
Se nel 1411 fossimo stati in grado di circumnavigare il globo, saremmo rimasti abbagliati dallo splendore e dalla potenza della civiltà orientale: a Pechino si costruiva la Città Proibita; nel vicino Est, gli Ottomani stringevano d'assedio Costantinopoli. Nei regni di Aragona, Castiglia, Francia, Portogallo e Inghilterra, al contrario, avremmo trovato malattie, carestie e guerre interminabili. L'idea che l'Occidente sarebbe riuscito a dominare il resto del mondo sembrava un'ipotesi folle e assolutamente irrealizzabile. Eppure è ciò che accadde nei secoli successivi. Cosa ha permesso alla civiltà occidentale di trionfare sull'apparente superiorità degli imperi d'Oriente? La risposta, sostiene Niall Ferguson, è che l'Occidente seppe mettere a frutto sei strumenti assenti nella civiltà orientale: scienza, democrazia, medicina, concorrenza, consumismo ed etica lavorativa. E, oggi, la perdita del monopolio di questi strumenti porterebbe a un declino irreversibile del dominio occidentale. Occidente è un affascinante viaggio intorno al mondo che ripercorre la storia della nostra civiltà: dal Grande Canale della Cina al Palazzo Topkapi di Istanbul, da Machu Picchu alla Namibia. Ma è anche la storia di navigazioni, missili, vaccini e blue jeans. Il racconto definitivo della storia dell'Occidente in età moderna.
Conosciuto sulla stampa internazionale come "il Re della Cocaina", Roberto Suárez Gómez a metà degli anni Settanta inviava quasi due tonnellate di pasta di coca al giorno dai suoi laboratori nella giungla boliviana ai soci del cartello di Medellín, detentori del know how della raffinazione della droga. La sua compagnia, La Corporación, definita "la General Motors della cocaina", nel giro di pochi anni raggiunse il monopolio assoluto della produzione e del traffico di questa sostanza verso Stati Uniti ed Europa. Erede di una ricca famiglia di imprenditori che fondarono all'inizio del secolo scorso l'impero del caucciù, Suárez entrò nella politica boliviana grazie all'appoggio di Klaus Barbie, il "Boia di Lione", criminale nazista e "consulente" di diverse dittature in America Latina, e fu tra i finanziatori del golpe che in Bolivia portò al potere García Meza, noto come "il narco-dittatore". Stipulò accordi milionari con i governi di Cuba e delle Bahamas per garantirsi i corridoi di entrata della cocaina negli USA, ebbe legami con i mafiosi italiani e con Roberto Calvi, stabilì contatti sotterranei con la CIA attraverso la mediazione di Manuel Noriega... Ayda Levy, vedova di Roberto, dal quale si separò negli anni Ottanta, quando si rese conto del suo coinvolgimento nel narcotraffico, racconta gli anni trascorsi accanto al più importante produttore di droga del mondo, svelando i dettagli della sua vita sontuosa, ma anche gli incredibili retroscena...
Questo è un libro di storia e d'amore. Ci fa immergere in un mondo lontano e affascinante, condotti dal filo della nostra curiosità. Cerca di rispondere alle domande più frequenti e insolite sull'amore e il sesso al tempo dei romani. "Amore e sesso nell'antica Roma" unisce il piacere di lettura di un romanzo all'accuratezza di un saggio storico. Per ricostruire un quadro completo e scrupoloso, e scovare le notizie più sorprendenti, ci si è basati su scoperte nei siti archeologici, dati di laboratorio, una ricchissima bibliografia di testi antichi e studi moderni, e centinaia tra reperti nei musei, affreschi, statue, graffiti di Pompei ed Ercolano. Com'era possibile unire tutte queste scoperte in un unico, coinvolgente viaggio? Immaginate di ritornare indietro nel tempo e di trovarvi in una piazza di Roma antica. Davanti a voi ci sono delle persone che passeggiano normalmente: una fanciulla e un ragazzo innamorati, un gladiatore che lancia uno sguardo a una giovane nobildonna, un padre che accompagna il figlio alla sua "prima volta", una prostituta d'alto bordo... Guardate bene queste persone: basterà seguirle nella loro giornata e ci faranno scoprire gli intriganti segreti dell'amore e del sesso ai tempi dell'antica Roma. E quanto il loro modo di amare somigliasse incredibilmente al nostro.
“Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita. Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori. Posso, però, ascoltarli e dividerli con te. Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro; però, quando serve sarò vicino a te. Non posso cancellare la tua sofferenza; posso, però, piangere con te. Non sono gran cosa, però sono tutto quello che posso essere.” Questo è lo spirito, umile, semplice, umano,
che anima monsignor Ravasi nel rivolgersi ai lettori. In questo libro egli raccoglie 365 citazioni (una per ogni giorno dell’anno) di filosofi, scrittori, mistici, artisti di tutti i tempi e di tutte le culture, e le commenta brevemente: un invito alla meditazione quotidiana per sfuggire all’indifferenza e all’indebolimento morale che caratterizzano la nostra società, dimentica dei veri valori e del messaggio cristiano.
