Il protagonista di questo intenso saggio in forma di narrazione di Corrado Stajano si aggira sgomento per le strade di una città che vorrebbe amare, che nella sua storia è stata anche amabile, ma che nell'oggi sembra solo respingere: Milano. In questo peregrinare la realtà contemporanea dischiude il suo passato e Milano diventa il centro concreto e insieme emblematico di un cupo trascorrer di tempi. La città lucente di acque magnificata da Bonvesin da la Riva si trasforma nella "città degli untori" e dalla peste rimane contagiata per sempre; un susseguirsi ininterrotto di oscene violenze connota la storia di Milano fino a piazza Fontana e agli anni del terrorismo e dei servizi segreti infedeli. Alla violenza si accompagnano poi la decadenza della borghesia, parallela alla drammatica e quasi repentina fine della classe operaia, il tramonto del cattolicesimo democratico, che pure a Milano aveva radici profonde fin dagli anni del modernismo, e - nuova peste - la corruzione. Qui nasce il fascismo, qui gli ideali storici del socialismo si barattano per cupidigia, qui trovano terreno grasso il prevaricante populismo berlusconiano e l'assordante grettezza leghista. Allora la peste, nella sua realtà storica e nella sua valenza simbolica di morbo morale, che avvelena la vita delle persone e delle cose, diventa la chiave di lettura che attraverso stratificazioni storiche e metamorfosi di costume può cogliere una lunga durata di vergogna e sofferenza.
In un mondo dagli equilibri stravolti e diviso non più tra Oriente e Occidente o tra Nord e Sud, ma tra paesi dominati dal risentimento e paesi dominati dalla paura, è necessario riprendere in mano la riflessione sulla possibile convivenza con il diverso: l'altro, che provenendo da una cultura differente finiamo per classificare semplicemente come "barbaro". L'Europa, in particolare, oggi preda della paura nei confronti dell'islam, rischia di reagire in modo violento, provocando un duplice paradosso: da una parte "la paura dei barbari rischia di trasformare noi stessi in barbari"; dall'altra "rende il nostro avversario più forte e noi più deboli". Attraverso una riflessione che ripercorre la storia della cultura europea, Tzvetan Todorov chiarisce le nozioni di barbarie e civiltà, di cultura e d'identità collettiva, per interpretare i conflitti che oppongono oggi i paesi occidentali e il resto del mondo. Una lezione magistrale di storia e di politica, una vera e propria cassetta degli attrezzi per decifrare la reale posta in gioco del nostro tempo.
Bologna, 1954. Il Bar Margherita, sotto i portici di via Saragozza, è frequentato dai campioni della città: campioni nel biliardo, nel poker, nella briscola, nella conquista delle donne, nelle gare di boogie, nelle bevute, nel guidare spericolatamente ma, soprattutto, nell'investire gran parte del tempo negli scherzi da riservare agli amici. Tutto sembra andare per il meglio finché non accade l'irreparabile: il fidanzamento dell'ingenuo Bep con la navigata Beatrice, "l'unica a essere uscita con tutti i ragazzi di via Saragozza sia dalla parte dei numeri pari che dei numeri dispari"! Matrimonio più disarmonico è difficile da immaginarsi ma difficile sarebbe anche farlo saltare, considerati gli interessi delle rispettive famiglie... Fortuna però che esistono gli amici del Bar Margherita, quell'"unità di crisi" sempre pronta a correre in soccorso di uno dei suoi membri in difficoltà.
Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze - assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri - può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole. "Almeno il cappello" racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori.
Andrea Dell'Arti ha trentacinque anni ma ne dimostra meno di trenta. E soprattutto ha una fortuna sfacciata: non quella di chi vince al Superenalotto o a poker, o trova un sacchetto pieno di euro davanti al bancomat. No, è solo che, giorno dopo giorno, la vita sta esaudendo tutti i suoi desideri: l'amore e la famiglia, il lavoro e le aspirazioni creative... Insomma, tutto quello che gli italiani della sua età in genere hanno già smesso di desiderare. Ad Andrea, invece, va tutto bene, senza troppa fatica. Persino sua suocera lo adora... E tutto questo accade, per di più, in una città corrotta e malata, e negli ambienti più difficili. Contro ogni logica, al di là di ogni merito. Andrea non ha niente di diverso dai suoi amici e coetanei, solo che si trova sempre al posto giusto nel momento giusto: perché ogni volta c'è qualcuno che ha bisogno di un ragazzo brillante (ma non troppo), volonteroso (ma non troppo), ambizioso (ma non troppo), idealista (ma non troppo). Come un novello Candide, questo pavido eroe del nostro tempo attraversa lo scalcagnato inferno contemporaneo. "Esco presto" la mattina è una godibile satira, che non risparmia la politica e la letteratura, la famiglia e il cinema, per farceli vedere così come sono.
