È tempo di riabilitare le ombre, queste vecchie - e inquietanti - compagne dell'umanità dalla dubbia reputazione e sulle quali sono fiorite le storie più bizzarre: si narra di ombre che vivono di vita propria, o di altre che si ribellano ai loro proprietari come nella favola di Andersen. Anche Platone, nel mito della caverna, sostiene che chi guarda solo le ombre non ottiene vera conoscenza. Eppure senza le ombre non avremmo compreso la forma della luna o la struttura del sistema solare, né avremmo individuato gli anelli di Saturno, e le immagini ci apparirebbero piatte e senza sostanza. I nostri occhi sono infatti programmati per vedere le ombre e siamo in grado di ricostruire le dimensioni tridimensionali di un oggetto a partire dal cono che proietta. Dagli astronomi greci a Galileo e Keplero, dai mosaici romani ai dipinti di Masaccio, dalle prime misure della terra ai laboratori di psicologia infantile di Harvard, le ombre si sono rivelate un prezioso strumento di conoscenza oltre che un inesauribile stimolo alla curiosità umana.
"La Barbagia d'inverno dunque. Per un barbaricino l'inverno è quasi una condizione naturale. Certo per chi è abituato a pensare alla Sardegna "smeraldizzata", alla Sardegna come regione monostagionale, può sembrare una stranezza pensare alla montagna, al clima alpino, al freddo secco, alla neve. Eppure basta voltarsi dal mare alla terra e si possono vedere le montagne che si gettano nell'acqua. Dentro a quelle montagne abita la sostanza di un territorio molto folklorizzato, ma ancora sconosciuto nella sostanza. Il territorio barbaricino rifiuta, direi quasi geneticamente, il concetto di "divertimentificio", la costa barbaricina rifiuta la condizione di "Caraibi del Mediterraneo", che tanto piace ai tour operators improvvisati e ai turisti da gossip. Chi navigasse da Posada ad Arbatax lo capirebbe al volo. Chi cioè passasse per mare dalla costa gallurese, quella dove è sempre estate, a quella barbaricina dove le stagioni si alternano, vedrebbe a occhio nudo la differenza. È proprio l'inverno che dà alla Barbagia quella profondità di territorio vivo, che differenzia il viaggiatore dal vacanziere. Perché come l'estate sostanzia il mare, l'inverno sostanzia i monti a Nuoro, in Barbagia, d'inverno. Se veniste da queste parti, dunque, dove sono nato io, dovreste affrontare il tratto più straordinario dell'intera strada statale 131, dal mare fino all'interno, salendo appena sareste gratificati nella vista e nell'olfatto. Da Olbia a Nuoro tutto profuma".
Da Talete a Platone a Hegel fino ai neopositivisti, i filosofi hanno sempre affermato che nonostante, la desertificazione, l'inaridirsi della nostra conoscenza esiste una sola verità, un solo mondo, e perciò una sola versione vera dell'unico mondo possibile. In un serrato confronto con questa tradizione di pensiero, Nelson Goodman rilancia, al contrario, le tesi del relativismo e del pluralismo: tutte le versioni del mondo sono, allo stesso tempo, capaci di vedere, interpretare e costruire il mondo e sono altrettanto vere e importanti nel sistema di riferimento cui esse appartengono.
"Almeno un quarto dei paesi italiani è gravemente malato. È una malattia nuovissima. Di cosa si tratta? Di desolazione. Per secoli o forse millenni i paesi sono stati poveri ma, anche se modesta, la vita che si svolgeva un tempo era piena. Ogni persona stava nel suo paese come un pesce dentro al lago. Adesso pare che tutti stiano in un secchio rotto. Si vive con poca acqua e con la sensazione che nessuno sappia come conservare la poca che rimane. Chi visita i paesi d'estate o la domenica ne cattura un'impressione del tutto illusoria: il piacere del silenzio, del buon cibo, aria buona. Tutto questo è solo una facciata, una realtà apparente che nasconde un'inerzia acida, un tempo vissuto senza letizia. D'altra parte, "uno arriva e ferma la macchina in piazza. Guarda qualcuno vicino al bar o sulle panchine. Guarda una vecchia che va a fare la spesa, un cane disteso al sole, guarda porte chiuse, guarda la propria macchina e capisce che lo strumento per la fuga è a portata di mano. Basta una mezz'oretta di curve e si torna al mondo gremito, il mondo che si muove." Se i sani scappano lontano, nel paese restano i malati. Può essere depressione, può essere disagio, può essere la smania velleitaria fai nulla e di non poter arrivare da nessuna parte.
Bio-diritto e bio-politica sono oggi formule di gran moda e si parla correntemente di danno biologico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, dignità della vita, living will (o testamento biologico) e integrità del corpo, mentre nelle grandi Carte e nelle Costituzioni hanno fatto irruzione, già da tempo, dimensioni non sempre immateriali della vita, come la felicità, la vita delle generazioni future, la fraternità. Quando la formula "diritto vivente" compare nella cultura europea degli inizi del secolo scorso, può già vantare una lunga storia e affonda le sue radici nelle riflessioni di Platone sull'etico politico. L'idea della sovranità della legge aveva tessuto, fin dai suoi esordi, un robusto filo che la legava alla dimensione della "vita", nel duplice significato del riguardare la vita rappresentandola e di essere per se stessa vita. In questo volume Eligio Resta rilegge la formula "diritto vivente" nei molti strati di senso che la compongono e traccia alcuni brevi percorsi all'interno del lessico con cui quel diritto si presenta, focalizzando l'attenzione su alcune parole influenti nel dibattito giuridico (e non solo) contemporaneo: vita, corpo, tecnica, archivio, verità, processo, tempo.
