
L'ingegner Ivo Brandani è sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro comincia, il 29 maggio 2015, Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina del Mar Rosso: quella vera sta morendo per l'inquinamento atmosferico. Nel limbo sognante di un viaggio di ritorno dall'Egitto, si ricompongono a ritroso le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e incorruttibile, l'Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche degli anni Sessanta, la scoperta dell'amore e del sesso, fino ad arrivare al mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le sfide della prima infanzia. Chirurgico e torrenziale, divagante e avvincente, "La vita in tempo di pace" racconta, dal punto di vista di un antieroe lucidissimo, la storia del nostro Paese e le contraddizioni della nostra borghesia: le debolezze, le aspirazioni, gli slanci e le sporcizie, quel che ci illudevamo di essere e quel che alla fine, nostro malgrado, siamo diventati.
Un libro che fornisce un'introduzione completa, appassionante, progressiva e persino, sotto molti aspetti, pratica a tutti gli aspetti della moderna attività d'intelligence. Attingendo a molteplici esempi tratti dalle attività dei servizi italiani, statunitensi, israeliani, inglesi, francesi, tedeschi, cinesi, vaticani ecc., Aldo Giannuli, conduce il lettore in una strabiliante rassegna delle "missioni": dall'ABC della manipolazione informativa e delle veline ai giornali, passando per l'omicidio e il rapimento, fino ai ben più complessi e inquietanti scenari della lotta al terrorismo, dei progetti eversivi, della guerra finanziaria, psicologica, culturale e delle altre guerre non convenzionali. Ma Giannuli fa anche di più, ci fa scoprire i tanti modi in cui i servizi già oggi praticano "guerre a bassa intensità ": guerre invisibili e distruttive in cui nessun governo può fare a meno di investire risorse crescenti. Dunque nel cuore di ogni Stato, per democratico che sia, esiste chi non agisce in base alle leggi, ma gode di una licenza al "tutto per tutto", spesso servendo gli interessi di fazioni politiche, grandi imprese, poteri forti. Fatto sta che, come dimostra Giannuli, i servizi "sono ormai un gorgo che risucchia sempre nuovi ambiti: la cultura, la comunicazione, la scienza, l'economia, la finanza, il commercio, l'immigrazione, la dimensione cognitiva". Siamo già al Grande Fratello? Ed esiste un antidoto a questo stato di cose?
Per secoli, nella storia dell'occidente, il nero è stato considerato un colore come qualsiasi altro. All'inizio dell'epoca moderna, grazie all'invenzione della stampa e alla diffusione dell'incisione e della riforma protestante, si è addirittura guadagnato uno statuto particolare, accanto al suo antipode, il bianco. Qualche decennio più tardi, però, la scoperta dello spettro cromatico da parte di Newton ha introdotto una nuova gerarchia dei colori, dalla quale erano esclusi sia l'uno sia l'altro. Giunti infine al XX secolo, grazie all'arte prima, al costume e infine alla scienza, il nero ha riconquistato finalmente il suo status originario. Alla lunga e affascinante storia del nero nelle società europee è dedicato questo libro di Michel Pastoureau. Esso mette l'accento sia sulle pratiche sociali legate al colore (linguaggio, tintura, abbigliamento, emblemi), sia sui suoi aspetti propriamente artistici. Un'attenzione particolare viene accordata alla simbologia ambivalente del nero, che può essere considerato in modo positivo (fertilità, umiltà, dignità, autorità) o negativo (tristezza, lutto, peccato, inferno, morte). E poiché non è possibile parlare di un colore isolandolo dagli altri, questa storia culturale del nero è anche, in parte, quella del bianco, del grigio, del marrone, del viola e anche del blu.
