
C'è una razionalità propria della politica? Da questa razionalità consegue un male specificatamente politico? Domande che per Ricoeur definiscono il "paradosso politico", a partire dal quale s'è confrontato con Hannah Arendt. Un dialogo attorno alle categorie di potere, potenza, autorità, forza e violenza con cui la Arendt - maestra delle "distinzioni" - ha indagato da un lato l'incarnazione novecentesca del male politico, il totalitarismo, dall'altro un modo d'essere della politica che fuoriesca dalla equazione "potere = forza+violenza". Il potere e l'autorità - questa per Ricoeur è l'eredità della Arendt - sono un argine al male politico. Quando il potere - come azione che contrasta la fragilità del mondo - non dimentica la sua radice nel miracolo terreno: la natalità, l'accadere dell'inatteso. Un'eredità che è anche dell'antropologia filosofica delineata in Vita adiva, con le distinzioni tra lavoro, opera e azione.
Questo studio sull'estetica di ispirazione tomista, animato dall'intento di riattualizzarla, ebbe una irradiazione considerevole nell'ambiente degli artisti, dei filosofi e dei teologi, in quella temperie spiritualmente e culturalmente fecondissima e fermentante della Parigi degli anni Venti, tra le "sperimentazioni" di Jean Cocteau, l'arte di Henri Ghéon, di Francis Jammes e di Max Jacob, la pittura di Georges Rouault, quella di Gino Severini e l'avanguardia musicale di Erik Satie, di Arthur Lourié, di Francis Poulenc, di Georges Auric, di Darius Milhaud, di Igor Stravinskij. In un mondo così caleidoscopicamente "anarchico", le chiare distinzioni concettuali e il senso del mistero del soggetto umano nel suo "fare" artistico, propri dell'estetica che si riallaccia a san Tommaso - attraverso l'intelligenza vigorosa e la sensibilità artistica di Jacques Maritain, affinata dalla consuetudine con la delicata poesia religiosa di Raissa - stabiliscono un ordine profondo e organico, al di là delle artificiose "sistemazioni" ideologiche.
La questione dei criteri attraverso i quali poter contribuire all'attività legislativa anche quando gli esiti di quest'ultima, fondatamente, manterranno in misura più o meno significativa aspetti problematici dal punto di vista etico è andata sempre più emergendo, in questi anni, nella sensibilità dei fedeli laici impegnati in politica, come altresì nella teologia morale e nello stesso magistero della Chiesa cattolica. Gli approfondimenti sul tema restano tuttavia sporadici e manca una trattazione sistematica dell'intera materia. In tale contesto questo volume offre un apporto originale con riflessioni autorevoli, in reciproco dialogo, di ambito teologico-morale, giuridico e filosofico. Così che possa svilupparsi progressivamente, nella Chiesa, un approccio complessivo circa le modalità di presenza dei fedeli laici, secondo la responsabilità loro propria, all'interno delle istituzioni legislative tipiche del pluralismo democratico.
La Chiesa di Scientology può definirsi una religione, e secondo quali elementi? Cosa realmente può dire questa Chiesa di se stessa, al di là delle controversie giuridiche e delle mozioni d'animo dei suoi seguaci e difensori, o dei fuoriusciti? Il libro, andando oltre tanto alla pura critica quanto all'apologia, intende colmare una lacuna nella conoscenza di Scientology, indicando un cambio di passo nella sua stessa autocomprensione. Considerare questa Chiesa come una religione significa anzitutto esaminare i suoi contenuti teologici-dottrinali, gli aspetti liturgici e rituali, ricostruiti in queste pagine nell'equilibrio fra distacco critico ed empatia di chi preliminarmente provi a mettersi "nei panni di": una ricerca di oggettività che si compie abbandonando i pregiudizi e ponendosi dall'interno della prospettiva che intende studiare, conducendola oltre se stessa. Uno sguardo fenomenologico, che da decenni Aldo Natale Terrin adotta per comprendere e descrivere la pluralità dei fenomeni religiosi, nella comparazione tra antiche e nuove religioni, volto all'"essenza" della spiritualità. L'analisi condotta in queste pagine si sofferma dapprima sulla figura e sul ruolo del fondatore, Lafayette Ron Hubbard, quindi sulla dottrina di questa Chiesa - basata sugli scritti Scientology e Dianetics e intrisa di una teologia dell'immortalità-salvezza e della libertà umana - infine sul calendario liturgico e sulle pratiche e ritualità, che presentano assonanze e parallelismi con le religioni tradizionali, nella loro grammatica profonda e come spazio esperienziale.
Che cosa significa "eresia", quando nasce e con quali finalità? L'eresia non è un concetto storiografico, che descrive una realtà storico-religiosa, ma è il prodotto di quella storia, con le sue ambiguità: nel II secolo il concetto è introdotto - in chiave teologica, confessionale, apologetica - come sinonimo di "deviazione" rispetto alla verità della fede; rappresenta la condanna elaborata da un gruppo nei confronti di altri per contrastare con l'"ortodossia" le origini non unitarie del cristianesimo. Persino Lutero fu accusato dell'eresia dello Scisma: dal canto suo, egli ispirò la Riforma protestante per ritornare a un ideale di Chiesa autentica. L'autore, ricostruendo gli usi strumentali del linguaggio che descrive queste realtà nel tempo, offre una lezione di metodo: l'analisi storico-critica del cristianesimo come modello di ricerca e di possibile dialogo tra le religioni.
