
Camillo ha un negozio di scarpe. La sua vita scorre regolare e tranquilla, senza scosse. Ogni giorno per andare al lavoro attraversa a piedi un cavalcavia sopra la linea ferroviaria. La strada è sempre la stessa e nel corso degli anni ha preso l'abitudine di tenere il conto del passaggio dei treni. E si va convincendo che se transitano due convogli la giornata gli andrà bene, ma se è uno solo è bene stare all'erta perché non si sa cosa può succedere. Camillo non è superstizioso, o almeno pensa di non esserlo, non crede al destino. Ma quel gioco quotidiano gli ha preso un po' la mano e se ne fa condizionare. Una mattina i treni che gli filano via sotto il ponte sono tre. Un evento eccezionale che va festeggiato. Niente lavoro per oggi, e Camillo torna a casa. Ma appena varcata la soglia, avverte strani rumori, respiri soffocati; poi il gatto gli sguscia tra le gambe e inciampa rovinosamente. Si ritrova all'ospedale. Non ricorda più niente e mentre riacquista lentamente la memoria lo invade una strana sensazione. Un sospetto si insinua nell'animo di Camillo e la gelosia diventa una ossessione. Conseguenze della caduta? Con la mente non fa altro che ritornare a quei momenti, vorrebbe ricordare ma non riesce a mettere a fuoco l'immagine sfocata che gli martella dentro. Intanto come un detective sorveglia la moglie con metodo, con ostinazione. Vuole scoprire il segreto e non sa quale destino lo attende.
La mattina del 16 marzo 1978 Corrado Guerzoni, giornalista tra i più stretti collaboratori di Aldo Moro, telefonò a casa del presidente della Democrazia cristiana. Voleva tranquillizzarlo su alcuni attacchi della stampa, ma gli dissero che era appena uscito. Pochi minuti dopo Moro veniva rapito in via Fani da un commando brigatista che sterminava i cinque agenti di scorta. "La notizia me la diede un mio ex redattore del "Radiocorriere". Ebbi una sensazione di gelo, come se fossi entrato in una stanza ghiacciata". Trenta anni dopo Corrado Guerzoni racconta la vita di Aldo Moro, gli studi giuridici, l'ingresso in politica, il suo percorso istituzionale. E soprattutto si interroga su i motivi di quel rapimento, sul perché non si riuscì, non si volle, salvarlo. "Qualcuno decise che Aldo Moro doveva morire e morire in quel modo stupido e straziante". C'è ancora molto da capire di quel rapimento, sono rimasti tanti punti oscuri. Su alcuni, ora che sono trascorsi trent'anni, dovrebbe essere tolto il segreto di Stato. Altre domande sono ancora senza risposta: quanto contò l'ostilità di Kissinger, quanto quella di una parte della Chiesa, del cardinale Siri in particolare che, informato del rapimento, esclamò: "Ha avuto quel che si meritava".
"I grandi monarchi si irritavano quando si "deteriorava" il loro materiale umano. Luigi XIV confiscava i beni dei colpevoli di suicidio e Napoleone lanciò un ordine del giorno nel quale si proclamava che ogni soldato che si uccide è un soldato che diserta. Ma l'ondata romantica dilagò in Europa e fece predominare l'individualismo: ogni uomo fu riconosciuto artefice del proprio destino, compresa la morte. Il suicidio sfuggì ad ogni legge penale e si espanse: divenne banale, facile, viziato di democrazia, ed entrò in letteratura". Flaubert, Dostoevskij, Wilde, D'Annunzio, Malraux, e altri gli scrittori che nelle loro opere si sono misurati con il tema del suicidio. Morand cerca di comprendere le ragioni di questa "pratica" nella letteratura, i motivi di questa "voluttà della malinconia" e le trasformazioni dei suicidi letterali attraverso i secoli. Se il romanticismo aveva abbellito il suicidio con l'amore o con la speranza di una vita nuova in regioni sconosciute, la disperazione moderna è divenuta "malinconia sterile che fa dei candidati al suicidio gli eredi di Chateaubriand e di Byron, ma senza le soddisfazioni liriche che salvarono questi grandi sacerdoti della letteratura e impedirono loro di passare all'azione". Questo volume contiene due piccoli trattati: "Il suicidio in letteratura" e "L'arte di morire". Morand considera come nel mondo moderno, presi dalla follia del vivere rapidamente, non ci sia posto per il tema della morte.
