
Il volume mette a tema la procreazione ottenuta mediante tecnologie e le conseguenze antropologiche, culturali e sociali di questo fenomeno che avviene ormai da anni nelle società occidentali e che la presente collana aveva colto, con largo anticipo, editando ben 18 anni orsono il testo intitolato "Famiglia generativa o famiglia riproduttiva?". In che senso il fatto procreativo è un fatto di natura? Quali i suoi limiti invalicabili? Se, e come, possiamo identificare le caratteristiche specie-specifiche del generare umano? Dove va posta l'origine del generare? Quali le possibili conseguenze del "generare tecnologico" sia dal punto di vista del generante che del generato? Questi gli interrogativi, di assoluta rilevanza, al centro dei contributi di carattere teologico, etico, psicologico, filosofico, sociologico, giuridico, medico che, nel loro articolarsi, offrono un apporto fondativo e analitico al dibattito odierno, superando l'angustia di tecnicismi e ideologismi per delineare un orizzonte culturale di senso che consenta di identificare la posta in gioco. Il testo consentirà agli studiosi e a chi è quotidianamente a contatto con questa problematica, di confrontarsi con una riflessività di ampio respiro in grado di offrire chiavi di lettura del fenomeno con riferimento alle dinamiche familiari e al loro svolgersi nel tempo.
Storica rivista dell'Ateneo dei cattolici italiani, "Vita e Pensiero", sin dalla fondazione nel 1914, si è proposta come autorevole luogo di confronto e dibattito per la cultura del Paese. Nella consapevolezza che quella che stiamo vivendo è per tutti una stagione ricca di opportunità e rischi, da affrontare con coraggio intellettuale e gusto per la ricerca del vero, dal 2003 "Vita e Pensiero" è stata ripensata nell'impostazione grafica e nel lavoro redazionale. Oltre a temi quali lo sviluppo tecnologico ed economico, il progresso delle neuroscienze e della genetica, i nuovi paradigmi della politica e delle relazioni internazionali, l'evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, dedica una particolare attenzione all'attualità, ospitando articoli e interventi di docenti dell'Università Cattolica e di significative voci "esterne", capaci di offrire chiavi di lettura originali sui fenomeni sociali e culturali di oggi e di domani.
Il libro propone una riflessione storica aggiornata sulle radici culturali dell'esperienza imprenditoriale di Enrico Mattei e dei suoi collaboratori nei momenti cruciali dello sviluppo economico nazionale e internazionale, sottolineando la relazione dialettica e originale che c'è stata fra valori morali e civili ed esigenze produttive e di mercato. In particolare, si concentra sul rapporto d'interazione che si è sviluppato fra l'Università Cattolica e la grande azienda creata da Mattei, per verificare se l'elaborazione scientifica maturata nell'Ateneo tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta ha contribuito alla formazione della cultura d'impresa di Eni, e dunque a definirne il ruolo peculiare nello sviluppo del Paese e delle aree economicamente e socialmente emergenti del pianeta. Il volume racconta le radici culturali, gli orientamenti e i mezzi attraverso cui la prospettiva dell'Eni di Mattei si è dispiegata, approfondendo la sua "politica estera" in Medio Oriente, in Unione Sovietica e in Africa, specie dal punto di vista del patrimonio valoriale cui si è ispirata. Questo aspetto emerge anche nel film-documentario Oduroh di Gilbert Bovay (Eni, 1964), allegato al libro, che racconta la storia di un giovane ghanese il quale, dopo aver frequentato la Scuola Eni di San Donato, è tornato nel proprio Paese a spendervi la formazione acquisita in Italia.
Il libro documenta le ricerche psicosociali più significative condotte sul tema dell'omogenitorialità dagli anni Novanta fino a oggi. La prima parte è dedicata agli studi sulle coppie omosessuali, con un'attenzione particolare ai processi di scelta del percorso genitoriale e alle dinamiche relazionali in gioco nella transizione. La seconda parte presenta i risultati delle ricerche circa gli esiti di sviluppo dei figli di coppie omosessuali, soffermandosi non solo sui costrutti tradizionali di benessere come l'adattamento comportamentale, ma anche sugli aspetti identitari quali le domande di senso circa le proprie origini. La terza parte è dedicata alle coppie adottive omosessuali e mette a tema gli elementi di differenza che rendono l'adozione un percorso con sfide specifiche e l'adozione da parte di coppie omosessuali un percorso ancor più complesso. Infine, a titolo esemplificativo, vengono riportate alcune schede analitiche degli studi più emblematici sui temi affrontati.
