
Se fosse possibile azzardare un paragone musicale quando si parla dei tanti contributi critici che - nel corso del tempo - sono stati generati dall'opera di Jacques Derrida, si dovrebbe ricorrere necessariamente al contrappunto, vale a dire al rapporto tra voci che sono indipendenti rispetto al ritmo e interdipendenti rispetto all'armonia. Il 12 e il 13 dicembre 2006, presso l'Università degli Studi di Bergamo, si è svolto un convegno che ha messo alla prova la verità di tale polifonia e ha sviluppato linee di fuga e passaggi tonali a partire da quattro parole - scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità - che, come note su un pentagramma, scandiscono il percorso filosofico di uno dei maestri più importanti del Novecento. Consapevoli del fatto che Derrida non amava celebrazioni o monumentalizzazioni, gli studiosi che sono intervenuti (i quali, tra l'altro, appartengono a generazioni diverse), non si sono chiesti soltanto che cosa Derrida può ancora dare, ma hanno cercato di comprendere in che senso tutto ciò che lo concerne si gioca ora, avviene ora, vale a dire nella piena corresponsabilità del suo gesto di lettura.
La pittura allegorica compare nelle decorazioni interne delle case romane alla fine degli anni 80 del I secolo a.C. Scompare una quarantina díanni pi˘ tardi con la generazione che ne aveva creato la moda, durante gli sconvolgimenti politici seguiti allíassassinio di Cesare alle Idi di marzo del 44 a.C. Le sontuose composizioni, che rappresentano architetture in parte immaginarie e prive di qualsiasi presenza umana, sono state devotamente preservate dai successivi proprietari delle dimore, a causa probabilmente della condizione sociale di coloro che le avevano commissionate, fino a che líeruzione del Vesuvio le ha a sua volta conservate permettendoci di ammirarle. Si indaga questa moda decorativa, dalla sua probabile nascita sul Palatino, nella casa di uno dei capi della fazione conservatrice dellíaristocrazia senatoria, fino alla sua fase conclusiva nelle ville della ricca zona residenziale del golfo di Napoli. Il significato di queste pitture Ë analizzato in dettaglio, con un tentativo di ritrovare lo sguardo dei proprietari che le fecero eseguire. Si tratta di ricostruire in tutti i suoi aspetti sia la memoria di questi personaggi che le loro abitudini di percezione visiva.
Tra il gruppo di giovani aristocratici decisi a resistere alle azioni dei populares e coloro che erano andati a cercare presso i filosofi di Atene le ragioni per credere nel loro destino, spicca la grande figura di Cicerone, che possedeva una residenza nel territorio di Pompei. » una delle ambizioni di questíopera provare a far rivivere qualcosa di quello che fu lo sguardo di Cicerone.
Non si finisce mai di studiare Bernardo di Clairvaux, e con lui, la costellazione dei "dottori" sorti da Cîteaux. Con il loro "amore delle lettere" e "desiderio di Dio", essi hanno lasciato un patrimonio enorme di contemplazione, di esperienza e di "arte" del mistero cristiano. I temi trattati toccano in profondità la materia cistercense, a cominciare dalle origini e dall'originalità di Cîteaux, che trova le radici del "nuovo monastero" nella carità cristiana che "è capace di dare compimento al senso di un'intera esistenza". Un'esistenza che assume la sua forma e la sua misura da Cristo che ha unificato tutta la vita di Bernardo, il quale dichiarava: "Questa è la mia più sublime e la mia interiore filosofia: sapere Gesù". Bernardo di Clairvaux abitualmente non ama indugiare sul pensiero astratto, proprio della "scuola", ma applicare la sua "considerazione" al mondo concreto, esplorando, con rara penetrazione, la fenomenologia dell'anima, ed esprimendola con il multiforme linguaggio dell'esperienza.
L'uomo è sempre stato affascinato dagli animali. Erano forti, belli, intelligenti e lui ne era attratto e li temeva. L'uomo li ha visti come dei, ma li ha usati per vivere, per vestirsi, per cibarsi, per ornarsi. Nelle grotte del Paleolitico ci sono grandi affreschi: gli animali sono immensi, invadenti, assoluti, mentre l'uomo è piccolo e debole. L'uomo da sempre ama e teme l'animale, che per lui è tanto vicino ma tanto distante. L'uomo scruta gli animali per capire forme, colori, gesti, forza d'azione, astuzia. Anche noi, oggi, vogliamo imparare qualcosa con gli animali. Sebastiano Ranchetti vi ha visto i colori, e invita i giovani lettori a tuffarvisi dentro. Età di lettura: da 3 anni.