Per molti di noi le prime parole del mattino sono quelle dei giornali, importanti perché, come diceva Hegel, permettono all'uomo moderno di situarsi quotidianamente nel mondo. D'altra parte, dai mezzi d'informazione apprendiamo per lo più cattive notizie: guerre, delitti, crisi economica e politica sono i tratti che più sembrano caratterizzare la nostra società. Gianfranco Ravasi ci propone di distaccarci per un attimo da questa atmosfera malsana per respirare invece l'aria cristallina del mattino generata da quelle parole, antiche o recenti, che ci permettono di iniziare la giornata con anima purificata e limpidezza interiore. E, nello spirito del precedente "Le parole e i giorni", seleziona 366 citazioni letterarie, poetiche, filosofiche, musicali da cui prende spunto per brevi e illuminanti commenti, uno per ogni giorno dell'anno, uno per ogni mattino. Goethe, Molière, Maria Montessori, Enzo Biagi, Oscar Wilde, Gianni Rodari, Pascal, Don Milani. Uomini e donne intelligenti ma soprattutto "sapienti", ci spiega il cardinal Ravasi, a cui accostarsi con umiltà: "Non saprò dare soluzioni o risposte decisive; non potrò incidere nell'esistenza di chi mi leggerà; non riuscirò ad asciugare lacrime e a riportare sorrisi. Potrò essere solo - per i pochi minuti di lettura di queste righe - un compagno di viaggio che condivide le stesse domande, che partecipa alle stesse esperienze di dolore e di gioia, che dubita, teme, spera e talora forse dispera".
GIANFRANCO RAVASI, consacrato arcivescovo da papa Benedetto XVI nel 2007, è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e delle Pontificie Commissioni per i Beni culturali della Chiesa e di Archeologia sacra. Ha pubblicato numerosi libri, tra cui, da Mondadori, Antico Testamento (1993), Il racconto del cielo (1995), La Buona Novella (1996), Il Dio vicino (1997), Preghiere (2000), Breve storia dell’anima (2003), Ritorno alle virtù (2005), Breviario laico (2006), Le porte del peccato (2007), Le parole e i giorni (2008), 500 curiosità della fede (2009) e Questioni di fede (2010). Collabora con “Il Sole-24 ore”, “L’Avvenire”, “L’Osservatore Romano”, e Canale 5.
Nel 1697 Luigi XIV è impegnato nell'ennesima guerra, detta dei Nove Anni. Per rimpinguare le casse ormai vuote del regno, decide di inviare una flotta imponente contro Cartagena, nell'attuale Colombia. L'ammiraglio De Pointis, per navigare i Caraibi, ha però bisogno dell'ausilio della Filibusta. Solo che la Tortuga è stata abbandonata, e i Fratelli della Costa superstiti si sono sparsi sulle montagne dell'isola di Hispaniola. Chi riesce a radunarli è il governatore Ducasse, ex negriero, gran farabutto ma d'animo per certi versi nobile, avventuriero impavido. Martin d'Orlhac è stato ladro, poi soldato, e infine è divenuto il braccio destro di De Pointis. Fatto imbarcare con i pirati, assiste con progressiva simpatia alla vita libera e feroce di costoro. La presa di Cartagena vedrà crescere la tensione tra il nobile De Pointis e il plebeo Ducasse, tra Fratelli della Costa ed esercito regolare; fino all'aperta ribellione dei filibustieri contro l'arroganza di un'aristocrazia che persino in Francia comincia a essere messa in discussione. Sarà l'ultimo atto della confraternita di fuorilegge che sull'isola della Tortuga aveva preso forma e terrorizzato i Caraibi per quasi cinquant'anni. Pochi mesi dopo la conquista di Cartagena le grandi potenze firmeranno un trattato di pace e si impegneranno, di comune accordo, a combattere la pirateria.
Ritornare alle radici della democrazia moderna.
Rimettere al centro delle nostre società il valore dell'uguaglianza, che ha animato la Rivoluzione americana e quella francese. È l'appassionato appello di Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali, all'Occidente smarrito in una crisi economica che minaccia la tenuta del suo stesso modello politico. Una crisi che ha trovato i suoi presupposti proprio nel sistematico attacco al principio di uguaglianza, portato avanti a partire dagli anni Ottanta in nome di una malintesa ed esasperata libertà del mercato. Non c'è nessuna opposizione, invece, tra libertà e uguaglianza, perché "senza uguaglianza la libertà si chiama privilegio". Così come non c'è nessuna incompatibilità tra democrazia e mercato, anzi i loro destini sono strettamente legati. È stato proprio il diffondersi del mercato di massa, infatti, a partire dall'America del New Deal e poi tra i suoi alleati europei nel secondo dopoguerra, a favorire, insieme al benessere, l'allargamento della partecipazione politica grazie all'affermazione della middle class democracy, la democrazia dei ceti medi.
