
«Memori delle tirannie che l'avevano mortificata, nella seconda metà del Novecento abbiamo amato il carattere esaltante della libertà come liberazione da ogni catena. Ma ora che finalmente abbiamo raggiunto tale condizione, nuove ombre si allungano attorno e dentro di noi». A cinquant'anni dalla «primavera in cui le strade e le piazze del nostro paese risuonarono del vibrante grido di libertà», quel concetto delicato e prezioso, coltivato dalla generazione dei baby boomer, è a rischio di collasso. La sempre maggiore richiesta di sicurezza, la ricerca di qualcuno o qualcosa in grado di restituire un po' di ordine, rischiano oggi più che mai di farci sacrificare la tanto agognata libertà e di indebolire le basi di solidarietà, tolleranza e fratellanza su cui la nostra società si fonda. Avremmo bisogno, sostiene Mauro Magatti, di una libertà che sappia essere responsabile, una libertà capace di indignazione, dedizione, affezione, in grado di non rinchiudersi nella consolazione di un godimento solipsistico ma di creare nuovi legami, una libertà che sappia ricostituire luoghi e processi di produzione di senso collettivo. E poiché la libertà va allenata, individualmente e collettivamente, ecco allora cinque «movimenti» che, come una ginnastica, possono aiutarci a sbloccare ciò che si sta intorpidendo. Primo: dire no, opporsi, resistere, dissentire. Secondo: coltivare lo spirito di iniziativa. Terzo: farsi ingaggiare, senza farsi imprigionare. Quarto: lasciare andare. Quinto: far circolare la libertà. Perché la libertà è una sfida, eccitante, complessa, quotidiana, che non riguarda mai solo l'individuo, ma ogni relazione che prende forma negli ordini sociali, culturali e politici. È un delicato equilibrio che, come acrobati su un filo sottile, possiamo raggiungere solo mettendo da parte la paura di cadere.
Dall'autore del "Piccolo bruco Maisazio", un libro per dire: buon Natale! Età di lettura: da 4 anni.
Il mondo è cambiato molto più di quanto gli occidentali si rendano conto. Il tramonto del secolo americano e la possibile transizione al secolo cinese bruciano le tappe. Ci siamo distratti mentre la Cina subiva una metamorfosi sconvolgente: ci ha sorpassati nelle tecnologie più avanzate, punta alla supremazia nell'intelligenza artificiale e nelle innovazioni digitali. È all'avanguardia nella modernità ma rimane un regime autoritario, ancora più duro e nazionalista sotto Xi Jinping. Unendo Confucio e la meritocrazia, teorizza la superiorità del suo modello politico, e la crisi delle liberaldemocrazie sembra darle ragione. L'Italia è terreno di conquista per le Nuove Vie della Seta. In Africa è in corso un'invasione cinese di portata storica. Due imperi, uno declinante e l'altro in ascesa, scivolano verso lo scontro. L'America si è convinta che, «ora o mai più», la Cina va fermata. Chi sta in mezzo, come gli europei, rimarrà stritolato? Nessuno è attrezzato ad affrontare la tempesta in arrivo. Neppure i leader delle due superpotenze hanno un'idea chiara sulle prossime puntate di questa storia, sul punto di arrivo finale. Mettono in moto forze che loro stessi non sapranno dominare fino in fondo. Pochi anni fa le due superpotenze sembravano diventate quasi una cosa sola, tanta era la simbiosi tra la fabbrica del mondo (cinese) e il suo mercato di sbocco (americano). Quell'epoca si è chiusa e non tornerà. Sta succedendo ciò che molti esperti consideravano impossibile. I dazi sono stati solo l'acceleratore di un divorzio che cambierà le mappe del nostro futuro. Trump può subire l'impeachment o perdere le elezioni nel 2020 ma i democratici che lo sfidano sono diventati ancora più intransigenti con Pechino. La resa dei conti precipita a tutti i livelli. Questo libro è una guida e un manuale di sopravvivenza nel mondo nuovo che ci attende.
