
Tutti vogliamo essere felici. Ma appena ci fermiamo a riflettere iniziano i guai: cos'è davvero la felicità? Cosa vuol dire essere felici? La felicità è uno «stato» o un «processo», è oggettiva o soggettiva? In questi casi conviene rivolgersi a chi per primo e meglio di tutti ha messo la felicità al centro delle proprie riflessioni: Aristotele. È quello che fa Edith Hall, una delle classiciste più importanti al mondo, che nelle dieci sapienti lezioni di questo libro ci mostra come il grande filosofo sia ancora la guida migliore per orientarsi nel caos della vita di ogni giorno. Le parole «felice» e «felicità» - happy e happiness - vanno alla grande. Potete comprare un Happy meal, o bere un cocktail a un happy hour. O magari prendere una «pillola della felicità» per tirarvi su, o postare una faccina felice sui social. Sulla felicità, tuttavia, abbiamo le idee confuse. D'accordo, tutti pensano di volere essere felici, ma cos'è, davvero, la felicità? È uno stato psicologico duraturo nel tempo o un attimo così effimero che, appena ci rendiamo conto di viverlo, è già passato? È qualcosa di oggettivo, riconducibile a determinati parametri (ad esempio godere di buona salute, essere liberi da preoccupazioni finanziarie o dall'angoscia esistenziale) o è qualcosa di soggettivo, che non può essere misurato né osservato, qualcosa che non va accostato al «benessere» ma alla «soddisfazione» o alla «letizia»? Aristotele fu il primo filosofo a chiedersi davvero cos'è la felicità e cosa possiamo fare per diventare persone felici: un programma che mantiene ancora intatta la sua validità. Edith Hall, una delle classiciste più importanti al mondo, presenta l'antica e veneranda etica aristotelica in un linguaggio contemporaneo. Applica cioè gli insegnamenti di Aristotele a svariate sfide pratiche della vita reale: prendere una decisione, scrivere una domanda di lavoro, parlare in un colloquio, usare la tabella dei Vizi e delle Virtù per un'analisi del proprio carattere, resistere alle tentazioni, scegliere gli amici e i partner. Sono pochi i filosofi, i mistici, gli psicologi e i sociologi che hanno fatto molto di più che riformulare le fondamentali intuizioni di Aristotele. Ma lui le ha dette per primo, meglio, più chiaramente e in modo più olistico di chiunque le abbia successivamente riprese. Ogni parte delle sue prescrizioni per essere felici si riferisce a una diversa fase della vita umana, ma al tempo stesso le interseca tutte. In qualsiasi periodo della vita vi troviate, le idee di Aristotele possono rendervi più felici.
Per il pensiero liberale una «politica della verità» è un'assurdità e un pericolo, il principio di una società dogmatica, paralizzata da un potere totalitario e ingiusto. È davvero così? La teoria sviluppata in questo libro rovescia l'ipotesi. Uno sguardo più attento al ruolo del vero e del falso nelle nostre vite ci fa capire che oggi il destino della libertà e della giustizia è inestricabilmente legato al concetto di verità. Ma si tratta di guardare alla verità in un modo diverso: considerando anzitutto il suo speciale potere in democrazia, in cui le credenze (vere, false, incomplete o distorte) dei cittadini orientano le stesse condizioni della vita pubblica. Contro la proliferazione del falso e dell'insensato, una nuova politica della verità deve tutelare, per tutti noi, il diritto alla verità non soltanto in relazione al bisogno di sapere, ma anche al bisogno di essere garantiti in quei beni e valori critici che si legano a un uso razionale delle conoscenze.
"Romeo e Giulietta", "Otello", i "Sonetti"... le più famose opere di Shakespeare dedicate all'amore ci emozionano oggi come quattrocento anni fa. Ogni capitolo di questo libro racconta, intrecciando aneddoti, curiosità e fatti storici, un'idea dell'amore secondo Shakespeare: l'amore a prima vista che si crede eterno, l'amore che si muta in odio e uccide, l'amore che impone di farsi raccontare in una storia che è confessione e denuncia insieme... Una casistica straordinaria, con al centro la domanda di sempre: l'amore è commedia o tragedia? Un percorso che dalla passione tra adolescenti in "Romeo e Giulietta" porta alla tragedia del razzismo e della gelosia in "Otello", fino alla sorpresa dei "Sonetti". Qui Shakespeare è il protagonista, parla in prima persona e si mette crudelmente a nudo in un diario segreto dove confessa due passioni, per un giovane biondo e una dama bruna, che si confondono in un triangolo difficile da districare.
Un misterioso oggetto spaziale atterra vicino alla pacifica borgata romana del Trullo e fa temere agli adulti un'improvvisa invasione di extraterrestri: schiere di scienziati e di ricercatori avanzano terribili ipotesi, arriva l'esercito, si preparano contromisure... Spesso, però, le apparenze ingannano, e toccherà a due simpatici bambini, Paolo e Rita, dimostrare l'assurdità di certe paure, e gustare insieme a tanti loro coetanei la buonissima torta scesa dal cielo per uno di quegli straordinari prodigi di cui era capace la fantasia di Gianni Rodari... Una torta che anche i giovani lettori di oggi sicuramente gradiranno... Età di lettura: da 9 anni.
