Ogni generazione condivide il destino del proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro. La morte implica la trasmissione dei beni materiali da una generazione all'altra, ma quanto si riceve in eredità non sono soltanto cose: un intero mondo di simboli e principi si perpetua e si trasforma in questo passaggio secondo la prevalente logica del dono e della restituzione. Se in una delle canoniche divisioni della vita umana - quella tripartita in giovinezza, maturità e vecchiaia - la preferenza era data alla maturità, simbolo di pienezza e culmine dello sviluppo dell'individuo, oggi la gioventù e la vecchiaia si dilatano e la maturità si restringe. I giovani tendono a rimanere più a lungo a casa, i vecchi cercano una seconda giovinezza e restano spesso produttivi dopo il pensionamento. Anche per effetto della crisi del welfare state muta pertanto la trama dell'esistenza individuale e dei rapporti di solidarietà tra le diverse età della vita. Si indeboliscono, in particolare, i legami sociali e la fiducia tra le generazioni. Si potrà introdurre tra loro un nuovo, più equo e lungimirante patto? Quali saranno le modalità di restituzione di risorse materiali e immateriali - cose, sicurezza, affetti, autonomia - alle giovani generazioni?
Dalle recinzioni claustrali monastiche sino alle raffinate costruzioni dell'Umanesimo attraverso la lezione musulmana e le esperienze cortesi, il giardino riflette non solo la complessa vicenda storica del nostro Medioevo europeo, ma anche il rapporto tra messaggio filosofico e teologico ed esperienza botanica e naturalistica. Il giardiniere medievale ripete il gesto creatore di Dio, conosce le norme sapienti che possono piegare la natura per ricreare, se non la realtà, quanto meno l'illusione dell'Eden perduto. Il paradiso terrestre e i Campi Elisi sono gli archetipi, i modelli di una costruzione umana che osa sfidare il limite dell'eterno, nel sogno paradossale di una natura perfetta e al tempo stesso dominata dall'uomo.
"All'alba la Pizia si recava a fare il bagno nella sorgente Castalia, vicino al santuario. Una volta purificata, tornava al santuario, probabilmente accompagnata dal suo seguito, ed entrava nel tempio, dove bruciava ad Apollo un'offerta di foglie di alloro e farina d'orzo. Più o meno contemporaneamente, i sacerdoti del tempio dovevano verificare che potessero aver luogo le consultazioni. La procedura consisteva nell'aspergere di acqua fredda una capra, forse nel focolare sacro all'interno del tempio. Se la capra rabbrividiva, voleva dire che Apollo era lieto di essere interpellato." A Delfi arrivavano da ogni parte del Mediterraneo re, autorità cittadine e singoli individui, per consultare la Pizia, per erigere monumenti agli dei, per partecipare alle competizioni atletiche e musicali. La città, per lungo tempo, fu un concentrato di religione, arte, manovre politiche e ricchezze. Michael Scott racconta il più celebre oracolo dell'antichità e come una cittadina alle pendici del Parnaso sia diventata l'ombelico del mondo.
"A salvare il Tempio non valsero né gli sforzi dei Giudei, subito accorsi a combattere le fiamme, né l'intervento di Tito in persona, che si precipitò alla testa del suo stato maggiore ordinando ai soldati di spegnere l'incendio. Ormai la violenza dello scontro era cresciuta a dismisura e gli ordini non venivano più ascoltati da uomini che, sentendo di avere finalmente in pugno la vittoria, erano in preda ad un furore incontenibile e ad una smodata brama di saccheggio. Anziché estinguere le fiamme, le alimentarono. Il Tempio era perduto." Il conflitto tra Romani ed Ebrei fu una guerra ai limiti del genocidio, segnata dalla totale incomunicabilità tra le due parti: lo zelo ebraico verso la Legge divina da un lato, la devozione romana per le umane leggi dell'impero dall'altro. Un disastro per Roma, che nello scontro dissipò buona parte della sua forza militare e disperse un patrimonio non rimpiazzabile di energie vitali, quasi quanto per gli sventurati Ebrei. Una vicenda i cui cupi rintocchi continuarono a lungo a risuonare, non solo in Oriente.
Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione tra idee progettuali, ossessioni unanimistiche, allergia per il pensiero non allineato. Ciò che ci ostiniamo a chiamare governo è il mero esecutore e garante della forza normativa del fatto. Nel tempo esecutivo solo lo status quo è legittimo. Il resto è solo velleità, agitazione sterile e senza prospettive. Che è quanto dire che la frustrazione della democrazia è stata interiorizzata, è entrata nel midollo della società.
"Qual era lo scopo di Sylos Labini nel distinguere diverse classi sociali? Era uno scopo politico: capire come le persone si sarebbero comportate politicamente, non tanto nel voto, quanto nella costruzione di una società moderna". (Innocenzo Cipolletta) Con due scritti di Innocenzo Cipolletta e Ilvo Diamanti.
La crisi economica che abbiamo attraversato è stata la più lunga e la più dura della storia d'Italia. E non è finita del tutto e per tutti. Le cicatrici che ci lascia segnano ogni abitudine, ogni momento della nostra vita sociale: facciamo meno figli, ci curiamo di meno e peggio, consumiamo meno ma a volte meglio, stiamo abbandonando l'università, conviviamo con l'incertezza. Mutamenti profondi, non reversibili al primo rialzo del Pil.
Il giubileo, o Anno Santo, è apparso sulla scena della storia nel Trecento come uno strumento economico e politico di prima grandezza della monarchia pontificia. La ricerca di risorse e fama per caratterizzare il proprio pontificato costrinse, dopo poco tempo, a prevedere anche un giubileo straordinario. Quella dell'Anno Santo è, dunque, una tradizione ambigua fatta di trionfalismi, lacerazioni e religiosità popolare. Alberto Melloni ricostruisce questa storia e analizza le ragioni che hanno spinto papa Francesco ad indirne uno proprio in occasione del cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II. Bergoglio lo ha promosso con parole inedite e con la volontà esplicita di "mobilitare" il popolo di Dio, per chiedere ai fedeli di indicare la direzione da prendere, soprattutto dopo un sinodo nel quale la Chiesa si è misurata non con morali vecchie o nuove, ma col Vangelo.
"In Italia assistiamo a un fenomeno politico inquietante: un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale. Tanto più preoccupante perché emerge non dal margine ma dal centro stesso del potere. Non dal basso ma dal cuore del Governo. Crisi di fiducia verso la politica e ripudio della sua lontananza e delle sue lentezze, crisi della rappresentanza e delle sue istituzioni, crisi dei partiti e del ceto politico. Matteo Renzi è riuscito a mettere a valore ognuna di queste diverse faglie di crisi del sistema politico italiano. Tutte trasformate, come in un gioco di prestigio ben architettato, da problemi in risorse. Una paradossale operazione che valorizza un modello di gestione del potere esplicitamente post-democratico, fondato su una forma estrema di decisionismo. Non si tratta di una questione di stile, o di comunicazione. Tutto ciò che si consuma sotto i nostri occhi allude a una vera e propria mutazione genetica del nostro assetto istituzionale e dell'immaginario politico che gli fa da contorno. È il risultato di prassi reiterate e con più protagonisti, frutto di un processo cominciato già col governo tecnico di Monti, l'exploit del Movimento Cinque Stelle, la rielezione di Napolitano, fino al suo compimento con il governo Renzi."
Il popolo e gli dei si sono allontanati irrimediabilmente. La Grande Crisi ha separato con un abisso i diversi gironi della società e si è spezzata la catena di connessioni tra il popolo e l'élite. Abbiamo ceduto sovranità a sfere sovranazionali e a oscuri poteri finanziari, coperti dall'impunità e inquinati dai conflitti di interesse. Siamo diventati sudditi di regni lontani. La politica e gli italiani non hanno più molto da dirsi. Il rapporto si è deteriorato e si è spento nella reciproca separatezza. Siamo un popolo vitale, dobbiamo però riprendere la strada dello sviluppo e recuperare sovranità. E soprattutto dobbiamo ridurre le distanze tra sempre più ricchi e sempre più poveri. Non si riaccende la fiamma dei desideri senza interpretarli, senza individuare un orizzonte condiviso, senza riscoprire il fascino di un sogno collettivo.