Publio Clodio Pulcro (93-52 a.C.) nasce da una famiglia di antichissima nobiltà. Fratello della spregiudicata Clodia, la lesbia cantata da Catullo, sin dagli inizi della carriera politica si rende protagonista di gravi scandali, uscendone miracolosamente indenne. Nel 60 a.C. abiura le proprie origini patrizie divenendo plebeo; due anni dopo si fa eleggere tribuno e inizia una folgorante ascesa politica sorretto dal favore del popolo. Spregiudicato e audace, gestisce un potere inedito e lo fa in modo particolarmente radicale e violento: combatte i suoi nemici con le bande armate di piazza, si assicura l'impunità grazie alla connivenza dei triumviri Cesare, Pompeo e Grasso, blinda il proprio successo popolare a colpi di demagogia. Muore per mano dell'avversario Milone, a pochi giorni dalle elezioni alla carica di pretore.
Il cinematografo arriva da noi nel 1896, a pochi mesi dall'invenzione dei fratelli Lumière, ma bisogna attendere il 1905 - con la proiezione romana del film che, in dieci minuti e sette quadri, ricostruisce la Presa di Porta Pia per festeggiare la nascita ufficiale del cinema italiano. Le nostrane "fabbriche delle films", come vengono chiamate, sono piccole imprese a conduzione familiare che cullano tuttavia ambizioni industriali. Nella scelta dei soggetti si attinge al meglio della letteratura, dell'arte e del teatro, e grandi nomi della cultura del tempo - uno su tutti, Gabriele D'Annunzio vengono coinvolti nell'ideazione di trame e musiche, o nella riduzione delle proprie opere. Le produzioni sono grandiose: "Quo Vadis?", "Marcantonio e Cleopatra", "Giulio Cesare", "Gli ultimi giorni di Pompei" e "Cabiria". Il cinema fa sognare, infiamma il patriottismo popolare alla vigilia della Grande Guerra, conquista il pubblico americano. Per le star italiane esplode l'età d'oro dell'adorazione universale.
Questa "Prima lezione" conduce per mano il lettore attraverso le tappe più significative dello sviluppo delle neuroscienze, che dagli anni Ottanta a oggi hanno compiuto enormi progressi nel campo della fisiologia del sistema nervoso e dei rapporti tra strutture cerebrali e funzioni mentali. Le neuroscienze studiano i neuroni (le unità che costituiscono il sistema nervoso) e le diverse strutture cerebrali: oggi non esistono più aree mute, come un tempo venivano definite quelle aree della corteccia di cui si ignorava !a funzione. Questo straordinario incremento di conoscenze ha aperto nuovi scenari alle discipline del settore: le scoperte prodotte dalla biologia molecolare, ad esempio, hanno consentito nuove strategie terapeutiche nel trattamento delle malattie degenerative o genetiche. Anche sul piano culturale le neuroscienze hanno esercitato un impatto sempre più profondo, imprimendo un forte impulso a nuovi campi di indagine al confine tra neurobiologia e psicologia, e perfino economia, ma soprattutto arricchendo la nostra conoscenza degli esseri umani.
Chi è stato e cosa ha rappresentato per tante generazioni di lettori Alberto Moravia? Nell'intervista di Nello Ajello, Moravia definisce la sua posizione politica e la sua concezione della scrittura e del ruolo dell'intellettuale, che salda il momento artistico a quello dell'impegno civile: "Per me l'arte è la ricerca dell'assoluto, la sola degna dell'uomo. È una funzione meramente negativa, non si può strumentalizzarla". La sua testimonianza si svolge senza intervalli, dai suoi esordi come scrittore scomodo sotto il regime fascista al periodo travagliato del dopoguerra, dal Sessantotto a quel 1978 così carico di tensioni ideologiche e sconvolto dal caso Moro. Scrive Nello Ajello, nella nuova premessa al libro, che "il lettore vedrà allinearsi in capitoli portanti le idee di Moravia in merito alle cose del mondo, sulle quali - egli insisteva per precisarlo - si sentiva in dovere di intervenire in quanto cittadino più che come scrittore. Il cittadino Moravia, questa intervista ne dà la riprova, era sempre prodigo di risposte, fecondo di formule, ricco di intuizioni abili o geniali. Dal canto suo lo scrittore Moravia viveva rispetto a quella sua prima natura una vita parallela, perso dietro sogni, metafore, personaggi. Su tutto domina una consapevolezza d'artista imprescindibile dalla sua figura. "Se ho provato vere soddisfazioni" si legge al termine della chiacchierata, "è stata la letteratura a procurarmele".
Una filosofia incentrata sulla esperienza vissuta che andando "verso le cose stesse" fosse in grado di fornire una nuova oggettività, rifuggendo dalle secche dello scientismo positivista, delle astrazioni logiche e dello storicismo relativistico. Questo il programma della fenomenologia fondata da Edmund Husserl e al cui interno si sono formati molti tra i più grandi pensatori del secolo scorso, da Jaspers a Heidegger, dallo stesso Gadamer a Sartre e Merleau-Ponty. Apparso per la prima volta nel 1963 sulla rivista "Philosophische Rundschau", questo saggio rappresenta una delle testimonianze più rilevanti del confronto con Husserl che attraversa l'intera opera di Gadamer. Il filosofo tedesco offre qui una sintesi agile e perfettamente informata della parabola del movimento fenomenologico e lo stesso Heidegger, che aveva condiviso con lui quell'avventura del pensiero, dopo aver letto il suo saggio ammise che non avrebbe saputo fare di meglio.