
Sotto le volte di vetro del Crystal Palace il trapezista Le Coq esegue il suo ultimo numero, ma succede qualcosa e l'artista precipita nel vuoto. A seguire lo spettacolo, tra i molti, un ragazzo speciale: si chiama Sherlock Holmes, ha 13 anni e la straordinaria capacità di indagare mettendo insieme indizi e dando loro un nesso logico. Ha già risolto un caso di omicidio, ma così facendo ha perso sua madre. Sherlock raccoglie le ultime parole di Le Coq ed è l'unico ad accorgersi che la sbarra del trapezio è stata manomessa: qualcuno vuole eliminare l'acrobata. Quello che ancora non sa è che questa scoperta lo porterà ad affrontare il pericolo nelle strade malfamate di Londra sino alla resa dei conti finale. Età di lettura: da 12 anni.
Nulla di meno naturale della famiglia, si potrebbe dire. Famiglia e coppia sono tra le istituzioni sociali più oggetto di regolazione che ci siano. È la società che di volta in volta definisce quali dei rapporti di coppia e di generazione sono "legittimi" e riconosciuti come famiglia, e quindi hanno rilevanza sociale e giuridica. Storicamente e nelle diverse culture queste definizioni sono cambiate, così come sono mutati i soggetti cui è riconosciuto il diritto/dovere di normare che cosa sia famiglia, quali siano le obbligazioni e responsabilità connesse ai legami familiari, la distinzione, o viceversa l'assimilazione, tra coppia e famiglia. Su queste differenze che hanno una lunga storia si innestano oggi, soprattutto nei paesi sviluppati, i mutamenti prodotti da processi di tipo sia demografico sia culturale. L'invecchiamento della popolazione, l'aumento delle coppie di fatto e la richiesta degli omosessuali di vedersi riconosciute le proprie unioni stanno modificando sia l'idea di coppia sia i processi di formazione della famiglia. Le possibilità offerte dalle tecniche di fecondazione assistita, infine, rompono l'ovvietà del legame biologico tra chi è genitore e chi genera. All'incrocio di demografia, storia, cultura e norme la famiglia si presenta insomma come un fenomeno cangiante, come un caleidoscopio, più che in crisi, in tensione per i cambiamenti che la attraversano.
Esterházy resuscita la madre perché racconti la sua amicizia o sarebbe meglio dire flirt con il "dio del pallone" Puskás, sfruttando così l'occasione per fare un ritratto di due eventi fondamentali della storia ungherese: la rivolta anti-sovietica del '56 e la leggendaria nazionale magiara del '54. Due miti, due sconfitte, due rivoluzioni perse. Esterházy ci riporta a un'epoca romantica del calcio, quand'era infarcito di leggenda e morale, quand'era l'unico modo per sognare un avvenire diverso, o semplicemente l'unico sfogo per dimenticare povertà e sofferenza. Unire in un'autobiografia romanzata la figura aristocratica di Lili Esterházy con il mito Ferenc Puskás è un modo per fare un'apologia del calcio, nella sua dimensione estetica e in quella politica. Il calcio come evasione totale dall'asfissia della dittatura, il calcio come vita parallela per fuggire dalla paura. Piccoli aneddoti che raccontano la sopravvivenza, la resistenza del popolo ungherese. "Non c'è arte" è un romanzo dove si passa con semplicità disarmante dal dolore al sorriso, dalla paura della dittatura alla gioia di una partita di pallone.