A quindici anni anni dalla prima pubblicazione, Carlos Ruiz Zafón scrive una nuova prefazione al libro. Un'edizione celebrativa, impreziosita dalle fotografie suggestive di Francesc Catalá-Roca, fotografo catalano recentemente riscoperto, che alla Barcellona del dopoguerra ha dedicato fotografie profondamente evocative, ideale controparte del testo di Carlos Ruiz Zafón.
Adelaide fa l'antiquaria, ha un marito più giovane di lei con cui è in crisi, una madre complice e saggia nonostante un principio di arteriosclerosi, e quattro amiche vere, che come lei stanno attraversando la crisi dei cinquant'anni. Crisi? In realtà si direbbe che non si siano mai divertite tanto. Nei loro incontri (quasi sempre in un ristorante cinese) si scambiano le più inconfessabili confidenze sessuali, e al lettore è concesso di origliare e apprendere così, nei più imbarazzanti dettagli, le avventure e le sventure erotiche di Adelaide, Benedetta, Tonia, Rosaria e Martina. Cinque donne diversissime tra loro ma accomunate da due cose: una visione ormai disincantata della vita e, al tempo stesso, una gran voglia di viverla a pieno. Anche a dispetto dell'età che avanza. Si ride molto, alle loro spalle e a quelle dei loro partner, talmente goffi da suscitare tenerezza. Ma tra un sorriso e una risata capita anche di riflettere sull'eterna conflittualità dei rapporti tra i sessi e sull'inossidabile valore dell'amicizia. Un'avvertenza: astenersi puritani e persone sensibili. Tenere lontano dalla portata dei bambini.
L'"Elettra" di Sofocle ha sempre goduto, nei duemila-cinquecento anni dalla sua comparsa, di una popolarità eccezionale, tanto da conoscere numerosissime riscritture sino all'Elektra di Hofmannsthal (poi trasformata in memorabile opera in musica da Richard Strauss), a O'Neill, Giraudoux e Sartre. La personalità della protagonista vi campeggia assoluta. La trama si svolge con rapidità stupefacente, ma con una quantità di svolte e raddoppiamenti sensazionali. Il tessuto lirico, drammatico e melodrammatico è teso come la corda di una lira. In questa edizione si dà una lettura nuova della protagonista: Elettra vi è interpretata come un "problema" «in quanto ostacola i cospiratori e ruba la scena ai loro piani»; il dramma stesso si configura come "problema", «perché è privo del normale meccanismo che serve a portare avanti la trama». Davanti alla sconfitta ateniese nella guerra contro Sparta, Sofocle sceglie di «sondare più da vicino l'individuo drammatico», ma anche qui sorgono questioni non indifferenti: per esempio, «può un individuo eroico essere esemplare se la forza della sua personalità non è diretta contro potenti antagonisti ma resta un'esibizione largamente inefficace da parte di una persona», come Elettra, «posta ai margini»? E ancora: perché Sofocle complica la trama del riconoscimento tra Elettra e Oreste già resa celebre dalla versione di Eschilo? Nell'Elettra sofoclea tale intreccio si sviluppa in una serie di scene di finzione che vedono il Precettore narrare la morte di Oreste; poi la sorella Crisotemi annunciare che è vivo e raccontare una replica dell'episodio, ben noto dalle Coefore, presso la tomba di Agamennone; quindi la comparsa dell'urna, portata da Oreste stesso, che ne conterrebbe le ceneri, e l'esibizione dell'anello paterno come prova definitiva. «Sì, proprio l'unico che viene a soffrire dei tuoi mali», dice Oreste di sé stesso un attimo prima, in un verso denso di compassione. «Oreste è qui morto per finzione, e ora per quella finzione sano e salvo», esclama Elettra, convinta dall'anello. Quella «finzione» è la chiave di volta dell'emozione intensa che ancora oggi suscita l'"Elettra" di Sofocle.