Ruth Reichl aveva nove anni quando capì che il cibo poteva essere pericoloso, e che avrebbe dovuto impedire a sua madre, la Regina della Muffa, di uccidere gli ospiti con le sue prodezze gastronomiche. Oggi Ruth Reichl è la critica culinaria più famosa in America. È naturale, quindi, che le sue descrizioni di piatti e sapori siano incantevoli. Ma nel suo libro c'è molto di più, perché Ruth ha un appetito speciale anche per la vita e perché, come dice, "osservando le persone mangiare si poteva scoprire chi erano". Ci parla della sua infanzia, e di sua madre, racconta i suoi primi passi in cucina con la signora Peavey, la domestica dal passato aristocratico, e con Alice, la cuoca caraibica che nei momenti difficili cucina le sue fantastiche mele al forno con salsa dura. Ma è a casa di un ricco buongustaio francese, che Ruth capisce per la prima volta cosa significhi davvero mangiare. Ventenne, si trasferisce a New York con suo marito Doug: la cucina del suo loft diventa il punto di riferimento per un gruppo variopinto di amici fedeli. Con loro Ruth va a vivere in una comune in California: sono i primi anni Settanta e lei si sforza di rendere invitanti le ricette politicamente corrette dell'epoca (pâté di ceci, polpettoni di arachidi e sesamo). Personaggi dipinti con affetto e ironia, storie autentiche e toccanti, illuminate da un umorismo contagioso: è difficile resistere all'umanità che rende unico questo libro, e quando si finisce di leggerlo si sente un po' la mancanza di Ruth e dei suoi amici.
Né traduzione o parodia, né commento rilettura filologica, "La Repubblica di Platone" "di" Badiou si accinge a diventare l'opera filosofica più singolare del XXI secolo. Un genere letterario a sé stante e tanto più stupefacente quanto non è del tutto chiaro chi ne sia l'autore: il greco Platone o il francese Alain Badiou? Personaggi sono Socrate e i suoi allievi, ma tra questi spunta una donna. Lo stile è quello del dialogo, ma il lettore è afferrato da una prosa che attinge a piene mani da un'incalzante oralità. I problemi sono quelli della giustizia e della costituzione politica, ed ecco allora che si parla di corruzione dilagante e sovranità del denaro. Resta la tensione socratica con Omero ed Eraclito, ma la poesia viene riscattata da Mallarmé e il molteplice da Deleuze. I concetti, le domande, i nodi problematici è l'eternità dell'opera di Platone a porli. Ma sono la vivacità e l'audacia del pensiero di Alain Badiou a declinarli nella nostra condizione contemporanea, a farli vibrare in un testo che ricolloca l'opinione nel contesto delle società mediatiche, il mito della caverna nell'odierna schiavitù dell'effimero, Dio nell'alterità, la filosofia in un gesto di combattimento. Nella società giusta qui ridisegnata, dove a governare sono di nuovo i filosofi, e dove tutti, nessuno escluso, saranno filosofi, a dischiudersi non è solo la possibilità di una "vera politica" ma una via di accesso all'assoluto. Introduzione e postfazione di Livio Boni.
"Fondare biblioteche" diceva Marguerite Yourcenar "è ancora un po' come costruire granai pubblici: ammassare riserve contro l'inverno dello spirito". Da sempre, ogni biblioteca è un baluardo alla decadenza, un simbolo concreto con cui opporsi alla volgarità del presente. "Lo scaffale infinito" è un racconto che si snoda su un arco di oltre sei secoli, tra collezionisti, volumi e biblioteche di tutto il mondo. È un viaggio che annulla i confini di tempo e spazio: dall'umanesimo toscano al mondo globalizzato del terzo millennio, attraverso l'Europa rinascimentale e la Russia degli zar, gli Stati Uniti dell'esplosiva crescita economica di fine Ottocento e la sciagurata parentesi nazista. Incontriamo figure immense della storia letteraria, come Francesco Petrarca, con la sua straordinaria collezione di manoscritti e l'amore smisurato per Virgilio; personaggi più oscuri ma non meno importanti, come Hernando Colon, figlio illegittimo di Cristoforo Colombo, e Monaldo Leopardi, padre non amato di Giacomo; potenti cardinali come Federigo Borromeo e Mazarino, industriali dalle ricchezze favolose e attori squattrinati, come i primi stampatori di Shakespeare, inconsapevoli dell'eredità che avrebbero lasciato al mondo. A chiudere il cerchio, vero e proprio nume tutelare dell'amore per i libri, Umberto Eco, emblema di eclettismo ed esempio concreto dell'utopica "biblioteca universale" di cui favoleggiava Borges.