Su un terreno nei dintorni di Vigàta, buono solo per ricavarne creta per i vasai, viene trovato il cadavere di un uomo. Sfigurato, squartato, chiuso in un sacco affiorato dopo una forte pioggia. Non si sa chi sia lo sconosciuto, ma nel frattempo una donna del paese denunzia la scomparsa del marito, un colombiano di origini siciliane, imbarcato su navi di lungo corso che fanno la spola tra il Sud America e l'Italia. È a quel punto che il commissario Montalbano si ricorda del racconto del Vangelo - il tradimento di Giuda, il pentimento, i trenta denari scagliati a terra e poi utilizzati per comprare il "campo del vasaio" per dare sepoltura agli stranieri. Semplici coincidenze? Il corpo della vittima è stato smembrato in trenta pezzi, il terreno in cui è stato ritrovato è buono per i vasai, il colpo di pistola alla nuca nel codice d'onore sta a significare tradimento, senza contare che il morto era uno straniero. Ma le convergenze sembrano costruite con troppa arte e anche se il delitto ha tutte le caratteristiche di un omicidio di mafia, Montalbano sente odore di bruciato. I tradimenti nel romanzo non si contano: quello di Mimì, nei confronti di Beba ma anche dell'amico e "superiore" Salvo con cui sgomita per avere un ruolo da protagonista nelle indagini, quello di Dolores, la bellissima moglie del morto ammazzato, quello dello stesso commissario che è costretto a barcamenarsi tra segreti e bugie per giungere alla verità.
Nel 1937 i fratelli Nello e Carlo Rosselli furono assassinati in Francia perché oppositori del regime fascista. Silvia Rosselli, figlia dello storico Nello, nipote di Carlo, fondatore del movimento antifascista "Giustizia e libertà", racconta la propria vita e quella della sua famiglia. Attraverso i suoi occhi seguiamo buona parte della storia del nostro paese nel secolo scorso ma soprattutto seguiamo la famiglia Rosselli: dal confino ad Ustica, all'assassinio in Francia dei due fratelli, all'espatrio in Inghilterra e in America, al rientro in Italia, al trascorrere delle generazioni successive fino ad oggi. "Cosa mi ha spinto a raccontare?", si chiede l'autrice. "Dopo la morte di mia madre ad un tratto mi sono accorta che non c'era più nessuno a cui fare domande sul passato. Ero rimasta l'ultima, è stato allora che ho pensato di scrivere qualcosa, in primo luogo per le figlie, i nipoti, i fratelli e poi per gli amici e anche per quelli che non conosco... Pensavo che il passato giacesse lì quieto e ormai risolto al fondo della mia memoria, era invece una materia ancora viva e incandescente." Lo struggente e nitido ritratto di una famiglia, anzi di una generazione, di un gruppo culturale e sociale che se oggi non esiste più, ha lasciato tracce indelebili nella nostra storia e che leggiamo con straordinaria partecipazione.
"Ehi, Giuliano. Hai colto, con la prontezza di riflessi che accompagna la tua intelligenza come il palo accompagna il ladro, l'occasione dello slogan: moratoria dell'aborto. Che cosa significa? Niente, direi. È uno slogan, appunto, reso efficace dal calco capovolto di quell'altro, moratoria della pena capitale, al quale rubasti lestamente la scena e guastasti la festa. Alla lettera, non significa niente: le donne non possono sospendere a tempo indeterminato gli aborti, a differenza dagli Stati, che possono sospendere le esecuzioni capitali. C'è una sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, e non c'è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale fino a che la creatura che cresce dentro il corpo materno non se ne sia staccata. L'ingerenza umanitaria sa che uno Stato non esaurisce in sé i cittadini individui. Madre e nascituro sono invece due e tutt'uno. Senza questa ammissione, l'habeas corpus non esiste, se non come diritto dei maschi per i maschi" (Adriano Sofri).