Quando il mistero incontra l'incredibile, le detective dell'incubo sono pronte a entrare in azione. «Io e Zoe eravamo in attesa di un nuovo mistero da risolvere, ma chi l'avrebbe mai detto che questa volta la creatura del male sarebbe stata una sorella troppo buona per essere vera? È quello che ci racconta Andrea, il nostro terrorizzato cliente, che da qualche giorno non riconosce più la sua gemella: Rossella è gentile, premurosa, e al mattino non gli grida più "Svegliati, schiappa" ma gli augura una felice giornata. Un vero fenomeno paranormale! E questo è solo l'inizio di una storia tetra e oscura che coinvolge cambi di identità, rapimenti e streghe. Se non credessi fermamente nella scienza, direi che ci troviamo di fronte a un caso davvero spaventoso, anche perché riguarda da vicino una persona a cui tengo moltissimo: Zoe.». Ecco a voi un nuovo caso impossibile per la Zoe & Lu Investigazioni. Età di lettura: da 11 anni.
Molto si sa del Vittorio Feltri giornalista e della lunga e fortunata carriera che lo ha visto passare da un piccolo giornale di provincia al «Corriere della Sera», fino a diventare direttore di testate come «Libero» e «il Giornale» che, sotto la sua dirompente conduzione, si sono affermate tra i quotidiani più letti in Italia. Meno noti, invece, sono alcuni aspetti della sua vita privata e del suo carattere, perché tenuti gelosamente nascosti dietro l'immagine battagliera e spesso cinica che il direttore mostra in pubblico. Attraverso il racconto di amicizie indelebili strette nel corso degli anni e di aneddoti divertenti, "L'irriverente" svela un Feltri inconsueto e inaspettato: lo scopriamo involontario autore di un verso di Giorgio Gaber, oppure impegnato in chiassose partite a biliardo insieme a Nicola Trussardi negli anni dell'adolescenza o, ancora, votato a riportare sulla retta via il «fuoriclasse» amante del sushi Alberto Ronchey, che convertirà alla pastasciutta. Tanti sono anche i ricordi che lo legano a colleghi diventati poi veri amici, a partire dai direttori del «Corriere della Sera» Franco Di Bella e Piero Ostellino, fino all'inimitabile Gianni Brera - giornalista «massiccio, ricco e appassionato» -, che celebrò il loro incontro stappando una bottiglia di Grignolino. E ancora si avverte bruciare, in queste brevi pagine scritte a distanza di anni, l'indignazione per le vicende giudiziarie che coinvolsero Enzo Tortora e Angelo Rizzoli, ai quali Feltri non fece mai mancare il proprio sostegno pubblico e privato. Il tono impertinente e ironico che sempre vena i suoi scritti si stempera quando il direttore rivolge il pensiero alla propria infanzia, segnata dalla prematura perdita del padre e dai sacrifici della madre, costretta a provvedere da sola a tre figli piccoli, e alle lunghe vacanze estive a casa dello zio in Molise, dove le giornate a zonzo per il paese e l'uovo bevuto crudo dal guscio avevano un sapore di leggerezza e libertà mai dimenticato. Ma è solo un attimo, perché cedere al sentimentalismo non è certo una prerogativa di Feltri, che ancora una volta conferma di essere una delle penne più corrosive e anticonvenzionali della stampa italiana.
