
Nel terzo Convegno del ciclo "Religiosità e civiltà", tema delle Settimane della Mendola, Nuova Serie, sono state indagate le varie modalità con cui il cristianesimo si è aperto alla conoscenza delle altre religioni. In particolare si è esplorato come, con varie modulazioni, i cristiani di età medievale abbiano percorso itinerari che, a partire dalla coscienza del loro essere profondo, li hanno portati a misurarsi con i messaggi delle altre religioni, utilizzando sia l'osservazione empirica, sia lo studio approfondito delle altrui tradizioni culturali, sia la traduzione e la riflessione sui testi sacri delle altre fedi religiose, con particolare riguardo al Corano. I singoli casi di studio sistematico di argomenti particolari sono anche serviti per verificare come il confronto tra gli aspetti culturali e le forme cultuali delle altre religioni non abbia portato a uno scontro di civiltà, come alcuni studiosi hanno recentemente sostenuto, bensì, allontanando ogni facile irenismo, a una effettiva difficoltà di realizzare un vero e proprio dialogo. Sono indubbiamente emersi gli influssi reciproci, sul piano del comportamento etico, e a volte sul terreno delle liturgie, ma a tratti sono stati messi a nudo gli scontri violenti, specialmente contro i pagani delle pianure dell'Est europeo, o contro gli ebrei presenti in Occidente, o contro i musulmani durante le diverse spedizioni crociate.
"Ciò che bisogna opporre alla deriva distruttiva del business non è la 'gratuità', e neppure un''etica degli affari' o un''economia del dono', ma l''economia', semplicemente l'economia, anche se deve essere un'economia all'altezza del suo stesso nome. Quest'ultima, per essere tale, è come obbligata a rispondere a un doppio imperativo: essa deve misurare e calcolare (non può mai procede a caso: necessita di una ratio), ma al tempo stesso deve anche riconoscere che il suo calcolo (la sua ratio) è destinato per delle ragioni essenziali a misurarsi con l'incalcolabile. Uno stimolante saggio filosofico che, partendo da un'analisi approfondita delle radici antropologiche dell'abitare umano, arriva a denunciare la perversione di molta 'finanza creativa' e l'ingenuità delle diverse 'etiche degli affari'."
Antonio Genovesi può essere a ragione considerato uno dei fondatori della moderna scienza economica. L'eclettico pensatore napoletano cominciò a occuparsi quasi esclusivamente di economia, etica e antropologia solo negli ultimi quindici anni della sua vita. Primo in Europa a ricoprire una cattedra di Economia (istituita a Napoli nel 1754), potè diffondere il proprio magistero non solo in Italia ma in tutto il contesto illuminista. Le "Lezioni di commercio o sia di economia civile" costituiscono il corpus del corso universitario svolto da Genovesi, ma soprattutto racchiudono la summa della sua riflessione sui temi economici. Antonio Genovesi visse nella medesima epoca di Adam Smith, ne condivise la critica del mondo feudale e la convinzione che il mercato avrebbe contribuito alla costruzione di un mondo più egualitario e più libero. Ma mentre Smith aveva una visione pessimistica dell'uomo improntata all'individualismo degli interessi (il bene comune è affidato alla "mano invisibile" del mercato), Genovesi era convinto che la persona fosse l'equilibrio di due forze: quelle dell'interesse per sé e della solidarietà sociale; il soggetto gli appariva come una realtà relazionale fatta per la reciprocità. Di qui la sua idea di mercato come "mutua assistenza", una intuizione originale che oggi sta vivendo una nuova giovinezza. Introduzione di Luigino Bruni e Stefano Zamagni.
L'uomo semplificato è l'ultima frontiera della concezione tecnico-scientifica del mondo. Oggi l'ideale di una vita senza complicazioni viene posto nella linearità dei processi e nell'economia delle operazioni tipiche della macchina. L'efficienza è la porta della felicità. Questo non è lo scenario di una fantasia letteraria o la profezia apocalittica di qualche visionario nemico del progresso. È il contesto della nostra vita, la banalità del nostro quotidiano. Pensiamo infatti a come la televisione, il computer, i tablet e gli smartphone costituiscano il paesaggio d'oggi, regolando le relazioni con gli altri e il rapporto con il mondo. Ma pensiamo anche alle procedure standardizzate e automatizzate in cui ci imbattiamo ogni volta che cerchiamo di interpellare un gestore telefonico, un ufficio amministrativo, o anche solo un bancomat o il self-service di un distributore di benzina. Il libro del filosofo francese Jean-Michel Besnier nasce proprio dall'intento di aprirci gli occhi per vedere con chiarezza a cosa rinunciamo quando accettiamo che uno standard tecnologico diventi ciò che ci caratterizza come umani. Le macchine, egli dice, rendono sì semplice la vita (e a volte la salvano, questo non va dimenticato), ma al prezzo di livellarla a colpi di algoritmi e calcoli matematici. E non si tratta di un discorso nostalgico o conservatore...
L'ambiguità della scuola italiana appare radicale: forma cittadini, sviluppa talenti e genera intelligenza, ma crea anche sconfitti, produce indifferenza e induce emarginazione. L'impegno necessario a liberarla dalle sue annose criticità richiama quello profuso nell'innalzamento dell'obelisco in piazza San Pietro nel 1586. Sollevato da terra per mezzo di una fabbrica imponente di argani ingegnosi, evitò il crollo grazie all'esperienza e intraprendenza dell'operaio Bresca il quale, accorto che i canapi cui era assicurato stavano cedendo, gridò nonostante il divieto di parlare durante i lavoro: "Acqua alle funi!". Fu ascoltato. I canapi bagnati ressero allo sfarzo, e l'obelisco venne posizionato al centro della piazza, dove tutt'ora si trova.
