
Questo testo degli anni Cinquanta è l'unica trattazione sistematica dell'ontologia mai scritta da Ricoeur. Attraverso Platone e Aristotele, affrontando di petto alcuni dei maggiori problemi della tradizione speculativa occidentale, il filosofo francese forgia l'apparato concettuale che sarà poi alla base del suo progetto ermeneutico. Il Corso segna così un punto di non ritorno, superato il quale l'indagine ontologica diventa irrimediabilmente frammentaria, difficile, senza centro.
Anche le religioni sono sottoposte a un cambiamento incessante. Oggi siamo dinanzi a una secolarizzazione e a una "religione" del mercato. E se è vero che fra religione ed economia non vi è rapporto causale, ci troviamo spesso di fronte a un consumatore religioso, a un orientamento dato dal mercato e al problema della sostenibilità delle attività religiose. Religione ed economia rimangono ordini simbolici autonomi e distinti anche se entrambi agiscono nella coscienza e nei mondi vitali delle persone. Il destino delle religioni e dell'economia è stato, è, sarà, sempre separato. Nessuna religione apparterrà mai a un sistema economico poiché esse non sono morali e non sono attori del mercato, bensì sono dimensioni della vita personale. Sempre più si presentano però in concorrenza in quello che potremmo definire il "mercato delle religioni". In questo libro le religioni appaiono nel loro volto multiforme e nelle loro infinite sfaccettature e l'economia è una dimensione culturale che molti pretendono si costituisca come una "fede" capace di modellare la vita individuale e sociale.
Il potere è fragile e oneroso. È fragile, perché dipende dagli "altri", che pur deve materialmente dominare. È oneroso, perché l'obbedienza ha un suo prezzo: la minaccia o la lusinga, la paura o il consenso. Appartiene all'uomo, alla sua ambizione e alla sua ignoranza. L'ambizione lo spinge alla conquista, l'ignoranza gli cela la causa della precarietà di ciò che ha ottenuto. Tutto dipende dall'uomo, dalla sua mente, dal suo carattere, dalla sua psiche, dalla sua immaginazione, dalla sua parola, dai suoi muscoli, dalla sua destrezza: dalla sua "testa" e dal suo "corpo". Vi sono epoche in cui l'uomo onora l'esistenza, pur vivendo in mezzo alla miseria ed alle persecuzioni; e tempi nei quali non sperimenta altro, ad ogni livello, che la propria mediocrità. Il saggio è pensato, dunque, in una chiave, che definisco "antropologico-esistenziale": il potere, infatti, è una dimensione esclusivamente umana, che ha la sua cifra nel non accettare la propria finitudine. Non è effettivo se non si pensa "assoluto", ma la tensione dell "io" per realizzare quell'assolutezza incontra sul suo percorso l'"alterità"; e la incontra sempre di nuovo, nonostante ogni tentativo per eluderla, schiacciarla, renderla inoffensiva e impotente. Di qui una ineliminabile "fragilità": il potere che l'"io" accumula, quali che siano le forme materiali in cui si manifesta, incrocia strutturalmente l'"alterità" e da essa, oggettivamente, dipende.
Paul Ricoeur (1913-2005) è una delle figure più rappresentative della filosofia francese contemporanea. Le sue opere abbracciano l'intero arco della seconda metà del '900, da "Filosofia della volontà" (1950) a "Percorsi del riconoscimento" (2004). La rassegna delle tematiche affrontate è ampia ed articolata: il volontario e l'involontario, la finitudine e il male, le implicazioni filosofiche della psicoanalisi, l'innovazione della metafora, il tempo ed il racconto, l'ermeneutica del sé, il giusto, la memoria e l'oblio, i modi del riconoscimento. Egli adotta una prospettiva fenomenologico-ermeneutica che, pur nella varietà e nelle progressive variazioni del suo percorso, si attiene ad un filo conduttore imperniato sulla analisi delle fragilità e della complessità del soggetto "agente e sofferente", che mantiene una sua coesione su uno sfondo etico. I capitoli del presente lavoro offrono una presentazione puntuale dei principali testi di Ricoeur in sequenza cronologica ed una loro rilettura critica.
Se Gesù ha rivelato la verità su Dio, suo padre, perché gli ebrei hanno potuto non credergli? Quale ruolo ha la sopravvivenza parallela della religione ebraica per il vero credente cristiano? Teologo di fama mondiale, pensatore scomodo, attuale, Erik Peterson rilegge Antico e Nuovo testamento per rispondere all'interrogativo che travaglia la Chiesa dalle sue origini, fino a Papa Ratzinger, suo profondo estimatore. L'immagine proposta da Peterson è quella mirabile di un Dio vivente. Un Dio che in modo speciale partecipa alle passioni e alla storia. Un Dio che affronta la morte e rinasce, un volto che soffre e gioisce, mentre serba in sé il segreto del ruolo degli ebrei in questa vicenda umana e insieme soprannaturale. Proprio la loro incredulità contiene la promessa della fine dei tempi, che avverrà al momento della loro riconciliazione con Cristo.