«Da quando ho iniziato a scrivere questo libro ho cercato un'immagine che potesse rappresentare, almeno per me, un'idea "fisica" di libertà. Così una sera, improvvisamente, mi è tornata alla memoria una sensazione lontana, ma ancora vivissima: quella che accompagnava i miei passi di bambino dal bagnasciuga verso il mare nelle estati trascorse a Milano Marittima con la mia famiglia. Una strana percezione di "transizione" che avvertivo quando la sabbia sotto i miei piedi cominciava a perdere consistenza e sostegno, mentre io non ero ancora in grado di galleggiare sull'acqua.» È in questa immagine della soglia da attraversare, con uno stato d'animo in cui convivono timore e coraggio, paura di abbandonare la realtà conosciuta e attrazione irresistibile verso l'ignoto, che Paolo Crepet condensa la sua personale idea della libertà. Ed è da qui che parte il suo viaggio attorno a un concetto che non rimanda a qualcosa che si può toccare o vedere, bensì a un impulso - a volte appena percettibile, a volte prorompente - presente in ognuno di noi e capace di aprire porte e dischiudere casseforti, sollevare tappeti impolverati, agitare venti imprevisti, sfidare rassicuranti quotidianità. In quanto intima consapevolezza di poter fare, bramosia, miraggio, anelito, visione, la libertà può trovarsi ovunque, anche nei luoghi più impensati: in un carcere, in un convento di clausura, in una stanza d'ospedale, in una sala da concerto, in un laboratorio scientifico, in un centro di accoglienza per migranti. Lo testimoniano le biografie delle persone scelte da Crepet come compagni e guide in questo itinerario esplorativo, poiché ognuna ha saputo conquistare, nel duro confronto con le leggi e le regole della tradizione e del presente, un proprio spazio di libertà in cui coltivare un'idea di futuro e speranza. «Questo libro nasce dalla necessità di avviare una ricerca personale che mi riportasse indietro negli anni, per poter riflettere sul tempo che sto vivendo. Scriverlo è stata una provvidenziale provocazione contro ogni seduzione di autarchico appagamento.»
Se è vero che la Chiesa è, come dice papa Francesco, un «ospedale da campo» che deve occuparsi anche dei corpi, è altrettanto - se non più - vero che la sua missione primaria è prendersi cura della salvezza delle anime e dei bisogni spirituali dei credenti. Perché, parola di Gesù, «non di solo pane vive l'uomo». Per aiutarci a ricordare questa dimensione trascendente, l'Aldilà ci invia dei «segni», a volte grandi e vistosi (i miracoli, le apparizioni), a volte piccoli e privati, che spesso trascuriamo di interpretare, preferendo parlare di «coincidenze», di «casualità», magari di «eventi bizzarri». Dunque, non è che il Cielo non ci parli: siamo noi a essere sordi. E non è che Dio non si mostri: siamo noi a essere ciechi. In pagine singolari e avvincenti, in cui si scopre l'atmosfera della confessione personale, Vittorio Messori racconta - non certo da visionario ma da cronista legato ai fatti oggettivi e da studioso razionale qual è - alcuni «segni» ricevuti nel corso della vita. La telefonata rassicurante ricevuta dallo zio defunto a un anno esatto dalla morte. L'«inesistente» e insieme concreta ragazza tedesca che ristorò il padre soldato, addestrato duramente in Germania. Il benefico incontro a Torino sui «murazzi» del Po, in un momento di sconforto, con un enigmatico pensionato, svanito poi nel nulla. Il messaggio affidato in sogno alla domestica di casa con cui il beato Francesco Faà di Bruno - marchese e scienziato, che nell'Ottocento dedicò la sua vita a soccorrere le vere proletarie dell'epoca, le «serve» - invitava Messori, suo biografo e devoto, a partecipare a un convegno di particolare importanza. Ma ecco «segni» celesti ancor più evidenti, riconoscibili in figure come Padre Pio, che, per diretta esperienza dell'autore, aveva anche il dono di far giungere a destinazione lettere appena scritte, o come la mistica austriaca Maria Simma, con lo straordinario carisma di incontrare ogni notte le anime del purgatorio. Nel sollecitare il lettore a decifrare - e a confidare senza timore agli altri - la natura soprannaturale dei «piccoli misteri quotidiani» in cui ciascuno di noi si imbatte nella propria esistenza, Messori rende testimonianza alla verità della celebre massima di Blaise Pascal: «L'ultimo passo della ragione umana è riconoscere che vi è un Mistero con una infinità di cose che la superano».