
Nel XVI esplose il contrasto tra una raffinata civiltà rinascimentale e l'estrema efferatezza di roghi, torture e violenze perpetrate in nome della fede. Similmente a quanto accade ai nostri giorni, l'intolleranza religiosa, come una lebbra che attacca gli Stati, aveva trascinato la Francia in una serie di lotte fratricide, seminando migliaia di morti in nome del Cattolicesimo o della Riforma. In un panorama così cruento tre donne, nate dalla stirpe dei Valois, spinte da profonde convinzioni, mostrarono una tenace volontà verso la Riforma, certe che essa potesse ricondurre alla sincerità del vero credo iniziale. Legate fra loro da vincoli di parentela, non furono tacite spettatrici, ma esponenti di un femminismo ante litteram. Determinate, pur con differenti modi di esprimere i loro ideali, misero una tenace volontà per raggiungere quei fini che sentivano come una missione.
Questo libro, al suo apparire nel 1924, s'inquadrava in un progetto di ricerca, intenzionalmente perseguito dall'autore come lotta contro il pregiudizio «razionalistico» di un medioevo privo di originalità filosofica, ma anche contro un certo conformismo neo-scolastico tendente a far confluire sulle posizioni tomistiche la varietà delle posizioni degli altri esponenti della tradizione scolastica. Lo scopo di Gilson era mostrare l'esistenza di un pensiero medievale degno del nome di filosofia, cioè di sapere fondato nell'evidenza della ragione, ma anche correggere, in nome della storia ridata a se stessa, una certa ideologia del medioevo filosofico-teologico che s'inibiva di cogliere tutta la ricchezza e la complessità della storia stessa di questa convivenza di teologia e filosofia per incanalarsi troppo rapidamente in una sorta di reductio diversarum doctrìnarum ad Thomam. Il primato di Tommaso, più che un «dogma» fondato su una venerabile tradizione di ammirazioni, doveva essere qualcosa da riscoprire nella circolarità tra il rigore storiografico e un impegno teoretico-dialettico di confronto.
Al momento della pubblicazione, nel 1985, "Sperare per tutti" e "Breve discorso sull'inferno", i due volumi qui riuniti secondo un espresso desiderio di von Balthasar, fecero molto parlare di sé. Il punto di partenza era la generosità inesauribile del Padre che portò all'origine eterna della Trinità santa, secondo il famoso passo paolino: "Dio non tenne per sé come un tesoro geloso la sua divinità". Questo è il grande dono di Dio, ma nella sua generosità Egli offre al Figlio la creazione. E quando la creatura nella sua libertà finita ricevuta in dono decide di allontanarsi dalla casa del Padre, il Figlio si offre prontamente per discendere nel mondo e riconquistare all'amore quel dono che rischia di andare perduto. Incarnazione, crocifissione e morte sono l'espediente estremo d'amore per convincere la creatura dell'amore di Dio. A questo punto, però, lo sconfitto è il vincitore: il Figlio calato negli inferi viene preso nell'abbraccio del Padre e questa è la resurrezione. La storia del mondo e dell'uomo viene così riorientata verso Dio. È Yapocatastasi, la dottrina della riconciliazione universale, condannata dalla Chiesa? Balthasar nega di giungere a tanto, anche se vuole prendere sul serio le parole del Vangelo, che parlano di Gesù venuto per la salvezza di tutti.
Un protagonista della storia cristiana, italica e mediterranea tra antichità e Medioevo; un fondatore della cultura medievale e uno dei «padri storici», insieme con Benedetto da Norcia, del monachesimo occidentale; un «classico» della letteratura latina di un'età difficile e complessa, che tuttavia a torto e semplicisticamente sono in troppi a definire «oscura». Calabrese di Squillace, di origine forse siriaca, Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (490 ca.-583 ca.) ha attraversato con la sua lunga vita l'intero VI secolo, che nella pars Occidentis dell'Impero - privata del suo sovrano - si aprì con la coraggiosa e generosa proposta di convivenza goto-latina di Teodorico e si chiuse col grande e innovatore pontificato di Gregorio Magno. Politico e funzionario alla corte di Teodorico, profondamente impegnato nel lavoro di pubblico amministratore, Cassiodoro non si lasciò travolgere dal fallimento dell'esperienza di governo gota e dalla guerra «greco-gotica» che ne seguì. La sua esperienza di governo e la sua saggezza sono immortalate nella raccolta delle Variae, edita nel 537. Il centro monastico Vivarium, da lui fondato nella maturità presso la natia Squillace, rappresentò, assieme a Montecassino, un faro e un modello culturale da cui è sorto il Medioevo latino e quindi l'Europa.
Dov'è finito il movimento per la pace dopo il 2003? Una cultura di pace deve riprendere forza e, con essa, un movimento che sperimenti percorsi nuovi per una partecipazione più attiva ai grandi temi internazionali. Il mondo globale, con le sue smisurate dimensioni e le sue radicate connessioni, ha bisogno di donne e uomini dalla coscienza globale. La cultura della pace deve diventare una passione condivisa e un appuntamento rilevante nell'educazione delle giovani generazioni. Tutto questo, però, può maturare se persone consapevoli riprendono a parlarne in tutte le sedi. Il mondo globale non è solo un grande mercato, dominato da forze economiche che non si controllano, né uno scenario dove contano solo pochi poteri. Siamo parte di questa storia globale, che ha tanti attori, piccoli e grandi. E speriamo che questa storia si sviluppi in una prospettiva di pace, che è la migliore condizione possibile per l'umanità.