L'autore di questo saggio ha provato a misurare l'effetto ecolalico delle parole dimissionarie di papa Benedetto XVI nella vasta landa della letteratura, isolando il suono tuonante di tale risoluzione nella cassa armonica dei romanzi, dei versi e dei saggi degli autori meglio conosciuti, quasi tutti di anagrafe novecentesca. Muovendosi dunque da una sponda d'inchiostro all'altra, Salvatore Ferlita ha verificato in che modo la figura del papa rinunciatario, pencolante, privo di forze, a volte bersaglio di strali velenosi, insomma sull'orlo di una crisi vaticana, sia stata declinata. Dal papa in volo sul monoplano di Filippo Tommaso Marinetti a Celestino V, messo alle strette da Bonifacio VIII nelle pagine di Ignazio Silone o "riabilitato" da Carlo Emilio Gadda; dal sommo pontefice vecchio e malfermo in uno dei romanzi più sorprendenti di Giorgio Saviane al Giovanni XXIV di Guido Morselli, che fa i bagagli per trasferirsi a Zagarolo o ancora all'ultimo papa, immaginato da Sergio Quinzio: Pietro II, che si ritira al chiuso del Laterano per promulgare l'enciclica Mysterium Iniquitatis, nella quale prende atto del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo. Dai versi risentiti di Pasolini a quelli profetici di David Maria Turoldo, senza ignorare lo sguardo romanzesco o drammaturgico d'oltralpe (quello di André Gide, di Reinhold Schneider e di Frederick Rolfe); dalle lettere apocalittiche di Papini al paesaggio dell'anima disegnato da Santucci.
Culto della mela, comunità d'iniziati, fedeltà assoluta. Apple rappresenta per molti suoi appassionati qualcosa in più di una corporation dell'informatica: nella maniera di presentarsi al pubblico e nei sentimenti suscitati nei Mac-user, mostra somiglianze con quanto viene tradizionalmente attribuito alle religioni. Dalla scelta della mela, simbolo del peccato e della conoscenza, alla volontà di differenziarsi in modo eretico-rivoluzionario dall'ortodossia di IBM e Microsoft, Apple ha instillato e sfruttato il desiderio di appartenere a un gruppo elitario, accomunato dalla conoscenza di una verità nascosta ai più. Questo piccolo ma documentato libro si addentra in simili scenari con l'intento di verificare quel che di realmente religioso vi sia nel "culto" di Apple e nell'ammirazione, e quasi devozione, di tanti per la figura di Steve Jobs.
"Il vuoto e il resto" raccoglie una serie di lezioni svolte da Massimo Recalcati" nel 1993-94 all'Università Statale di Milano nell'aula 211 presso la cattedra di Filosofia Morale allora presieduta da Franco Fergnani che fu uno dei primi maestri dello psicoanalista milanese. Un ventennio è trascorso da allora e il giovane Recalcati ha fatto la sua strada. La sua lettura di Lacan si è approfondita e ha recentemente assunto dimensioni tali da essere riconosciuta in Italia come una delle letture più originali e imprescindibili dell'opera dello psicoanalista francese. Nondimeno queste lezioni hanno costituito un suo primo e imprescindibile laboratorio teorico. La freschezza della parola orale e la sua vocazione didattica rendono questo libro una prima tappa storica della lettura recalcatiana di Lacan.
Maestro della scuola filosofica di Milano, Carlo Sini ha formato le menti di diverse generazioni di giovani che gli devono la passione per la bella fatica del pensiero. In questo libro denso di teoria e poesia Sini spiega l'essenza di ogni riflessione. Il pensiero è carne e forma di se stesso. La distinzione tra il contenuto e il metodo della riflessione filosofica è artificiosa, oltre che dannosa. In un percorso a tutto tondo nella filosofia, da Platone a Nietzsche, Sini fa toccare con mano le alte vette della teoresi, dove l'aria pungente diventa la materia stessa del pensiero. Un itinerario che ci restituisce a noi stessi, cresciuti e forti della capacità di pensare con mente indipendente.
Sono qui raccolti i frammenti e gli appunti di Walter Benjamin che affrontano i temi della critica della conoscenza e della filosofia del linguaggio. Essi coprono un arco di tempo che va dal 1916 al 1926 e sono stati pubblicati nel VI volume delle "Opere complete" edite da Suhrkamp nel 1985. Questi appunti frammentari ci permettono di comprendere meglio opere importanti di Benjamin quali "Sulla lingua in generale e sulla lingua dell'uomo" (1916), "Sul programma della filosofia futura" ( 1917-1918) e la "Premessa gnoseologica" a "II dramma barocco tedesco" (1925). La curatrice indica nel suo saggio introduttivo alcune possibili strade d'accesso ai frammenti ponendo l'accento sulla ricezione benjaminiana di Kant, del neokantismo e della fenomenologia, e sull'influenza del rapporto con Gershom Scholem nell'elaborazione di temi in cui cultura ebraico-cabbalistica, matematica e filosofia si legano in modo inestricabile.