Oggi, invece, con il riacutizzarsi delle diseguaglianze, questa classe media tende progressivamente a impoverirsi, e la vita democratica, colpita nel suo baricentro, ne risulta indebolita: un fenomeno che cogliamo con particolare evidenza nel nostro Paese, già gravato dalle sue fragilità storiche, in cui crescono le sperequazioni sociali, aumenta l'illegalità e la politica è tentata dalle opposte scorciatoie della tecnocrazia e del populismo.
L'unica soluzione alla crisi della democrazia e al prevalere di una nuova società dei privilegi consiste, quindi, nel riaffermare con forza il principio dell'uguaglianza come garanzia di coesione sociale, come fattore di sviluppo e di crescita, riconoscendone la convenienza economica accanto alla plausibilità morale. Non solo all'interno dei singoli Paesi, ma anche nelle relazioni tra gli Stati, in particolare nell'Unione Europea, oggi sempre meno comunità di uguali e sempre più espressione dell'egemonia tedesca.
Dobbiamo ritrovare un'orgogliosa consapevolezza dei nostri valori. Tutte le alternative illiberali alla democrazia occidentale, ricorda l'autore, sono andate incontro alla sconfitta.
E lo stesso modello cinese è destinato prima o poi a scontrarsi con le sue contraddizioni e si sta rivelando nei fatti come un passaggio dalla "uguaglianza totalitaria" alla "disuguaglianza totale". Muovendosi agilmente tra storia e attualità, riscoperta delle grandi ispirazioni ideali e documentate analisi economiche, Parsi richiama "quest'Europa disorientata ", epicentro della crisi, al coraggio dei momenti decisivi: solo difendendo il concetto di uguaglianza si potrà salvare la democrazia e l'identità dell'Occidente.
Nel mondo di Nashira, la razza femtita per secoli è vissuta schiava dei Talariti, ma tutto ora sta cambiando. In ognuno dei quattro Regni è scoppiata la rivolta e l'esercito, guidato dal crudele conte Megassa, non riesce a domarla. A fomentare la sommossa è stata proprio sua figlia Talitha, che, ribellandosi al destino di sacerdotessa, ha dato fuoco al monastero della città di Messe ed è fuggita insieme al suo schiavo Saiph. Ora Talitha ha una missione: salvare Nashira dalla catastrofe che una profezia millenaria dà per imminente. Una catastrofe già accaduta in un lontano passato e a cui solo un essere mitico è sopravvissuto: Verba, l'uomo che non può morire, e che forse sa come fermare l'apocalisse. Verba tuttavia sembra indifferente al destino di Nashira e scappa verso terre sconosciute, mentre Talitha e Saiph combattono a fianco dei ribelli in una guerra che si fa sempre più cruenta. Talitha si troverà di fronte a una difficile scelta: tornare a dare la caccia a Verba o diventare l'arma decisiva dei ribelli contro la tirannia, sfidando la sua razza e il suo passato.
"Caro giovane semidio, se stai leggendo questo libro, la tua vita sta per diventare molto, molto più pericolosa. Queste pagine ti offriranno uno sguardo all'interno del mondo dei semidei, che a nessun normale ragazzino umano è permesso di conoscere. L'archivio segreto del Campo Mezzosangue contiene tre delle più pericolose avventure di Percy Jackson mai trascritte prima. Chirone mi ha inoltre autorizzato a divulgare delle interviste riservate di alcuni dei nostri più importanti allievi, inclusi Percy Jackson, Annabeth Chase e Grover Underwood. Ti prego di considerare che tali interviste sono state rilasciate in via strettamente confidenziale. Condividere queste informazioni con qualunque mortale potrebbe significare ritrovarsi Clarisse alle calcagna, armata della sua lancia elettrica. Credimi, non sarebbe affatto piacevole. Studia ogni pagina con attenzione, perché le tue avventure sono appena cominciate. Possano gli dei essere con te, giovane semidio!" (Rick Riordan) Età di lettura: da 12 anni.
"Il cinema, allora, era una grande famiglia, è vero. C'era un rapporto di comprensione, anche di affetto. Poi ci sentivamo tutti parte di una grande avventura, far rivivere sullo schermo la vita. Il nostro è un mestiere particolare.
Se lo fai con passione non te ne puoi liberare.
Ti rimane dentro, non c'è niente da fare."