«L'uomo e la donna sono creati per una reciprocità comunionale e Dio, quando parla, non li separa. E Satana invece che li separa, quando si rivolge alla donna sola (comportandosi così, dice Evdokimov, proprio perché è la donna che è religiosamente determinante). Da qui nasce poi un vero e proprio «scisma ontologico» e da ultimo l'opposizione del maschile e del femminile. Se Dio dice dolorosamente ad Adamo: "Dove sei?", l'uomo e la donna continueranno sempre e tragicamente, ma anche con una nostalgia paradisiaca, a porsi reciprocamente la stessa domanda. Pavel Evdokimov evoca a grandi linee, nel corso della storia, questa guerra tra il maschile e il femminile, con l'alternarsi del matriarcato e del patriarcato. Il movimento contemporaneo di liberazione della donna si dirige a tentoni verso un rinnovato incontro dell'uomo e della donna. Ma la donna è tentata dall'esclusione dell'uomo, da atteggiamenti viriloidi. La libertà della donna, al pari di quella dell'uomo, ha bisogno di essere salvata. Essa esige che si esplorino degli aspetti che troppo a lungo sono rimasti solamente impliciti nel cristianesimo». (dalla prefazione di Olivier Clément)
"Ci ritroviamo a vivere un tempo in cui ciò che viene esaltato è la precarietà, l'instabilità, insistendo con superbo distacco nell'ignoranza del passato. E questo spiega perché le relazioni fra gli uomini, le generazioni e i continenti siano divenute conclamate occasioni di ostilità, fino a manifestarsi in termini drammatici. Lo sgomento in cui vive gran parte dell'umanità ha fatto riemergere l'insopprimibile sentimento della Comunità, d'una appartenenza condivisa, di un destino coinvolgente, che è sempre stato parte della cultura umana nelle sue espressioni più concrete, cioè in tutto ciò che viene a formare la cultura universale dell'uomo, che non può sentirsi appagata se non come universo di culture locali. Lo spazio territoriale dove la persona si forma, riceve il patrimonio dei padri, che continuerà a riflettersi ovunque decida di collocarsi in futuro. Se lo si rinnega, cessa anche il passaggio del complesso patrimonio identitario che si esprime meglio con il termine inglese heritage, con significato di sintesi molto chiara nell'indicare questa prosecuzione del senso di radicamento, di appartenenza come necessità antropologica". (dall'Introduzione dell'autore alla nuova edizione)
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze». (Dall'introduzione di Franco Buzzi)
Negli anni '40 von Balthasar fu a lungo in dialogo con Karl Barth (La teologia di Karl Barth, Jaca Book). Dell'autore protestante egli ammirava in particolare la dottrina dell'elezione, «questo geniale superamento di Calvino», per cui in Cristo Dio ha pronunciato il suo sì per il mondo e per ogni uomo. Tuttavia egli intravede anche le obiezioni che si possono avanzare a Barth: che senso ha la storia prima di Cristo? Si può ancora parlare di storia cristiana se tutto dipende dall'evento unico e irripetibile di Cristo? Balthasar aveva già tentato di dare una risposta a questi interrogativi in Teologia della storia, scritto nel 1950. Ritorna sull'argomento nel 1963, quando, pur essendo già iniziata la pubblicazione di Gloria, esce II tutto nel frammento, che ancora una volta si interroga sul significato del tempo di fronte all'eternità. «Come nel mio precedente breve libro Teologia della storia, anche qui non verrà presentata una trattazione globale sulla teologia della storia. Saranno presi in considerazione soltanto alcuni temi principali secondo un movimento di pensiero "ciclico", per cui gli stessi problemi - o altri analoghi - saranno ripresi più di una volta a diversi livelli. Così ci si imbatte pressoché costantemente in temi come il problema del tempo, del centro e della fine del tempo, la questione dell'apertura della ragione e della rivelazione, il problema dei Giudei e dei Pagani e così via. Le questioni sono scelte secondo un preciso riferimento al tema generale indicato nel titolo: dove dobbiamo rivolgere il nostro sguardo per scorgere, nella frammentarietà della nostra esistenza, una tensione verso l'Intero? Ogni frammento di un pezzo di ceramica suggerisce la totalità del vaso, ogni "torso" di marmo viene visto nella luce dell'intera statua. Sarà la nostra esistenza a costituire un'eccezione? Ci lasceremo persuadere forse che quello stesso frammento che è la nostra esistenza costituisce l'intero?» (dalla nota dell'autore)
Nei primi mesi del 2011, a cent'anni esatti dall'impresa coloniale italiana in Libia, si è consumato un nuovo intervento militare contro il Paese nordafricano. Artefici di quest'attacco piratesco, come è qui documentato con precisione, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, a cui presto si è dovuta accodare anche l'Italia, il più stretto e importante partner economico-commerciale della Libia. Ne è seguito un disastro immane le cui vere ragioni sono state tenute nascoste al pubblico internazionale. Con molta lentezza, mentre si consumava la tragedia che ha dilaniato l'ex colonia italiana, sono emersi qua e là taluni brandelli di notizie sulle cause che hanno portato all'entrata in guerra della NATO contro Mu'ammar Gheddafi. Ma, come già era avvenuto, i media mainstream hanno continuato a tacere sul disegno e le finalità complessive dell'operazione. Oltre a non reclamare giustizia per gli «uomini di Stato» responsabili di una tale catastrofe sociale e umanitaria. Il libro di Paolo Sensini rappresenta un contributo imprescindibile per chiunque voglia davvero capire cos'è accaduto in Libia e, più in generale, su ciò che è ormai passato alla storia con il roboante nome di «Primavera Araba». È un racconto avvincente, che ci guida per mano nel labirinto libico e di cui l'autore, che ha completato il quadro pubblicando importanti contributi sulla strategia del caos nel Vicino e Medio Oriente, ci aggiorna con dovizia fino agli ultimissimi eventi e oltre.