Siamo entrati in un'epoca di rivolgimenti politici e sociali cui mai avremmo creduto di poter assistere, un'epoca segnata dalla ripresa delle lotte di emancipazione su scala generale - si pensi alla Primavera araba e al movimento Occupy - ma anche dal ridestarsi di potenti forze antidemocratiche: il sentimento xenofobo e integralista che dilaga in Europa, e che è sfociato nella follia omicida di Breivik, autore della strage di Utoya; i governi "politicamente neutri" dei tecnici in Italia, Grecia e Spagna, senza escludere la riedizione dell'ossimoro contemporaneo per eccellenza, ossia la guerra umanitaria (in Libia). È stato un anno sognato pericolosamente, in cui agli straordinari slanci di partecipazione democratica hanno fatto da controcanto le misure di iniquo "risanamento" imposte alla collettività dai sicari dell'economia. Slavoj Zizek ci propone un'attenta e originale lettura di questi eventi, unitamente all'esame di alcuni tra i più significativi fenomeni culturali del momento, per fare luce sull'"antagonismo centrale del capitalismo contemporaneo". Abbinando il giudizio appassionato del militante politico al contegno filosofico del critico dell'ideologia, Zizek cerca di rispondere alla domanda cruciale del nostro tempo: come possiamo combattere il sistema senza contribuire, involontariamente, al suo rafforzamento?
La gran parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere; la maggior parte di essi non viene riabilitata, come prescrive la Costituzione, ma semplicemente repressa, e privata di elementari diritti sanciti dalla nostra carta fondamentale - come ne vengono privati i loro cari; la condizione carceraria, per il sovraffollamento, la violenza fisica e psicologica, è di una durezza inconcepibile per chi non la viva, e questa durezza incoraggia tutt'altre tendenze che il desiderio di riabilitarsi; la cultura della retribuzione costringe le vittime dei crimini alla semplice ricerca della vendetta, senza potersi giovare di alcuna autentica riparazione, di alcuna genuina guarigione psicologica. È possibile pensare a forme diverse di sanzione, che coinvolgano vittime e condannati in un processo di concreta responsabilizzazione? Gherardo Colombo indaga le basi di un nuovo concetto e di nuove pratiche di giustizia, la cosiddetta giustizia riparativa, che lentamente emergono negli ordinamenti internazionali e nel nostro. Pratiche che non riguardano solamente i tribunali e le carceri, ma incoraggiano un sostanziale rinnovamento nel tessuto profondo della nostra società: riguardano l'essenza stessa della convivenza civile.
Che cosa può la grande letteratura - quella di Dante e Apuleio, Virginia Woolf e Leopardi, Conrad e Dostoevskij, Melville e Joyce, Rilke e Yeats, i numi tutelari di questo libro - insegnare sul Bene? Trevi lo racconta in un breve libro, oggi ripubblicato in una nuova edizione rivista e accresciuta dopo un decennio di assenza dalle librerie, i cui capitoli sono dedicati ad altrettante virtù della tradizione cristiana: fede, speranza, carità; prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Svincolate dalla loro dimensione religiosa, non perciò dal loro intimo nucleo spirituale, le virtù, parole che paiono sull'orlo del definitivo tramonto, riprendono forza e vigore se illuminate - con la sapienza di Emanuele Trevi - dalla tradizione letteraria occidentale.
Siamo all'alba di un nuovo mondo politico? La grande crisi finanziaria ha prodotto le rivolte della Primavera araba e il movimento degli indignados in Spagna, Grecia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Sono rivolte meno organizzate rispetto al passato ma la loro forza è proprio quella di essere grandi e spontanei movimenti popolari che si oppongono alle parole d'ordine di questa modernizzazione: modernizzare, riformare, cambiare. I movimenti popolari nascono anche come risposta alla falsa disputa tra opposti schieramenti che si riduce tutt'al più a chi davvero possa proporre il "vero" cambiamento, a colpi di riforme e liberalizzazioni. Alain Badiou critica questa condivisa visione delle cose che vuole a tutti i costi il cambiamento e la modernizzazione, per riaffermare la potenza dell'idea. Sono proprio le rivolte a riaprire d'improvviso la storia che molti, a cominciare da Fukuyama, avevano frettolosamente considerato finita.

