santa.
La storia di Baldovino iv fu invece sorprendente: un giovane cavaliere crociato che vide la sua giovinezza e la sua forza divorate dalla lebbra e che tuttavia mai si arrese al male, che prese su di sé come una croce da portare in battaglia. Invece di chiudersi nella difesa di Gerusalemme, Baldovino decise di attaccare, invece di essere docile strumento nelle mani di duchi e conti, tenne loro testa; malato e ormai in punto di morte si pose alla testa del suo esercito nella battaglia di Montgisard. Vinse issando la reliquia della Vera Croce. Il re lebbroso si spense il 16 maggio 1185 a soli ventiquattro anni e riposa nel Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Biografia dell'autore
Ilaria Pagani
Ilaria Pagani è storico dell’arte, saggista e pubblicista, ha lavorato alla RAI, per il quotidiano Il Tempo di Roma, per Zetema Progetto Cultura e collaborato con la cattedra di Storia generale dell'Università “Neofit Rilski” di Blagoevgrad (Bulgaria).
Tra le pubblicazioni in volume segnaliamo I ponti fortificati del suburbio (Aracne 2004); Globalizzazione e valori. Il mondo romano davanti a nuove culture e nuovi valori (Blagoevgrad 2007); Constitutum Costantini. Riflessi nell’arte figurativa (Museo Diocesano Albano Laziale, 2016).
Suoi interventi sono stati pubblicati in riviste e collettanee: La chiesa di S. Filippo Neri in via Giulia (in “Studi sul Settecento Romano”, n. 15 a cura di E. Debenedetti, Roma 2000); Frammenti scultorei del lapidario di Grottaferrata (in “Documenta Albana” 09/2003); voce Matteo di Giovannello (in Saur 05/ 2006); Note introduttive per una iconografia dell’esilio (in “Flussi migratori e accoglienza”, a cura di P. Celozzi Baldelli e E. Baldassarri, Aracne 2009); Caterina Cornaro. Mitografia di una regina dalla Repubblica di Venezia al Risorgimento italiano (in “Studi sull’Oriente Cristiano” 16, 2 [2012]).
Un libro lucido e appassionato che ricostruisce gli anni cruciali per la Democrazia Cristiana, che proprio in quegli anni conosce la fase del tramonto, ma anche per la storia politica e istituzionale del Paese. Una testimonianza vivida di quegli anni che non mancherà di interessare e coinvolgere il lettore.
Cresciuto in una devota famiglia cattolica nei Paesi Bassi, Paul Glaser, già adulto, scopre di avere origini ebraiche. Turbato da questa rivelazione casuale, Paul cerca di capire cosa è successo alla sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale, il motivo di un silenzio così lungo sulla propria identità, e il motivo della misteriosa frattura fra suo padre e Rosie, zia di Paul. Rosie Glaser, ebrea non praticante, è una donna magnetica, sensuale, esuberante, astuta, innamorata del ballo che neppure quando i nazisti prendono il potere si spaventa, e anzi apre una scuola di ballo nell'attico dei suoi genitori, naturalmente illegale. Tradita dagli uomini di cui si fidava, arrestata dalle SS, finisce ad Auschwitz. Nel campo di concentramento è determinata a sopravvivere, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione, anche la sua passione per il ballo, anche la sua capacità seduttiva, messa a dura prova negli stenti cui è costretta. Delle milleduecento persone che sono arrivate con lei ad Auschwitz, solo otto sono sopravvissute. E tra loro c'è Rosie. Illustrato da una ricca selezione di foto, "Ballando ad Auschwitz" è insieme la cronaca di una indagine e di una scoperta che cambiano la vita di un uomo, Paul Glaser; è anche il ritratto di una donna straordinaria, segnata dall'amore, dal tradimento e dal coraggio.