Frutto di un progetto unitario, il Manuale di storia della Chiesa diretto da Umberto Dell'Orto e Saverio Xeres, in quattro volumi, si propone come strumento di consultazione e di sintesi per conoscere lo sviluppo della Chiesa nel corso della storia. Le pagine iniziali di ogni volume presentano il relativo periodo storico: l'Antichità cristiana, dalle origini della Chiesa alla divaricazione tra Oriente e Occidente (secoli l-V); il Medioevo, dalla presenza dei barbari (secoli IV/V) in Occidente al Papato avignonese (1309-1377); l'epoca moderna, dallo Scisma d'Occidente (1378-1417) alla vigilia della Rivoluzione francese (1780-1790); l'epoca contemporanea, dalla Rivoluzione francese al Vaticano II e alla sua recezione (1789-2005). Nell'opera vengono evidenziati i collegamenti tra le varie epoche e tematiche, mentre alcuni inserti approfondiscono vicende o concetti particolari. Ogni capitolo è arricchito da una bibliografia selezionata che indica tanto i testi utilizzati per elaborare l'esposizione quanto quelli che permettono di meglio conoscere e comprendere gli argomenti trattati.
«Più si teologizza, meglio si filosofa»: con queste parole Emmanuel Falque guida il lettore nel metaforico "passaggio del Rubicone", che conduce dalla riva della filosofia a quella della teologia sconvolgendo i canoni tradizionali del rapporto tra le due discipline. Mettere in dialogo questi versanti opposti - nel tentativo di innovare un'antica tradizione che affonda nel pensiero medievale e ha vari sviluppi nell'età contemporanea - significa predisporsi a una loro nuova comprensione, alla scoperta della potenza euristica di questi diversi e autonomi ambiti del sapere, dove l'uno arricchisce l'altro. Una prospettiva che conduce al superamento del ruolo ancillare della filosofia rispetto alla teologia e alla liberazione della teologia tramite la filosofia, con l'audacia che caratterizza la svolta teologica della fenomenologia francese nel suo aprirsi alle tematiche religiose. La proposta di Falque è una originale ermeneutica cattolica che si pone in dialogo con Husserl, Heidegger, Ricoeur, Lévinas, Merleau-Ponty, Derrida, Rahner, von Balthasar, Bultmann, de Lubac, e ruota attorno ai temi del "corpo", della "voce", del "Kerigma" e del "credere". La "decisione per la fede" è il timbro del suo pensiero: un sapere filosofico-teologico "trasformante".
"Una lunghissima tradizione interpretativa propone di accostare i testi letterari da una prospettiva di tipo storico, declinata sulla base delle categorie hegeliane e successivamente rimodulata sui fenomeni della modernità novecentesca. La crisi della storia - come crisi del rapporto causa-effetto o come sfiducia nel concetto di evoluzione positivista - ha indebolito l'idea di progresso, a partire soprattutto dagli ultimi decenni del secolo scorso, quando gran parte delle strutture ideologiche, politiche, economiche e culturali hanno mostrato limiti e inadeguatezze. Ciò potrebbe aver favorito un cambio di sguardo nello studio dei testi - dalla verticalità della storia all'orizzontalità della geografia, dalla linearità del tempo alla circolarità dello spazio -, maturato sulla base della necessità di cercare e trovare nuovi parametri per decodificare un autore o un'opera."
"Il tema 'esperienza religiosa e questione di Dio' ha fatto da filo conduttore del seminario di studi di 'Hermeneutica', promosso dall'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino "Italo Mancini", che ha ospitato nel settembre 2016 il convegno annuale dell'Associazione italiana di filosofia della religione (AIFR). Gli scritti che qui presentiamo raccolgono gli atti del convegno, assieme a un nutrito numero di interventi che restituiscono una parte del dibattito che durante esso si è registrato. La rilevanza di un tema così ampio e complesso è indubbiamente interdisciplinare: non solo la filosofia della religione, ma anche la teologia e le scienze della religione hanno interesse a mettere a fuoco il nesso tra esperienza religiosa e questione di Dio. Tuttavia, tale nesso appare oggi assai meno evidente di quanto poteva essere un tempo: il termine 'religione', sia dentro che fuori dell'ambito accademico, è spesso usato senza implicare un esplicito riferimento all'esistenza di Dio o a un determinato concetto di Dio, e sono frequenti nel panorama filosofico contemporaneo i tentativi di pensare l'esperienza religiosa entro un contesto che non è teistico o che non lo è più (si parla in questo caso di post-teismo). In un certo senso sembra che l'attenzione sul tema dell'esperienza religiosa, che è stata costante in epoca moderna e si rinnova e trasforma continuamente in quella post-moderna, sia stata guadagnata proprio a spese di quello di Dio." (Dall'introduzione di Marco Cangiotti e Andrea Aguti)
Il problema della sofferenza tocca il cuore della "teodicea": il rapporto fra il bene che è Dio e il male presente nel mondo. Per la teologia questa asimmetria è giustificata dal libero arbitrio, che rende l'uomo libero di scegliere: la sofferenza è una prova che offre la possibilità di approssimarsi a un bene più grande. Lewis, per l'approccio razionale a tali questioni - intelligibile ai più - e per lo stile accattivante, proprio di un grande romanziere, appare un pensatore moderno. Moderna è la sua apologia del cristianesimo: non tanto in contrapposizione alle altre fedi ma come difesa del senso stesso dell'essere umano, oggi quanto mai attuale, ad esempio, rispetto all'avanzare di prospettive naturalistiche, che negano la dimensione della libertà umana. L'esperienza del dolore rappresenta, appunto, l'argomento contrario. Premessa di Andrea Aguti.