
«Il monaco può essere paragonato al mozzo che si arrampicava sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere profilarsi una riva sconosciuta. Il mozzo non è colui che guida la nave, il suo compito è solo di vegliare al suo posto di vedetta. Quando la terra appare in lontananza, grida la scoperta a tutti i membri dell’equipaggio. Come il mozzo, il monaco scruta i segni del mondo nuovo. Deve essere un uomo vigilante, totalmente teso verso il futuro a cui anela e che vorrebbe affrettare. In definitiva potrebbe essere definito l’uomo del desiderio».
Ha scritto il premio Nobel per l'economia Stiglitz: "ogni esperienza storica di crescita economica persistente, perlomeno, a partire dalla Rivoluzione industriale inglese, trova condizioni necessarie in un ricco complesso di istituzioni complementari, norme comportamentali condivise e politiche pubbliche". Per questo motivo, è necessario assumere una prospettiva teorica e un approccio operativo di tipo integrato, in grado di agire in modo contestuale e coerente su più livelli e su diversi frangenti: contrariamente a una diffusa vulgata, l'azione a favore dello sviluppo non tollera politiche pubbliche né isolate né parziali. In questa prospettiva, l'assenza di una adeguata e pertinente riforma burocratica rende difficile anche solo immaginare l'effettivo sviluppo di politiche di sostegno all'impresa e al lavoro.
Con questo libro si sostiene che l'esistenza di Dio può essere affermata dal punto di vista razionale anche in mancanza di adeguate argomentazioni. Non è una tesi diffusa. Di solito si richiedono "prove" o "dimostrazioni": così il semplice credente viene ricacciato nella sfera del fideismo se non del miracolismo. Oppure si esige che egli si affidi al confronto di motivi pro et contro: ma così si rischia di ridurre la fede al calcolo delle probabilità. In questo saggio, invece, col rigore epistemologico della filosofia analitica anglosassone, e per il tramite della tradizione cristiana riformata, viene avanzata una posizione di tipo agostiniano. Con essa sembra rivivere la grande prospettiva dei primi cristiani, quella della philosophia Chrìstus.
Il pamphlet ripercorre le idee forza che furono alla base del ricongiungimento dell'Italia alla moderna civiltà europea. Di fronte alle contraffazioni della storia dell'Ottocento, l'autore dimostra che la laicità, oltre l'unità e l'indipendenza, è stata un pilastro unificante delle correnti politiche che hanno fatto l'Italia, sia con i monarchici che con i repubblicani, sia con i liberali della Destra (Cavour) che con i democratici della Sinistra (Garibaldi e Mazzini). Lo scritto si conclude con la messa in guardia di fronte alle nuove tendenze anti-illuministiche, anti-liberali e anti-democratiche che evocano, dopo centocinquant'anni, lo spirito reazionario del "Sillabo" di Pio IX.
Nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali i Paesi dell'Europa centro-orientale presentano situazioni particolarmente complesse sul piano politico-religioso: la maggior parte di questi Stati, nati al termine della Grande Guerra, hanno confini politici artificiali e popolazioni non omogenee da un punto di vista etnico. In diversi di questi Paesi le classi politiche di maggioranza adottano programmi intesi alla laicizzazione della società e alla separazione della Chiesa dallo Stato e, non volendo rinunciare al controllo sulla Chiesa stessa, offrono sostegno alle tendenze riformistiche all'interno della Chiesa cattolica o all'idea di una Chiesa nazionale per rafforzare e completare l'edificio del nuovo stato nazionale. Di grande interesse è, in questo contesto, l'analisi delle politiche adottate dalla Santa Sede, dalle gerarchie cattoliche locali e dai fedeli laici nel difficile confronto con il potere statale. Il presente volume intende offrire, nei saggi qui editi - di Roberto de Mattei, Roberto Morozzo della Rocca, Massimo de Leonardis, Matteo Luigi Napolitano, Francesca Romana Lenzi, Katrin Boeckh, Jure Kristo, Massimiliano Valente, Emilia Hrabovec e L'uboslav Hromjàk - un'occasione di riflessione sugli aspetti generali delle problematiche accennate e su alcuni casi specifici, anche sulla base dei documenti conservati negli archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XI.