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L'uomo è sempre stato affascinato dagli animali. Erano forti, belli, intelligenti e lui ne era attratto e li temeva. L'uomo li ha visti come dei, ma li ha usati per vivere, per vestirsi, per cibarsi, per ornarsi. Nelle grotte del Paleolitico ci sono grandi affreschi: gli animali sono immensi, invadenti, assoluti, mentre l'uomo è piccolo e debole. L'uomo da sempre ama e teme l'animale, che per lui è tanto vicino ma tanto distante. L'uomo scruta gli animali per capire forme, colori, gesti, forza d'azione, astuzia. Anche noi, oggi, vogliamo imparare qualcosa con gli animali. Sebastiano Ranchetti vi ha visto gli opposti, e invita i giovani lettori a tuffarvisi dentro. Età di lettura: da 3 anni.
La rimarcabile unità geografica da sempre caratteristica dell'Egitto è il primo fondamento della sua eccezionale continuità storica, che si è costruita nell'alternarsi e nel confronto tra diverse dimensioni di espansione e influenza: quelle asiatica e africana sul piano continentale, quelle nilotica e mediterranea sul piano regionale. Il libro introduce a questa molteplicità di dimensioni e piani - storico, politico e culturale - che hanno via via contribuito a trasformare e arricchire l'identità dell'Egitto. Si apre con due contributi sulla civiltà dei Faraoni e le sue espressioni religiose; si svolge poi attraverso la diffusione del cristianesimo e l'elaborazione di forme artistiche proprie, tardo-antiche e cristiane, fino ai cambiamenti portati dalla conquista araba e dalla diffusione dell'Islam. I secoli medievali e quelli del governo dei Turchi, prima mamelucchi poi ottomani, rappresentano per il paese un'alternanza di luci e ombre, una complessità della quale rende conto anche un capitolo sulla società e la cultura del Cairo medievale. La modernità, giunta con l'esercito napoleonico, affascina molti esponenti della società egiziana e, attraverso essi, si irradia in altre regioni del Vicino Oriente. I temi propri del Risorgimento arabo e poi dell'individuazione di quali dimensioni privilegiare tra le tante proprie del paese - islamica, araba, egiziana, mediterranea - hanno fatto dell'Egitto nel Novecento un vero laboratorio di riflessioni e decisioni politiche cariche di conseguenze.
Anselmo d’Aosta e dintorni. I “dintorni” sono tre: Lanfranco di Le Bec, priore di Anselmo e poi suo predecessore nella sede episcopale di Canterbury – qui presentato nel suo profilo generale e nella prerogativa di esegeta, in cui spunta già il teologo; Guitmondo d’Aversa, alunno di Lanfranco soprattutto come maestro di dialettica nel monastero di Le Bec; e Urbano II, del cui comportamento Anselmo non sarà totalmente soddisfatto – pur non cessando mai di riferirsi alle sue decisioni sull’indipendenza ecclesiale nelle nomine episcopali –, e qui studiato nei suoi principi di riforma della Chiesa.
Ma a emergere nel volume, e a occuparne la più parte, è lo stesso Anselmo d’Aosta, riscontrato nelle vicissitudini complesse e nelle tribolate peripezie che ne tratteggiano e ne snodano la vita, sempre toccandola e coinvolgendola nell’intimo.
Ne risulta così ampiamente ricostruita la sua figura di monaco e di abate amabile – al quale, a suo dire, tutti i buoni volevano bene –, di teologo sottile, di ostinato difensore della «libertà della Chiesa» e di assertore tenace del primato delle ragioni della verità e della coscienza.
Il volume mira anche a essere una introduzione o iniziazione a sant’Anselmo in vista del IX centenario della sua morte – 21 aprile 1109 –, che sicuramente non mancherà di chiamare a convegno studiosi e ricercatori dalla sponda sia della filosofia sia della teologia.