Di Sabrina Harman tutti dicevano che non avrebbe fatto mai male a una mosca. Nella sua unità in Iraq era considerata una che odiava assistere ad atti di violenza, o commetterli. Eppure Sabrina Harman e molti altri suoi commilitoni, fra cui Charles Graner, Lynndie England e Ivan Frederick, sono le stesse persone che ridono beffarde puntando il dito davanti a una piramide umana di prigionieri incappucciati, che sollevano festose il pollice accanto al cadavere di un uomo morto per le torture, che indifferenti stringono una cinghia intorno al collo di un detenuto nudo a terra. Questo libro è la storia di quelle fotografie, di quegli uomini e di quelle donne. Ma è soprattutto la storia agghiacciante di ciò che non si vede, di come quel luogo è diventato il cuore di tenebra del nostro presente, un luogo in cui i prigionieri - il 75 per cento dei quali è risultato poi innocente - venivano quotidianamente picchiati, denudati, umiliati, torturati, privati di dignità e diritti; a volte uccisi. È il racconto di come tutto ciò è diventato normalmente possibile e di come le istituzioni, ricorrendo a ipocriti eufemismi e a fumosi termini tecnici, hanno consapevolmente perseguito questo obiettivo. Ogni giorno ci dicono che siamo in guerra, che certi compromessi sono inevitabili, che fanno parte delle "regole del gioco". Per questo le fotografie di Abu Ghraib ci riguardano tutti: non possiamo ignorare l'orrore, non possiamo far finta che sia un male necessario.
"«Le bugie, si dice, hanno le gambe corte. Ma quando riguardano la salute corrono abbastanza velocemente da raggiungere chi le crede e ucciderlo.» Nel suo nuovo libro, Roberto Burioni esamina da vicino una serie insieme tragica e grottesca di bufale pericolose, anzi di balle mortali che ci mettono davanti agli occhi i rischi di affidarci ai ciarlatani invece che ai dati certi, alle prove sperimentali, al metodo scientifico della medicina. Cosa possiamo fare per difendere la nostra salute, quella dei nostri cari e dell'intera comunità dai danni prodotti dalle balle mortali? Dobbiamo difendere prima di tutto la ragione e la scienza, cioè quel metodo che da secoli ha permesso alla medicina di vincere malattie un tempo incurabili e aumentare non solo la durata ma anche la qualità della nostra vita; quel metodo oggi sotto attacco da parte della disinformazione e del nuovo oscurantismo in cui proliferano i ciarlatani. In campo medico, le fake news possono uccidere, ed è un dovere civico smascherarle."
La biografia del calciatore più discusso, amato ed idolatrato degli ultimi anni: “Balotelli. A Cresta Alta”, di Raffaele Panizza e Gabriele Parpiglia.
Il vostro punto di vista su Mario Balotelli d’ora in poi non sarà più lo stesso: con una seria di innumerevoli interviste, retroscena, testimonianze, flashback e rivelazioni, ecco tutta la verità sul più chiacchierato calciatore del mondo dai tempi di Diego Armando Maradona.
Laure Balzac, sorella amatissima del romanziere, all'indomani della morte di Honoré decide di tracciarne la biografia, per prevenire, dice "gli errori che potrebbero prendere piede in merito al carattere di mio fratello e alle circostanze della sua vita". Ma quel che più le importa è dare un giudizio definitivo sulla Commedia umana: ha forse avuto torto Balzac, si chiede, nel credere che il romanzo di costume non può prescindere dai contrasti e che la rappresentazione della virtù non basta, da sola, ad ammaestrare gli uomini? Di soli due anni più piccola del fratello, Laure gli era molto legata. Honoré la proteggeva e spesso si faceva punire al posto suo. Una familiarità e confidenza che non li abbandonerà per tutta la vita. Per sette anni fu separato dalla sorella perché mandato a studiare al collegio di Tours. Lì spesso era punito con la proibizione di uscire dalla sua stanza. Ne approfittava per leggere e in quegli anni divorò quasi tutta la biblioteca del collegio. Rientrato a casa gli venne messo a fianco un precettore. Era un ragazzo normalissimo, anzi bisognava un po' spronarlo allo studio del greco e del latino. Ma era un grandissimo osservatore. Cominciò a scrivere presto, Laure da conto della sua intera opera, di come giunse alla decisione di intitolarla complessivamente "La Commedia umana", titolo sul quale esitò a lungo perché troppo audace. Tra il 1827 e il 1848, ricorda Laure Balzac "mio fratello pubblicò 97 opere pari a 10.816 pagine."
Un utile libro di psicoterapia infantile.