Proprio di "grande avventura" è il caso di parlare a proposito di Francesco Rosi, classe 1922, maestro indiscusso del cinema italiano che ha deciso di raccontare la propria vita e i segreti del suo mestiere a un altro straordinario regista, il suo amico Giuseppe Tornatore.
È in famiglia, nella Napoli degli anni Trenta, "legata a doppio filo con il suo mare", che tutto comincia: papà Sebastiano, appassionato di cinematografo, lo riprende con la sua Pathé Baby a passo ridotto e gli scatta magnifici fotoritratti, ispirandosi anche a Jackie Coogan, il celebre protagonista del Monello di Charlie Chaplin. Poi ci sono zio Pasqualino, "capoclaque " nei teatri di rivista, e zia Margherita, che oltre a somigliare a Ginger Rogers, lo accompagna ogni giovedì al cinema, dove il piccolo Francesco scopre la magia dei primi film muti.
Nell'immediato dopoguerra Rosi si trasferisce a Roma dove, insieme a una spiccata passione per il teatro e per la letteratura, porta con sé lo stupore per quelle sagome di ombre e luci che si agitano su uno schermo bianco. E capisce che il cinema diventerà il suo mestiere. Allievo e aiuto regista di Luchino Visconti, esordisce dietro la macchina da presa nel 1958 con La sfida, ma è con capolavori come Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei e Lucky Luciano che conquista un posto di assoluto rilievo nel panorama del cinema internazionale, fino a essere riconosciuto il caposcuola di un'estetica della realtà che mai, prima di lui, aveva raggiunto vette di così vivida e concreta espressività.
Puntiglioso nell'approfondire il contesto storicodocumentario che doveva fare da ossatura narrativa ai propri film, attento alle evoluzioni del costume e alle oscure ambiguità della politica, Rosi ha lavorato accanto ai migliori talenti espressi dalla cultura italiana dell'ultimo mezzo secolo, qui tratteggiati in pagine felici e importanti: intellettuali, critici, giornalisti come Ennio Flaiano, Sergio Amidei, Raffaele La Capria, registi come Rossellini e Fellini, attori del calibro di Gian Maria Volonté e Sophia Loren.
In questo libro-intervista che è insieme autobiografia e saggio critico, Rosi ci svela una miniera di informazioni e aneddoti che riguardano i suoi film e la sua straordinaria carriera di regista, senza lasciare "fuori campo" gli aspetti più intimi e privati di una vita intensa e coraggiosa, trascorsa accanto all'amatissima moglie Giancarla.
Grazie al confronto con Tornatore, alle sue domande sempre curiose e penetranti, Io lo chiamo cinematografo è anche l'appassionato ed entusiasmante racconto di mezzo secolo di cinema italiano.
Stanco di storie tristi, reali o immaginarie, Mauro Corona ha deciso che è arrivato il momento dell'allegria: basta disgrazie o morti ammazzati, esiste un tempo per la gioia. E quale modo migliore per rallegrarsi se non recuperando storie antiche perdute tra i boschi? "Barzellette letterarie" come quella di Rostapita, Clausura e Santamaria, riuniti per ammazzare il maiale ma troppo ubriachi per riuscirci davvero, o racconti che l'autore ha raccolto a Erto e dintorni, nei paesi e nelle osterie, come quello di don Chino, prete anziano, incapace di arrampicarsi fino alla casa più arroccata del borgo e di Polte che, per ripagarlo della mancata benedizione, quasi lo uccide lanciandogli addosso una forma di formaggio. Così, scolpiti dalle sapienti mani di Corona, momenti di vita di montagna, episodi tragicomici ed esilaranti diventano novelle, piccole grandi leggende da tramandare alle generazioni future.
Chi legge percepisce subito quanto l'autore si sia divertito nello scrivere - "come mi sono sempre divertito a fare libri, a raccontarmi storie per rimanere a galla" dice -, eppure lui stesso ammette di essersi accorto, procedendo nella stesura, di non essere stato fedele fino in fondo all'intento iniziale: a ben guardare, infatti, le storie raccolte in questo volume non sono tanto allegre. Traggono tutte origine da fallimenti, solitudini, tristezze, "ricordano gente semplice, vissuta senza luci di ribalta, passata al buio del mondo in silenzio". Ma proprio qui è racchiuso, forse, il senso profondo di queste pagine: con la sua scrittura scabra ma ricca di sfumature, con ironia, disincanto e un realismo unito a una intima partecipazione, Mauro Corona apre la sua coraggiosa "via" per la leggerezza, e ci invita a ritrovare la capacità di sorridere anche quando non sembra essercene motivo.
"Forse perché la vera allegria è prendere l'esistenza al contrario. Ridere a crepapelle là dove si dovrebbe piangere."