
Sovrano di una monarchia sulla quale non tramontava mai il sole, la figura di Filippo II è stata oggetto nei secoli di innumerevoli ricostruzioni e di un giudizio che ha oscillato tra l’esaltazione e la denigrazione. In realtà il sovrano era figlio dei suoi tempi e come tale aveva posto la propria vita al servizio degli ideali in cui credeva e per i quali non aveva esitato a sacrificare uomini e ricchezze del suo impero. Il libro non vuole ribaltare giudizi tradizionali e consolidati, bensì invitare a leggere la figura del re nel contesto di un’Europa travagliata dalle guerre di religione e che si apriva al mondo, e a rapportarsi a lui con gli occhi dei cronisti del tempo che spesso lo dipingevano come un sovrano pacifico nonostante le innumerevoli guerre da lui condotte nel corso di un lungo regno, che abbracciò quasi tutta la seconda metà del XVI secolo. Anche per questo la biografia di Filippo II dà ampio spazio alla dimensione dinastica e familiare entro cui si svolgeva la vita politica nella Spagna e nell’Europa del XVI secolo. L’autore indaga inoltre la politica confessionale del sovrano, tesa alla difesa a oltranza del Cattolicesimo e alla lotta contro gli eretici e gli infedeli: a lui si attribuisce l’evangelizzazione delle Americhe e delle Filippine. Filippo godette di grande prestigio presso i principi suoi contemporanei, si servì di un’abile diplomazia, fatta di uomini capaci. Anche per questo il re, sebbene governasse chiuso nell’Escorial (l’ottava meraviglia del mondo), può essere considerato il sovrano cinquecentesco che si sentì non solo il figlio prediletto della Chiesa universale, ma il portatore di una visione che univa l’amore per la propria terra natale all’interesse verso il mondo che si apriva al di là delle Colonne d’Ercole.
Il sempre più spinto laicismo dell’Occidente, affonda le radici in un secolare processo storico riattualizzato in età tardo medievale dallo scontro tra Papato e poteri secolari.Culmine ne fu il conflitto tra Gregorio IX e Federico II. Pomo della discordia si rivelò la Costituzione che Federico promulgò per il regno di Sicilia. Il papa reagì duramente pretendendo di essere giudice del rispetto del diritto naturale-divino negli ordinamenti secolari, nonché difensore dei privilegi in essi riconosciuti da tempo alla chiesa. Il testo della Costituzione e il carteggio tra i due, consentono di penetrare nella ragioni, anche recondite, del conflitto culminato nella scomunica papale e nella rabbiosa reazione di Federico.
Il 18 agosto 1572 si celebrò a Parigi il matrimonio tra Margherita di Valois e Enrico di Borbone, che avrebbe dovuto segnare la riconciliazione tra cattolici e protestanti dopo una lunga guerra civile. Cinque giorni dopo, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, i capi militari dei protestanti furono uccisi per ordine del re. Nelle ore successive bande armate uccisero centinaia di ugonotti parigini, accanendosi su donne, vecchi e bambini, in un delirio di sangue che trasformò Parigi in un carnaio. Il libro analizza in tutte le sue sfaccettature questo evento apparentemente irrazionale, ma in realtà frutto di una devastante miscela di crisi politica e conflitto religioso, esaminando il ruolo dei vari attori: il re Carlo IX, la regina madre Caterina de' Medici, il papato, la Spagna, i gruppi di cattolici militanti parigini. Ne risulta una innovativa lettura della notte di San Bartolomeo come evento centrale nella storia dell'Europa del Cinquecento e nell'affermazione dell'assolutismo del potere politico.
Il volume intende offrire la prima indagine sistematica dei rapporti intercorsi tra la Commedia di Dante e la predicazione del suo tempo. La ricca e variegata letteratura omiletica tardomedievale (che include ad es. sermoni e prediche, esempi, regulae) viene puntualmente confrontata con il Poema, facendo interagire l'analisi con il decisivo ricorso al testo biblico e procedendo a inquadrare i risultati nel più ampio contesto del rapporto tra la Commedia e i diversi generi della letteratura religiosa due e trecentesca {visiones, rappresentazioni dell'aldilà, mistica, ecc.). Si delinea in questo modo una originale interpretazione di alcuni aspetti chiave del Poema dantesco (quali il profetismo e la conseguente finalità esortativa e morale), supportata anche da una serie di lecturae di canti e snodi cruciali della Commedia nei quali emergono possibili interferenze con la predicazione del tempo.