Martin è un maturo professore e poeta che si è ritirato a vivere ai margini di un bosco: è una nuova stagione della vita, vissuta con consapevolezza e arricchita dai ricordi e dalle conversazioni che Martin intrattiene con il cane Ombra e con molti altri animali bizzarri e filosofi. In questa solitudine coltiva la sua passione di studioso per la poesia giocosa e per il Catena, un misterioso poeta locale morto in manicomio. Questa tranquillità, che nasconde però strani segreti, è turbata dall'arrivo di una coppia che viene a vivere in un casale vicino: un mercante d'arte in fuga dalla città e Michelle, la sua bellissima e biondissima compagna. L'apparizione di Michelle, simile a una donna conosciuta da Martin nel passato, gonfia di vento, pensieri e speranze i giorni del buon vecchio professore. Il ritmo del cuore e il ritmo della vita prendono una velocità imprevista. Una velocità che una sera, a una festa di paese, innesca il vortice di un fantastico giro di valzer. Leggende, sogni, canzoni, versi di un poeta che la tradizione vuole folle e suicida, telefonate attese, contattisti rock, cinghiali assassini, visite di colleghi inopportuni, comiche sorprese, goffi corteggiamenti e inattese tentazioni: tutto riempie di nuova linfa una stagione che si credeva conclusa, e che si riapre sul futuro come un'alba. Martin e tutti quelli che lo circondano sembrano chiusi in un bozzolo di misteri: si tratta di attendere la farfalla che ne uscirà.
Per il movimento risorgimentale il Mezzogiorno rappresentò sino al 1848 una terra dal forte potenziale rivoluzionario. Successivamente, la tragedia di Pisacane a Sapri e le modalità stesse del crollo delle Due Sicilie trasformarono quel mito in un incubo: le regioni meridionali parvero, agli occhi della nuova Italia, una terra indistintamente arretrata. Nacque così un'Africa in casa, la pesante palla al piede che frenava il resto del paese nel proprio slancio modernizzatore. Nelle accuse si rifletteva una delusione tutta politica, perché il Sud, anziché un vulcano di patriottismo, si era rivelato una polveriera reazionaria. Si recuperarono le immagini del meridionale opportunista e superstizioso, nullafacente e violento, nonché l'idea di una bassa Italia popolata di lazzaroni e briganti (poi divenuti camorristi e mafiosi), comunque arretrata, nei confronti della quale una pur nobile minoranza nulla aveva mai potuto. Lo stereotipo si diffuse rapidamente, anche tramite opere letterarie, giornalistiche, teatrali e cinematografiche, e servì a legittimare vuoi la proposta di una paternalistica presa in carico di una società incapace di governarsi da sé, vuoi la pretesa di liberarsi del fardello di un mondo reputato improduttivo e parassitario. Il libro ripercorre la storia largamente inesplorata della natura politica di un pregiudizio che ha condizionato centocinquant'anni di vita unitaria e che ancora surriscalda il dibattito in Italia.
"Ogni vita umana è come uno schiaffo del vento." Così cantava Maria Tanase, la grande interprete rumena che la dittatura volle censurare ma la cui voce non poté spegnere nel cuore della gente. Alla verità di queste parole, alla violenza di un secolo e ai suoi totalitarismi, alla propria esperienza di vita e di scrittura sono dedicati i saggi qui raccolti, che Herta Müller ha scritto nel corso degli ultimi anni e fra i quali è compreso anche il discorso pronunciato dalla scrittrice in occasione del conferimento del premio Nobel nel 2009. Alla lettura intensamente personale dell'opera di autori e artisti, da Elias Canetti al poeta e amico Oskar Pastior, da Emil Cioran a Maria Tanase e altri, si affiancano testi in cui il racconto su di sé è sempre anche l'accusa di ogni collaborazione all'abuso e alla violenza. Ed è nello stesso tempo un profondo scavo nel rapporto fra la percezione e la parola, dal quale sorge una poesia di così dura bellezza. Politica, raffinata riflessione letteraria e sulla scrittura, autobiografia: qui tutto nasce dal medesimo nervo, bruciante e scoperto. Poiché, come scrive l'autrice: "Io non devo una sola frase alla letteratura, bensì all'esperienza vissuta. A me stessa e soltanto a me, perché voglio poter dire quel che mi circonda".
