
Si può ancora incontrare Dio nella "società liquida"? La secolarizzazione e la scristianizzazione dell'Occidente sono segno della fine dei tempi o soltanto della fine di un'epoca e dell'inizio di un'altra? La società plurale e relativista è il nemico da combattere innalzando barriere e muri oppure può diventare l'occasione per annunciare il Vangelo in modo nuovo? La fine della civiltà cristiana e la difficoltà a trovare un comune denominatore nei "valori" e nella morale "naturale" segnano l'impossibilità di un dialogo tra credenti e non credenti o richiedono che questo sia proposto in forme nuove? Di fronte a una situazione che per certi versi assomiglia a quella degli inizi del cristianesimo, chi crede in Gesù come è chiamato a vivere? Don Julián Carrón è da dodici anni alla guida del movimento di Comunione e Liberazione. Ha avuto il compito non facile di raccogliere il testimone da don Luigi Giussani, il quale, pur non avendo inteso «fondare niente», diede vita a un movimento che come tutte le realtà nuove ha fatto e fa discutere. In questo suo primo libro-intervista dialoga con il vaticanista Andrea Tornielli, non tanto con l'obiettivo di affrontare i temi più spinosi e interni alla vita di CL e della Chiesa, che pure non mancano in questo libro con domande e risposte scomode, ma anzitutto per raccontare qual è lo sguardo del movimento sul momento storico che stiamo vivendo, per riproporre - senza linguaggi autoreferenziali o per addetti ai lavori già "fidelizzati" - quale sia il nucleo essenziale della fede cristiana. Con particolare attenzione alla dinamica con cui il cristianesimo si è comunicato e si comunica. Il dialogo schietto che il lettore troverà in queste pagine non è una biografia di don Julián Carrón e neppure un saggio sulla realtà ciellina. Rappresenta piuttosto il tentativo di porre e suscitare domande, per scoprire o riscoprire i contenuti del cristianesimo, chiedendosi se e come possano essere interessanti e nuovamente testimoniati in una società non ancora post-cristiana, ma già ben avviata a diventarlo.
Una ricostruzione giornalistica che a partire dai primi anni Ottanta rivela come i servizi segreti della ex Jugoslavia comunista e dell'allora "cortina di ferro sovietica" avessero attivato una poderosa macchina del fango per screditare, distruggere e annientare le apparizioni mariane con pugno deciso e indagini arbitrarie contro i veggenti, i francescani della provincia di Mostar e, per conseguenza, contro la chiesa di Medjugorje e le parrocchie circostanti. Al racconto si affianca un preciso resoconto sul lungo "filo celeste" che lega Fatima a Medjugorje fino alle misteriose e inspiegabili guarigioni, fra cui quelle straordinarie di fra Stefano sul monte Krizevac, di Raffaella che recupera la vista sul monte Podbrdo davanti a Brosio testimone oculare, del piccolo Giuseppe sanato istantaneamente da una grave neurodermite e di mamma Anna dopo il drammatico ritorno dal pellegrinaggio in Bosnia. Aggiornatissime sono le notizie sul lavoro dell'"inviato speciale" del papa, monsignor Henryk Hoser, arcivescovo di Varsavia-Praga, allo scopo di acquisire per la Santa Sede approfondite conoscenze sulla situazione pastorale a Medjugorje. Al Santo Padre, che sul volo di ritorno da Fatima espresse forti dubbi sulle apparizioni di oltre trent'anni dei sei veggenti, Brosio scrive in questo libro una lettera aperta in cui afferma con forza: «Ma come, papa Francesco, perché ti meravigli? Certo che la Madonna deve parlare e mandarci messaggi tutti i giorni. Certo, perché con la testa che abbiamo noi figli, con la cervice dura di questa umanità dal cuore di pietra, che cosa dovrebbe mai fare la Madonna? Stare zitta? Perché vogliamo imbavagliare la Vergine Santa e lasciare che la Chiesa, e quindi tutti noi, lentamente scivoliamo verso una deriva catastrofica?».
Spagna, anno 1492: una destinazione coi baffi per una vacanza nel Tempo! Geronimo incontra Cristoforo Colombo e, per aiutarlo a salpare con le sue caravelle, s'improvvisa marinaio anche se... soffre il mal di mare! Età di lettura: da 7 anni.