Il saggio si propone di tracciare l'itinerario di un giudizio di Luigi Einaudi, in una sua opera del 1933, sulle ragioni che resero il nostro stato liberale incapace di fronteggiare le difficoltà del primo dopoguerra, sino a consentire la vittoria del fascismo. Poiché le premesse del giudizio di Einaudi si ritrovano nella critica dei liberisti italiani all'indirizzo dei governi, a partire dalla tariffa doganale del 1887, di quella critica il saggio ricostruisce sia il contesto, sia il contenuto specifico, mettendo in luce come non si trattava semplicemente di contrastare una politica economica, quanto di combattere contro una forma di stato fortemente impopolare e a favore di uno stato che fosse liberale non solo di nome ma di fatto. Gradualmente, Einaudi farà sua questa lezione, sino a considerare inscindibile, come sosterrà in una celebre discussione con Benedetto Croce, il binomio liberismo e liberalismo.
La crisi è la conseguenza di una mancanza di etica dei banchieri? È l'effetto di uno spirito di lucro insensato che induce a prendere troppi rischi per ottenere maggiori bonus? Questa è una tesi troppo semplicistica, replica Pascal Salin. La crisi è forse il prodotto di una eccessiva deregolamentazione? Questo è falso, specifica l'autore. Esistono piuttosto troppe cattive regolamentazioni, troppe cattive politiche economiche e monetarie... e una insufficienza di capitalismo. Pertanto, come raccomandano i sostenitori dell'interventismo e della regolamentazione, lo Stato ritorna a essere la soluzione nuovamente di moda? Assolutamente no, sottolinea Salin. Il "ritorno dello Stato" rischia piuttosto di farci sprofondare ancora di più. Per uno spirito libero, è fondamentale decifrare la crisi e svelare le ipocrisie a cui la sua interpretazione dominante dà luogo.
Le stragi di Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Brescia, Ustica, Bologna o i tentati golpe De Lorenzo e Borghese, i "casi" Mattei, Moro, Ambrosoli e l'omicidio di Pier Paolo Pasolini o il G8 di Genova: sono alcune tra le principali "strane storie" che costellano la vicenda repubblicana italiana, nodi apparentemente inestricabili di un passato/presente che il volume intende ripercorrere proiettandone la visione e l'interpretazione nella cornice del grande schermo cinematografico. Il testo adotta uno sguardo ad ampio raggio capace di rendere conto del cinema d'autore e documentario così come di quello di genere, ma anche di molta produzione televisiva, delineando una mappa completa e dettagliata dei titoli che, nel corso degli ultimi quarant'anni, hanno fronteggiato le questioni più scottanti di un'epoca ancora densa di ombre. I contributi raccolti analizzano in tale prospettiva alcuni capolavori della storia del cinema italiano ma anche film del tutto sconosciuti, evidenziando le modalità in cui, negli uni e negli altri, l'immaginario dei cosiddetti "misteri italiani" ha trovato spazio di trattazione. L'intento è quello di proporre una nuova lettura di uno spaccato di cinema e di storia italiani che possa altresì gettare una pur minima luce sulle zone più buie della nostra "notte della repubblica".
La storia del libro nell'Islam, è storia della proibizione per secoli del libro stampato in arabo e turco, pena la morte. Iniziò col rogo a Istanbul nel 1538 del Corano stampato da due tipografi bresciani, cui venne mozzata la mano. La motivazione di quel divieto è cruciale: il dogma che vuole che il Corano non debba essere interpretato dai fedeli. Da qui la voluta sterilità culturale che segnò il declino della civiltà islamica, che impedì che si formassero la cultura diffusa e quei "citoyens" che hanno invece innervato la forza espansiva dell'Occidente. Nella "non storia" del libro stampato nell'Islam è la traccia per comprendere la rivolta araba di oggi, deflagrata quando si è finalmente formata quella "massa critica" di cittadini sinora assente: i giovani formati sui libri e sulla loro critica.