Umberto Domina praticava un umorismo poco italiano, fatto di battute, di dialoghi e situazioni, e non di macchiette, della scuola di Achille Campanile e simile a quello di Marcello Marchesi. Un umorismo di testa e di intreccio, ottimista, capace di resistere brillantemente alla dimensione del romanzo, com'è questa storia di sostituzioni e imbrogli di due siciliani trapiantati a Milano che si scambiano i ruoli e le mogli. Entrambi Liborio Cappa, l'uno odia il successo, le amicizie altolocate e gli elettrodomestici, ma è un genio creativo naturale particolarmente adatto alla rapidità e all'assurdo che il boom economico sta imponendo al gusto ed è tormentato da una moglie che aspira a ciò che lui disprezza; l'altro manca di genio ma possiede ambizione e ha una moglie ricca che lo lascia in pace. Troveranno come combinarsi e come gabbare il mondo, senza male per nessuno. Mondo che è quello del miracolo economico, dei mobili di plastica che rimpiazzano le antichità, delle automobili usate anche per andare a comprare le sigarette, delle scomodissime urbanizzazioni futuribili, dei cibi in scatola al posto della buona cucina, del salutismo vanesio e perdigiorno; di tutto questo Domina avverte per tempo, in presa diretta, il formidabile potenziale comico e l'effimera durata, però ne registra l'intrinseca allegria e non l'angoscia. E ne inscena una esilarante parodia, come e più di un documento o una testimonianza.
Soldati viaggiava in terza classe, non per fare esperienza o raccogliere materiale, ma per risparmiare. Eppure nei grandi scompartimenti pieni d'aria e di luce, dove ogni segreto era impossibile e capitavano mille incontri e mille incidenti, sono nati personaggi e storie di alcuni dei suoi racconti più belli. Come quelli raccolti ne "L'amico gesuita", l'antico compagno di scuola diventato Padre della Compagnia di Gesù, che Soldati riconosce nello svolazzo della veste, nella letizia contenuta e tranquilla, nella mimica tutta speciale del gesuita contento, che solo chi è stato in collegio dai preti può cogliere. Poi gli altri racconti racchiusi in tre quaderni: "Quaderno di viaggio" (il poliziotto del sud che lavora a Torino, "un uomo anche lui"; il pregiudicato che ritorna a casa dopo una vita di galera...), "Quaderno di malato": quattro racconti su medici e medicine che potrebbero essere stati scritti oggi, e "Torinesi", narrazioni ambientate nella aristocratica capitale sabauda dove le signore sono felici di parlare ogni tanto in francese e di mangiare la erre. Soldati si muove "nello spirito della commedia ma avvistando o sfiorando il tragico".
Una riflessione sui rapporti tra politica e morale, sorretta dal rimando a filosofi e pensatori, con lo sguardo rivolto all'indietro, alla storia dell'Italia repubblicana, ma anche in avanti, al futuro che sapremo costruirci. Nell'Italia democratica che nasceva dalle macerie della guerra la moralità della politica risiedeva nella solidarietà. La classe dirigente, la classe politica, aveva come obiettivo il potere non la ricchezza ed era un potere povero (come dimenticare il cappotto rivoltato con cui De Gasperi si recò negli Stati Uniti?). Poi il miracolo economico, il protagonismo dei giovani, delle donne, i cupi anni Settanta e i rampanti anni Ottanta, la nascita della questione morale. Fino a oggi. "Quello che manca alla politica è un verso; il senso della sua missione, il traguardo alto e lontano a cui cercare di tendere. E quando manca un traguardo, tutto si riduce allo scambio". L'essere "sfibrati" moralmente alla fine, però, consente straordinari recuperi. Come quando l'Italia del pallone, travolta dal colossale scandalo di Calciopoli, finì col vincere i mondiali in Germania. Perché non provare ad assecondare il futuro di un'Italia nuova, capace di una misurata, gentile e riflessiva virtù?
Nel primo titolo, "Testimone inconsapevole", Guido Guerrieri, avvocato quarantenne, ricco di qualità ma nevrotico e da poco piantato dalla moglie, assume la difesa di un giovane senegalese accusato di violenza carnale e dell'omicidio di un bambino. Un processo difficile e ricco di colpi di scena. Nel secondo romanzo, "Ad occhi chiusi", una donna trova il coraggio di denunziare il suo ex convivente per maltrattamenti. L'uomo, forte delle sue potenti parentele, la minaccia ma Guerrieri le trova un rifugio sicuro in attesa del processo. Nell'ultima opera, "Ragionevoli dubbi", un traffico di droga, un arresto, un passato di lotte politiche.