Ultor patriaeque domusque, «vendicatore e della patria e della famiglia»: così il poeta Silio Italico definisce Publio Cornelio Scipione, testimone della peggiore disfatta della storia militare romana, che raccolse l'eredità del padre ucciso in battaglia e dedicò la vita a rovesciare le sorti della «guerra annibalica», la seconda guerra punica, titanico scontro di potenze per il predominio sul Mediterraneo antico. Scipione riuscì a ottenere il comando militare in Spagna pur essendo ancora giovane e inesperto; diede prova di eccezionali qualità militari, concludendo in quattro anni una campagna difficile; riuscì poi a imporre la propria strategia, portando la guerra in Africa e costringendo il governo di Cartagine a richiamare in patria Annibale. La patria non gli dimostrò la riconoscenza che meritava. Cosa che rende ancora più interessante il suo personaggio: perché Scipione visse sul confine tra due mondi, anticipando con la sua ambizione e il suo carattere sia la crisi del vecchio sia molti aspetti peculiari del nuovo. Da un lato, infatti, resisteva ancora la res publica arcaica, dove ogni deviazione dal rigido costume degli antichi era considerata con sospetto; dall'altro si apriva l'orizzonte del dominio imperiale sul Mediterraneo, ingentilito dalla cultura ellenistica, raffinato e cosmopolita, ricolmo di ricchezze materiali e spirituali come il forziere di un tesoro. Da comandante militare fu capace di offrire alla patria la possibilità di conquistare quell'orizzonte; da politico troppo moderno per i suoi tempi venne sconfitto e costretto a ritirarsi dalla vita pubblica senza raccogliere i frutti della vittoria.
Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, più esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.
A distanza di 500 anni dalla data in cui Martin Lutero diede avvio al movimento di riforma che generò il Protestantesimo, la sua opera si presenta ancora come una svolta decisiva nello sviluppo dell'Europa moderna. Questa nuova biografia di Lutero ci restituisce un'immagine fortemente unitaria e, diversamente da altre interpretazioni, non spezzata dal contrasto fra una giovinezza rivoluzionaria e una vecchiaia conservatrice: dalle inquietudini della sua formazione alla nascita di un nuova teologia fondata sulla Bibbia, che egli, in una vita di lotte, calò costantemente nell'insegnamento universitario; dalla predicazione e dalla organizzazione della chiesa evangelica ai contrasti con altre chiese della Riforma; dalla progressiva consapevolezza dell'inevitabile rottura con la Chiesa di Roma alla straordinaria diffusione, anche popolare, della sua produzione; dalla relazione con la storia politica del suo tempo ai modi in cui ne influenzò gli sviluppi. Tutto questo provando a penetrare nella sua umanità più minuta e viva, nei suoi affetti, nelle sue traversie personali, nei rapporti con la sua famiglia e i suoi compagni di fede e di lotta. In questo libro emergono i tratti di una personalità combattiva, ironica, conviviale, amante della vita pur nella consapevolezza della gravità dell'ora che stava vivendo.
Scorre molto sangue la notte del 2 gennaio 1547 quando, nel totale fallimento della congiura dei Fieschi, la morte stronca la giovinezza di Giannettino Doria e quella di Gian Luigi, l'erede della nobile famiglia che l'ha promossa. Sarà inesorabile Andrea Doria, il vecchio guerriero d'antica stirpe genovese, che dal 1528 è il Capitano generale della flotta imperiale nel Mediterraneo e nell'Adriatico. E inesorabili saranno l'Impero e la Repubblica verso chi si è reso colpevole del reato di tradimento contro il suo signore e contro la sua patria. Si inscrive nel nome dei Doria e dei Fieschi e si compie sul palcoscenico genovese l'atto che, incidendo profondamente nel cuore del grande scontro tra l'Impero spagnolo e la Corona francese, diventerà fin da subito un evento memorabile.
La crisi del liceo classico sollecita riflessioni di varia natura, in molte e diverse sedi. Dilaga una generale disaffezione per le civiltà antiche? Eppure il successo di recenti operazioni editoriali, la vivacità del dibattito, anche in rete, e altri segnali lasciano credere che il greco e il latino abbiano ancora una prospettiva. Come rendere allora il classico più appetibile senza snaturarne le ragioni e le prerogative storiche profonde? Senza puntare, soprattutto, al ribasso? Da qui una serie di proposte, anche in relazione alla dibattuta questione della riforma della seconda prova di maturità.