Nel verbosissimo e infinito fiume di parole scritto e detto per raccontare il meridione d'Italia, luci e ombre non sono (quasi) mai nella stessa scena. Da una parte si mettono in evidenza criminalità, sprechi, lentezze, degrado, dall'altra si inalberano una difesa esaltata e a oltranza e un folclore al limite della caricatura. Una contrapposizione che non serve a fare chiarezza. Quello che occorre, invece, è guardare i chiari e gli scuri insieme nella stessa foto. Questo fanno le quattro autorevoli voci che compongono questo libro. Quattro intellettuali "terroni" raccontano il Sud senza sconti, senza piagnistei, senza sensi di inferiorità né di superiorità, tra la "fuganza" di chi proprio non ce la fa a restare e la "restanza" di chi invece ha deciso di tenere duro e rivitalizzare la propria terra. E le ragioni per entrambe le scelte non mancano. Il risultato è una riflessione illuminante, una messa in guardia sul valore del nostro Sud. State attenti, dicono gli autori, significa sia preoccupatevi per il Sud, sia badate a voi perché potrebbe stupirvi ed esplodervi in mano. In ogni caso, stare attenti al Sud vuol dire stare attenti all'Italia intera.
Ricordare è faticoso, meglio non sapere: sembra questa la regola aurea di tanta storiografia ufficiale. Lorenzo Del Boca fa l'esatto contrario. Vuole ricordare tutto: anche i lati oscuri su cui si è sempre preferito tacere. «Il maledetto libro» è innanzitutto questo: uno sconvolgente viaggio nel tempo attraverso due secoli di bugie sfacciate e vergogne nascoste, animato dal desiderio di rendere giustizia alla storia. Anche a rischio di toccare i nervi scoperti della nostra identità nazionale. I Savoia furono sovrani illuminati o squallidi approfittatori? I garibaldini furono eroi senza macchia o un'accozzaglia di avventurieri mossi dalle più disparate motivazioni? L'unità d'Italia fu il sogno di un intero popolo o una frottola ideologica per camuffare la sete di conquista delle élite? Siamo certi che la lotta contro i banditi del Meridione non sia stata in realtà una feroce occupazione coloniale? E ancora: cosa descrivono i terribili diari dei soldati nelle trincee della Grande Guerra? Un'impresa gloriosa o una carneficina insensata, voluta da cinici politicanti e condotta da ufficiali codardi e incapaci? E il fascismo fu davvero, come in troppi ancora pensano, un regime autoritario ma di specchiata onestà? Dalla rilettura della nostra storia - quella non "taroccata" - emerge un sottile filo rosso che, in maniera contorta ma senza soluzione di continuità, si dipana dall'Italia di ieri per attorcigliarsi intorno a quella di oggi...
Leon ha nove anni quando prende in braccio per la prima volta il suo fratellino appena nato, Jake. Un neonato che sembra un bambolotto, con la pelle bianchissima, così diversa da quella di Leon, che ha la pelle scura. Ma ora che la loro mamma non si vede più in giro, e loro devono andare a vivere con Maureen, una signora dai capelli rossi e ricci e una pancia come Babbo Natale, Leon capisce che deve proteggere il suo fratellino: perché qualcuno vuole prenderselo, e avere quel bambolotto bianco tutto per sé. Anche se Maureen gli spiega che è per il bene di Jake, che c'è una famiglia che vuole dargli una casa e un sacco di amore, per Leon è solo un tradimento. È per questo che Leon adesso è triste e anche un po' arrabbiato. .. Per fortuna alcune cose lo fanno ancora sorridere, come correre velocissimo in discesa con la bici, e rubare con Maureen abbastanza monetine per poter - un giorno -andare a prendere Jake e anche la mamma, come un vero supereroe. Con l'evocazione di un'Inghilterra in cui le divisioni sociali sono più che mai evidenti, e dal colore della pelle può dipendere il futuro di un bambino, "Il mio nome è Leon" è un romanzo che ha colto di sorpresa i lettori inglesi: la storia struggente e dolcissima, raccontata con lo sguardo del piccolo Leon, della forza di un amore e della capacità di superare il dolore e la perdita. E soprattutto la storia di che cosa vuol dire avere una famiglia, o trovarla dove meno ce lo si aspetta.
In questo libro Maometto racconta la vita di Maometto. Magdi Allam scrive un racconto sconvolgente rivolto a una maggioranza, anche di musulmani, che non sa nulla del fondatore dell'islam o ne ha un'immagine mistificata. I fatti descritti sono conformi a quanto è riportato nei testi ufficiali e, proprio perché i fatti corrispondono a quelli che sarebbero accaduti secondo Maometto, non sono da considerarsi veritieri di per sé. Non è pertanto un testo oggettivo sulla vita di Maometto, bensì la rappresentazione della vita di Maometto secondo Maometto. Ci sono fatti realmente accaduti che si sovrappongono alla visione di una realtà inverosimile, talvolta sognata e inventata, spesso manipolata spregiudicatamente per accreditare la sua superiorità sull'insieme dell'umanità quale "Messaggero di Allah". Nel suo insieme sembra di leggere un romanzo, eppure è questa la realtà in cui credono i musulmani, che sostanzia la loro fede, che ispira la loro spiritualità, che forgia la loro mente, che determina la loro azione. Di conseguenza, è questa la realtà che condiziona la vita di tutti noi, costretti a subire il terrorismo islamico dei tagliagole, di coloro che sgozzano, decapitano, massacrano e si fanno esplodere; il terrorismo del lavaggio del cervello che trasforma i musulmani in robot dell'odio. I terroristi e i predicatori islamici si sentono investiti della missione di sottomettere l'intera umanità all'islam, perché determinati a ottemperare letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano e a ciò che ha detto e fatto Maometto. Ecco perché è corretto affermare che l'islam si fonda anzitutto su Maometto, in quanto l'Allah del Corano è conseguente a Maometto. L'Allah coranico è una creatura di Maometto, non c'era prima di Maometto, non c'è laddove non si creda in Maometto, e cesserà nel momento in cui non si crederà più allo stesso Maometto che lo ha inventato.