Emergenze climatiche e crisi ambientali, conflitti per l'energia e fondamentalismi religiosi, turbocapitalismo in panne ed eclissi degli idiomi minori: agli esordi del nuovo millennio, ci troviamo immersi in un "tempo che strapiomba", si aprono nuove difficili sfide, che stiamo affrontando inconsapevoli. Una certa teoria del progresso, sordida e indifferente all'etica, rischia di portarci verso l'autodistruzione. Sono riflessioni come queste ad angosciare oggi Andrea Zanzotto, maestro di coscienza, oltre che autore di versi fra i più importanti e profetici del Novecento. In queste conversazioni, frutto di una lunga amicizia e consuetudine, il poeta ripercorre con Marzio Breda la propria esperienza umana, culturale e creativa. Soprattutto, tratta alcuni temi chiave del nostro presente, quando è più che mai necessario riscoprire il passato per sondare il futuro: paesaggio e linguaggio, storia e memoria, fede e politica, eros e psicoanalisi...
"Mario Luzi ha scritto nuove poesie fino agli ultimi giorni della sua vita, con un'energia e una luminosità invidiabili. Dopo "Dottrina dell'estremo principiante" (Garzanti 2004) Luzi stava cominciando a dare un qualche assetto a questi suoi ultimi versi e aveva fatto trascrivere a Caterina Trombetti, in sezioni distinte, trentacinque poesie, che costituiscono l'ultima serie di testi ordinata dall'autore, di cui si è avuto qualche anticipo su riviste e nell'antologia personale, allestita da Paolo Andrea Mettel in "Autoritratto" (Garzanti 2007). Insieme a questo gruppo "Lasciami, non trattenermi" (incipit della sua probabile ultima poesia) presenta altri inediti assoluti, scritti nell'ultimo anno, che si possono considerare in qualche modo "approvati": si tratta di vari testi, recuperati tra dattiloscritti e autografi - con evidenti segni di rilievo e di evidenza d'autore - e anche di una "parlata", ovvero una sorta di monologo, intimo e dolente, sulla propria vicenda coniugale, all'indirizzo della propria sposa, nel momento della sua irredimibile vecchiezza; una poesia, composta sul valico del 2002-2003, che - per mio tramite - volle affidare al figlio Gianni, con implicita destinazione postuma." (Stefano Verdino)
Nel 1999 Paul Krugman aveva raccontato le crisi che hanno devastato diverse economie in Asia e in America Latina, lanciando un terribile monito: può accadere anche da noi, e possiamo andare incontro a una nuova Grande Depressione. Così come i batteri diventano resistenti agli antibiotici, anche la moderna finanza è diventata immune ai rimedi escogitati dopo la crisi del '29. I primi anni del nuovo millennio, con il boom di Wall Street e il trionfo della finanza allegra, sembravano smentire questa previsione. Poi è arrivato il "grande crac" del settembre 2008, e nelle stesse settimane Paul Krugman ha vinto il Premio Nobel per l'Economia. In questa nuova edizione del Ritorno dell'economia della depressione, ampiamente rivista e aggiornata, Paul Krugman ci fa capire come la "deregulation" e le dinamiche di un sistema finanziario svincolato da ogni controllo abbiano prodotto la peggiore crisi dagli anni Trenta a oggi. E ci illustra le misure che bisogna prendere perché fenomeni del genere non si ripetano.
La Chiesa cattolica attinge abbondantemente alle risorse pubbliche dello Stato italiano: ogni anno milioni di euro vengono dirottati dal governo centrale e dagli enti locali, che si sono fatti di recente ancor più solerti. Questo tuttavia non impedisce al Vaticano pesanti incursioni nella vita pubblica del nostro paese: è pressoché impossibile che un provvedimento legislativo venga approvato senza il suo benestare; e quando accade, le resistenze della Chiesa cercano di impedirne l'applicazione. È una situazione abnorme, che trova il suo fondamento nel Concordato siglato l'11 febbraio 1929 da Pio IX con Benito Mussolini, che lo stesso pontefice aveva definito "l'uomo della Provvidenza". Quel patto venne accolto dalla Costituzione repubblicana attraverso l'articolo 7. Infine nel 1984 il Concordato fu rinnovato dall'accordo tra Craxi e Giovanni Paolo II. Oggi il trattamento privilegiato di cui gode il Vaticano non ha più alcun fondamento giuridico, argomenta Michele Ainis: l'articolo 7 era una norma provvisoria, e oggi è un farmaco scaduto. Oltretutto quelle dei vertici della Chiesa si configurano come vere e proprie ingerenze di uno stato straniero nei nostri affari interni. Infine, in una società sempre più complessa, i privilegi concordatari creano inevitabilmente una disparità di trattamento rispetto a cittadini italiani che seguono altre fedi (e soprattutto a quelli che non si sentono affiliati ad alcuna chiesa).