Viviamo in perenne mancanza di tempo. Quasi in apnea, ci affrettiamo per poter fare esperienza di tutto quello che il nostro mondo iperproduttivo ci mette davanti. Accelerare per avere più tempo è diventato l'imperativo della nostra vita. Ma questa 'epoca dell'affanno', in definitiva, ci rende ansiosi, stressati, disorientati. L'accelerazione della tecnologia e delle trasformazioni sociali non solo ha annientato lo spazio e la geografia stessa (ogni luogo è a portata di un clic o di qualche ora di aereo), ma ha atomizzato il tempo, lo ha frammentato in tanti 'attimi presenti' che si sostituiscono l'uno all'altro, che non conoscono più pause e intervalli, soglie e passaggi, e soprattutto non costruiscono più un'unica storia: la nostra. Perché questa disgregazione riguarda anche la nostra identità, che si impoverisce e si riduce, soffocata dalle proprie attività senza durata. Sono queste le riflessioni che Byung-Chul Han, il filosofo coreano che ama riflettere sull'uomo svelandone la situazione critica di fronte agli stimoli della società contemporanea, mette a fuoco in questo libro dal titolo seducente. Percorrendo in modo originale il pensiero filosofico sul tempo, da Aristotele e Tommaso a Heidegger e Arendt, passando per Hegel, Marx e Nietzsche (ma soffermandosi anche a lungo sull'opera di Proust), egli ci mette di fronte a quella che riassume come un'assolutizzazione della vita activa: la necessità di produrre (e consumare) come forma di realizzazione umana, che finisce per sottrarre all'uomo respiro e spirito. Bisogna allora riguadagnare un posto alla vita contemplativa, nella sua forma più quotidiana e vicina. Vale a dire reimparare a fermarsi, a 'indugiare': bellissimo verbo che parla di pause, di ozio meditativo, di sguardo lungo e cordiale sulle cose. In una parola, lo sguardo contemplativo restituisce al tempo il suo 'profumo', che è lento e permanente, che sa di ricordo e di memoria. Acquista allora un senso nuovo e smette di essere solo una stravagante curiosità l'orologio 'a profumo' dell'antica Cina, cui l'autore dedica pagine piene di poesia, che misura il tempo col bruciare di un profumato sigillo d'incenso: alla fine, resta un'eccedenza speciale, un aroma che riempie lo spazio, che indugia nell'aria in un momento sospeso e denso che apre alla felicità.
In questi ultimi anni l'interesse per lo studio delle donne della Bibbia (le matriarche, le profetesse, le donne sagge, le regine, le eroine, le schiave, le mogli, le figlie, le prostitute?) e della funzione che esse svolgono all'interno del racconto biblico è cresciuto moltissimo. Su questo sfondo si colloca con originalità il libro curato da Nuria Calduch Benages, un libro interamente al femminile: dieci ritratti di donne scritti da dieci esperte della Scrittura biblica, di diverse provenienze e confessioni religiose. L'approccio è di grande e inedita ricchezza. Grazie alla peculiare sensibilità femminile delle autrici è possibile riscoprire i volti di Sara ,Agar, Tamar, Miriam, Debora, Anna, Betsabea, Ruth, Esther e Giuditta; volti segnati dalla gioia e dal dolore, dal riso e dal pianto, dalla lode e dal lamento, dalla forza e dall'astuzia. Scelte da Dio per compiere una missione, queste dieci donne hanno creduto alla loro vocazione e hanno lottato anche a costo della vita in favore del loro popolo. Si ha qui un vero e proprio esercizio di 'archeologia' dei testi biblici, che riporta alla luce figure sepolte dal silenzio pesante a cui la tradizione di fatto le ha relegate. L'invito è a seguirne le tracce, a conoscerne i nomi togliendole dal loro anonimato, ad ascoltarne le storie con attenzione, per poter così restituire loro una voce. Attraverso questo tipo di lettura la Bibbia viene liberata dalla interpretazione androcentrica a cui siamo abituati, per poter così raggiungere ed esprimere la totalità dell'esistenza umana.
Nel volume sono contenuti parzialmente gli atti di due iniziative culturali di ampio respiro, promosse nel 2015 dal Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Tutti i contributi qui presentati, da diverse prospettive (teologica, economica, filosofica, politica, storica) e a partire da tematiche decisive quali lo sviluppo umano integrale, la promozione della pace e la responsabilità verso il creato, convergono ad attestare quanto sia stato fecondo il magistero di Paolo VI e come continui a portare frutti nella vita della Chiesa e del mondo. Le porte che ha aperto non si sono fortunatamente più chiuse e le strade tracciate sono state ampiamente percorse, al punto che la sua eredità è per molti aspetti tuttora viva e ispiratrice dentro la Chiesa. Il libro esce in occasione del 50° anniversario della Populorum progressio e vuole essere un segno di intensa e profonda gratitudine della nostra Università nei riguardi di Paolo VI, papa dei molti inizi.