«Se fate emergere le aspirazioni più profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c'è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte 'a basso prezzo'. La ricerca della felicità è comune a tutte le persone, di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un'aspirazione alla pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la sete d'infinito?». Ogni vita è in cerca di un senso, della realizzazione di sogni, progetti e speranze, ma il segreto della felicità per papa Francesco è diventare persone libere e liberate. Solo nella libertà può realizzarsi un'esistenza riuscita, capace di diventare luce nelle relazioni con gli altri. A partire dal celebre versetto evangelico - «chiunque avrà lasciato le proprie ricchezze per il Vangelo riceverà il centuplo in questa vita e l'eternità» - il pontefice traccia il cammino per un'autentica realizzazione di sé e per una gioia che non aggira il dolore, ma lo attraversa e lo supera. «Chi prega vive giorni sereni - dice il papa - perché la preghiera completa l'umano» e anche chi non crede può aspirare alla felicità nella dimensione dell'ascolto, della contemplazione, della generosa uscita da sé stessi.
La cacciata dal paradiso per Loung Ung ha una data: il 17 aprile 1975. Fino ad allora, la sua infanzia, come quella dei sei fratelli, è stata meravigliosa, grazie all'amore della mamma e del papà, un alto ufficiale del governo cambogiano. Loung amava addentrarsi con la famiglia nei coloratissimi mercati di Phnom Penh, dove vivevano, tra profumi di zuppe di noodles e noccioline tostate e chiassosi animali. Ma quel 17 aprile, quando lei ha solo cinque anni, il paradiso va in frantumi. Gli Khmer Rossi di Pol Pot prendono la città. Tutta la Cambogia piomba nell'incubo di un regime brutale. La famiglia Ung è in pericolo, data la posizione del padre, e deve abbandonare la casa, le comodità, la sua stessa identità, per fuggire in campagna e nascondersi di villaggio in villaggio. Infine devono separarsi, con la speranza di ritrovarsi tutti un giorno. I fratelli di Loung vengono imprigionati, invece lei, così piccola, è destinata a un campo di addestramento per giovani soldati. Per lunghi anni dovrà lottare ogni singolo momento per non cedere alla fame, alla fatica e alla disperazione. La violenza la circonda, e i suoi occhi di bambina sono testimoni di cose che nessuno dovrebbe vedere in una vita. Quasi due milioni di cambogiani morirono in quel genocidio. Quando finalmente, con l'arrivo dei vietnamiti, l'incubo finisce, per Loung inizia la lunga ricostruzione di se stessa e della sua famiglia. Con una forza d'animo incredibile per una bambina e gli insegnamenti del padre, riuscirà a ricrearsi una nuova vita, un nuovo e diverso paradiso.
Corrado Lazzari è stato il più grande attore del Novecento. Il volto della tragedia shakespeariana, l'interprete sofisticato e potente, acclamato dalle platee di tutto il mondo, è oggi un uomo solo. La fama, il successo, gli amici, tutto perduto. Le giornate si inseguono, uguali, in un appartamento di un palazzo abbandonato nel centro di Roma. Corrado riordina l'archivio di una vita intera, giornali, fotografie, copioni, mescolando la fragilità del presente ai ricordi del passato: gli anni all'Accademia di Arte Drammatica, le tournée in giro per il mondo e il grande amore perduto per Francesca. Sembra che tutto debba continuare così, identico a se stesso, fino alla fine. Poi un giorno arriva lei, e tutto cambia. Alessandra è giovane, poco più di vent'anni, e studia lettere con indirizzo teatrale, così dice al Maestro presentandosi. Timida e impacciata, cerca di entrare nella vita di Lazzari. L'iniziale ritrosia dell'uomo viene spazzata via dall'ansia di sapere della giovinezza. E attraverso le parole del teatro, quelle che hanno riempito la sua essenza, Corrado forse scoprirà, insieme con quella ragazza, il modo di accettare la propria caduta e di rendersi immortale nello stesso, perfetto istante.