"Il corpo delle donne" è stato un fenomeno dirompente: il documentario e il libro hanno mostrato a milioni di persone quanto in Italia un certo tipo di tv fosse diventato pervasivo e nocivo, e davvero non più tollerabile. Ma dalla denuncia occorre passare all'azione e Lorella Zanardo con questo libro racconta come si può concretamente lavorare per cambiare i media. E con i media, la società. Innanzitutto i giovani: sono loro che possono inventarsi il futuro, senza chiedere il permesso alle generazioni che hanno costruito il mondo così com'è. In centinaia di incontri nelle scuole, Zanardo ha conosciuto tantissime ragazze e ragazzi, e proprio dai loro pensieri e dalle loro domande nasce la sua riflessione sul sistema dei media in Italia. Reclamando una vera e propria ecologia della mediasfera, l'autrice smonta il mito dell'audience, cerca di andare oltre la sterile diatriba sulla "qualità" televisiva, indaga le responsabilità, analizza le possibilità del servizio pubblico e mette al centro del gioco il cittadino spettatore. E con il percorso per il consumo attivo della tv "Nuovi occhi per i media", scritto insieme a Cesare Cantù, fornisce uno strumento chiaro e accessibile per tutti coloro che non vogliono subire più il marketing televisivo, ma intendono riappropriarsi della loro capacità di comprendere, discriminare, criticare. Perché sono i cittadini consapevoli, pronti a rivendicare i propri diritti che possono cambiare la tv, i media e la società tutta.
"Lo stato delle cose" è l'ultimo capitolo della trilogia di Frank Bascombe, già protagonista di "Sportswriter" e "Il giorno dell'Indipendenza". Frank ha cinquantacinque anni, fa l'agente immobiliare e abita nell'immaginaria Sea-Clift, una cittadina costiera su quella lingua di terra che separa il New Jersey dall'Oceano Atlantico. È il 2000, l'anno del Millennio, l'anno delle elezioni presidenziali che videro contrapposti Gore e Bush e che decretarono l'inizio di uno dei periodi più bui della politica statunitense. Anche per la vita privata di Frank Bascombe è stato un anno a dir poco impegnativo: Sally, la seconda e amatissima moglie, lo ha lasciato, Frank ha scoperto di avere un tumore alla prostata, ha litigato duramente con il figlio Paul, la figlia Clarissa ha deciso di provare a essere eterosessuale e, per complicare ulteriormente le cose Ann, la ex moglie, gli ha confessato di amarlo ancora e di voler tornare a vivere con lui. Sono tre giorni di riflessioni sulla vita e di ricordi ma anche di grandi e piccoli eventi che costringono Frank a raggiungere un livello di onestà assoluta con se stesso, quel livello in cui un essere umano capisce che non può sfuggire agli eventi della propria vita, ma che li può solo accettare - profondamente, dolorosamente, liberatoriamente - per continuare a vivere nel pieno senso della parola.
I giovani non sono sempre esistiti. Al contrario: sono stati inventati. In America e in Europa, a cavallo tra Ottocento e Novecento, un nuovo attore sociale e un nuovo stile di vita si sono fatti strada in modo prepotente fino a rivoluzionare il costume e la società. Jon Savage racconta questa rivoluzione in un libro che parte dai sogni di ribellione della generazione romantica e attraversa due secoli di fermenti e tormenti, entusiasmi e angosce: Peter Pan e il mito dell'eterna giovinezza, la fondazione dei boy scout, lo shock della Prima guerra mondiale, lo sviluppo di una psicologia dell'adolescenza, la militarizzazione della gioventù nella Germania hitleriana e nell'Italia fascista, la diffusione di nuovi stili musicali dal ragtime allo swing al rock'n'roll, la nascita della pubblicità e di un mercato pronto a sfruttare economicamente i nuovi gusti e la nuova cultura di massa. Fino alla consacrazione definitiva, quando nel giugno 1945 - poche settimane prima dello scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki - il "New York Times" annuncia trionfante che "i teenager sono un'invenzione americana". Da quel momento in poi il mondo non sarà più lo stesso. Il futuro sarà dei teenager.
È anonimo l'autore che, nel 1829, dà alle stampe questo piccolo, gigantesco libro. Ma è inconfondibilmente Victor Hugo. Sono anni in cui il progresso sembra trasportare l'umanità intera, sul suo dorso poderoso, verso un futuro di pace, prosperità, ricchezza e fratellanza. Ma negli stessi anni si tagliano ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisce in carcere, ci si lascia morire per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Hugo parla a nome dell'umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate. Un'angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell'attesa, venga essa con la liberazione o con l'oblio.