I testi raccolti in questo cofanetto - le invocazioni penitenziali, una traccia di meditazione in vista dell'omelia, la preghiera universale e un testo patristico - vogliono essere uno strumento utile per quelle parti della celebrazione eucaristica che l'ordo liturgico affida alla creatività intelligente, discreta e responsabile di chi presiede l'assemblea o di quanti animano la celebrazione stessa. Oltre all'utilizzo nella liturgia, i testi qui proposti potranno aiutare la meditazione personale, sia come preparazione alla celebrazione comunitaria sia come ripresa e approfondimento di quanto vissuto nell'assemblea eucaristica. L'intento primo di questi testi è di far convergere i diversi interventi che si susseguono all'interno della celebrazione sul vangelo del giorno, che diviene così il testo ispiratore e unificatore di tutta la liturgia. Tale convergenza è ordinata all'ascolto e all'assimilazione della Parola di Dio proclamata in ogni Eucaristia, specie della pagina evangelica, a partire dalla quale è stato scelto sia il brano dell'Antico Testamento sia, nei tempi forti e nelle feste, quello dell'Apostolo. Suggerita dunque dallo stesso lezionario, questa convergenza potrà consentire di evitare ogni dispersione e ogni possibile frammentazione dei contenuti del messaggio biblico. Tale unità potrà al tempo stesso educare la comunità cristiana a una preghiera liturgica e personale nata dall'ascolto della Parola di Dio, così che liturgia sia la prima pedagoga della preghiera dei cristiani e, in particolare, la sinassi eucaristica domenicale assuma i tratti di un'autentica scuola di preghiera.
Il giornalismo è morto? E, se è vivo, può essere ancora chiamato giornalismo? Uno dei nostri più bravi inviati in zone di guerra si interroga sul mestiere di dare notizie in questo tempo così veloce e spesso superficiale. Una professione che non solo cambia pelle, ma sta perdendo il suo senso e forse anche la sua etica. In una riflessione maturata a partire dall'esperienza personale Domenico Quirico svela senza sconti le cadute, le scorciatoie, il pressappochismo e a volte il cinismo che caratterizzano un settore sempre più alla rincorsa affannata dei lettori e sempre meno attento al racconto partecipe della realtà. Ecco allora il giornalismo del 'sentito dire', chiuso in redazione o anche nella finzione dorata degli 'alberghi dei giornalisti', vicini ma in realtà lontanissimi dalle zone d'azione. Un giornalismo fatto di collage di flash d'agenzia, notizie rintracciate su internet, articoli altrui scovati negli archivi. Un giornalismo travolto dall'immediatezza della rete e freddo, che si nasconde dietro le regole della neutralità. Invece, un altro modo di raccontare il presente è possibile, soprattutto il presente delle guerre, delle vittime, l'orrore, l'abbandono, scoprendovi squarci di umanità e anche di amore. Si tratta, dice Quirico, di 'tuffarsi nel pozzo', di annullare le distanze, di raccogliere su di sé l'odore terribile e vero della vita che, portato in superficie, diventerà racconto e storia, testimonianza che rimane e fa riflettere, muovere e commuovere.
«Portiamo questo tesoro in vasi di coccio, affinché appaia che la straordinaria sua forza proviene da Dio e non da noi». Questa affermazione di san Paolo, nella seconda lettera ai Corinti, non allude solo a una condizione personale, ma parla di tutti: vaso di coccio è ogni cristiano e l'intera comunità dei credenti. Il vaso di terracotta è casalingo, umile, fragile, di utilizzo quotidiano. Non è un oggetto prezioso da esibire all'ammirazione di tutti. Fuori di metafora: Dio non si serve solo dei santi, ma anche (e soprattutto) di uomini comuni, fragili, di poca fede, com'erano i discepoli, e come siamo noi. Questa meraviglia di Dio non cessa di stupire. Se il vaso fosse prezioso, attirerebbe l'attenzione su di sé; nella sua umiltà, invece, rimanda altrove. La sua debolezza è la sua trasparenza. La potenza del Vangelo si fa presente nell'inadeguatezza per rendere chiaro a tutti che la sua efficacia viene da Dio, non dagli uomini, né dai loro strumenti. È alla luce di questa metafora che Bruno Maggioni rilegge la concezione della Chiesa nel Nuovo Testamento. Certo, non con la pretesa di un ritorno alla comunità delle origini: sarebbe un'illusione, e neppure coerente con il Vangelo. La Chiesa, infatti, cammina nella storia. E proprio per questo motivo deve continuamente confrontarsi con la sua origine, vigilando perché le sue scelte siano sempre attualizzazione del Vangelo. Nella consapevolezza che il suo compito non è attrarre su di sé lo sguardo degli uomini, ma rinviarlo sempre al Dio di Gesù.