Dall'Antigone di Sofocle agli studi sul totalitarismo di Hannah Arendt, attraverso i contributi di Jacques Derrida e di Carl Schmitt, Alessandra Papa offre un interessante percorso filosofico dedicato al tema dell'inimicizia come relazione interpersonale e come 'luogo' teorico della politica e della cittadinanza. Un itinerario in cui, attraverso un dialogo e un confronto con molte voci del pensiero classico e della contemporaneità, si profila, con accenti innovativi, la questione antropologica come domanda sull'identità dell'uomo, cioè come discorso che interpella ognuno di noi in quanto artefice e preda delle dinamiche dell'ostilità, del conflitto, della guerra. Da Antigone che, per seppellire il cadavere del fratello, in nome della pietas, viola la legge della città, diventando così una nemica del potere, fino alle dinamiche della distruzione fisica del nemico che nelle logiche totalitarie istituisce il terribile segreto su cui fondare l'identità della politica, il volume ci introduce a una fenomenologia della vittima e del carnefice quale spaccato della condizione umana. Di fronte a un 'altro' che diventa segno di una minaccia reale o fittizia alla nostra identità, la vera sfida è quella di impedire che ogni forma di inimicizia degeneri in una violenza totalitaria che ci impedisca di cogliere il valore dell'umano come terreno su cui fondare un mondo comune e una polis accogliente. In fondo, in ogni nemico c'è, al contempo, un altro e noi stessi.
Se oggi in Italia c’è un deficit che deve preoccupare e meritare attenzione, forse ancora più importante di quello economico per un debito pubblico fuori controllo, è indubbiamente il deficit di legalità. Ogni giorno la cronaca sta a documentarlo. La tendenza al rifiuto della legalità viene addirittura individuata quale elemento costitutivo e insuperabile dell’identità nazionale. E tuttavia la lotta per la legalità è seria e buona e come tale va combattuta. Le ragioni sono tante. Prima fra tutte la sopravvivenza del nostro Paese. Questo libro vuole configurarsi come un vero e proprio percorso di educazione alla legalità. Cominciando dalla constatazione dell’attuale livello degradato della legalità in Italia e dall’importanza di dare voce al bisogno di un suo ripristino, l’autore individua i valori di legalità all’interno della Costituzione (valore in sé, prima ancora che scrigno di valori) da rendere operanti in modo effettivo e aggiornato.
Dio ha ancora un posto in un mondo disincantato come il nostro, in una cultura in cui la fede, quando ancora suscita qualche interesse, è considerata un segno di immaturità emotiva e intellettuale? E se quel posto esiste, come trovarlo? Come vedere le tracce del volto di Dio nell'esperienza umana? In questo suo ultimo saggio, Roger Scruton, filosofo inglese che ama parlare all'uomo contemporaneo, vuole rispondere all'indifferenza religiosa che ormai permea l'Occidente, guidandoci nella scoperta di quello che perdiamo appiattendoci su un mondo di oggetti, chiuso da un orizzonte ristretto e privo di senso, quando non calpestato e sfigurato. Attraverso una lettura colta e del pensiero filosofico e scientifico così come dell'espressione artistica dell'Occidente, prendendo esempi dalla pittura, dalla musica, dall'architettura e dai più popolari capolavori letterari, Scruton ci fa trovare le tracce del divino nel nostro mondo. Non il Dio remoto e inarrivabile dei filosofi, non l'insieme di cause senza finalità dell'universo scientifico, ma la "presenza reale" nella nostra vita quotidiana di una realtà irriducibile al mondo degli oggetti, qualcosa che riconosciamo con sicurezza come nostra esperienza fondamentale. È la percezione del nostro essere 'io' di fronte a un 'tu', l'incontro tra soggetti che si riconoscono come qualcosa di più che esseri viventi inseriti nel ciclo naturale descritto dalla scienza.
In che misura si può affermare il carattere assoluto e incondizionato della verità? Quando invece la verità è condizionata da limiti che ne scandiscono il carattere relativo e provvisorio? Il contrasto tra assoluto e relativo ha animato dibattiti incandescenti, con accuse di dogmatismo o di nichilismo. Si può comporre virtuosamente il conflitto? Impegnarsi in questa impresa significa non solo dire diversamente l'essere che è e l'essere che accade, ma anche mostrarne l'intreccio strutturale. L'incondizionato si coniuga con le molteplici figure che, in situazione di condizionamento, non si irrigidiscono in una impossibile assolutezza e non si dissolvono in un confuso relativismo, ma si dispongono a qualificarsi come prospettive di verità. L'idea del prospettivismo veritativo è in grado di dare un'articolazione dinamica e costruttiva al rapporto tra l'essere che è e l'essere che accade: può offrire inoltre ragioni convincenti per il multiculturalismo e il pluralismo delle posizioni. Il discorso si precisa poi in una proposta di etica come via di approssimazione all'essere per noi e in un'analisi conseguente delie regioni del lavoro, dell'economia, della politica, della comunicazione e dell'artificio tecno-scientifico. L'attenzione viene portata pure sul nesso tra democrazia e laicità. L'esigenza di colmare l'invocazione di senso, che scaturisce dalla vicenda storica e dall'esperienza individuale, incontra infine il messaggio religioso. Prefazione di Virgilio Melchiorre.