Se nel VI secolo l'Impero romano d'Oriente era il piú vasto stato nell'Eurasia, appena un secolo dopo esso si era ridotto drasticamente. Circondato da nemici, devastato da conflitti e malattie, sembrava destinato al collasso, ma non fu così, e questo saggio ci spiega tutti i motivi per cui ciò non avvenne. Nel 700 d.C. l'Impero aveva perso tre quarti del suo territorio a vantaggio del Califfato islamico. Ma l'accidentata geografia dei territori rimanenti in Anatolia e nell'Egeo fu strategicamente vantaggiosa, poiché impedì ai nemici di occupare permanentemente le città, rendendoli vulnerabili ai contrattacchi romani. Più l'Impero si riduceva, più si calamitava intorno a Costantinopoli, la cui capacità di resistere ai diversi assedi si rivelò decisiva. Anche i cambiamenti climatici ebbero un ruolo, poiché imposero di diversificare la produzione agricola, aiutando così l'economia imperiale. La crisi costrinse la corte ad avvicinarsi alle classi dirigenti delle province e alla Chiesa. Nonostante le perdite territoriali, l'Impero non patì gravi crisi politiche. Ciò che restava divenne il cuore di uno stato romano cristiano medievale, la cui potente teologia politica predisse che l'imperatore avrebbe infine prevalso contro i nemici, sancendo il dominio mondiale del cristianesimo ortodosso.
Una stazione, due uomini che aspettano un misterioso convoglio partito da lontano e un «brogliaccio» pieno di barzellette da leggere per ingannare l'attesa. Sono storielle popolate da naufraghi e cannibali, carabinieri e politici, scienziati e filosofi, preti, suore, ebrei e musulmani, mariti e mogli impegnati nell'eterna lotta tra i due sessi, e ancora animali, suocere, amanti. Storie che non appartengono a nessuno, ma sono a disposizione di tutti. Ci dicono cosa siamo diventati, ci consentono di scavare nel torbido senza diventare persone torbide. E, soprattutto, fanno letteralmente morire dal ridere.
Chi è Max Fox? Chi è il trentenne ex allievo carabiniere, provinciale ambizioso nell'Italia berlusconiana, che strizza l'occhio all'idolo cinematografico della sua adolescenza - al Bud Fox arrampicatore di borsa in Wall Street - quando deve scegliere un contatto Skype per presentarsi nel mondo del terzo millennio? E perché questo figlio unico di due ligi funzionari comunisti somiglia piuttosto a un (dubbio) eroe ottocentesco, al Julien Sorel di Stendhal? Perché il suo sogno di «arrivare» lo rende disponibile a qualunque compromesso, con la destra o con la sinistra, con i chierici o con i laici, con la verità o con la menzogna, con gli onesti o con i disonesti? È quanto si domanda Sergio Luzzatto, lo storico che proprio su Skype accetta di intrecciare con Max Fox - con l'eroe ormai caduto - una sorprendente liaison dangereuse. Pericolosa, così come pericolose si sono rivelate, nel tempo, un po' tutte le relazioni di Massimo De Caro. Il pigro studente universitario che diventa, da giovanissimo, il portaborse di un senatore dell'Ulivo. Lo spavaldo mercante di libri che mette le mani su inestimabili tesori della Biblioteca Apostolica. L'astuto falsario che si fa beffe degli accademici del mondo intero fabbricando dal nulla, con lo scanner, un'opera di Galileo meravigliosamente unica nel suo genere. Il manager non laureato che fa carriera, nel settore delle energie rinnovabili, per conto di un elusivo oligarca russo. Il predatore di libri antichi che svaligia pubbliche biblioteche, ai quattro angoli del Belpaese. Ma ad attirare Luzzatto verso la relazione pericolosa non sono unicamente le varie, sconcertanti incarnazioni di un fenomenale Zelig del nostro tempo. Ad attirarlo è anche l'ombra dispettosa che qualunque storia del presente finisce per gettare sulla storia del passato, è la vertigine che lo storico prova quando si misura con il lato oscuro del suo mestiere.
«Il malinteso», così Carlo e Margherita chiamano il dubbio che ha incrinato la superficie del loro matrimonio. Carlo è stato visto nel bagno dell'università insieme a una studentessa: «si è sentita male, l'ho soccorsa», racconta al rettore, ai colleghi, alla moglie, e Sofia conferma la sua versione. Margherita e Carlo non sono una coppia in crisi, la loro intesa è tenace, la confidenza il gioco pericoloso tra le lenzuola. Le parole fra loro ardono ancora, così come i gesti. Si definirebbero felici. Ma quel presunto tradimento per lui si trasforma in un'ossessione, e diventa un alibi potente per le fantasie di sua moglie. La verità è che Sofia ha la giovinezza, la libertà, e forse anche il talento che Carlo insegue per sé. Lui vorrebbe scrivere, non ci è mai riuscito, e il posto da professore l'ha ottenuto grazie all'influenza del padre. La porta dell'ambizione, invece, Margherita l'ha chiusa scambiando la carriera di architetto con la stabilità di un'agenzia immobiliare. Per lei tutto si complica una mattina qualunque, durante una seduta di fisioterapia. Andrea è la leggerezza che la distoglie dai suoi progetti familiari e che innesca l'interrogativo di questa storia: se siamo fedeli a noi stessi quanto siamo infedeli agli altri? La risposta si insinua nella forza quieta dei legami, tenuti insieme in queste pagine da Anna, la madre di Margherita, il faro illuminante del romanzo, uno di quei personaggi capaci di trasmettere il senso dell'esistenza. In una Milano vivissima, tra le vecchie vie raccontate da Buzzati e i nuovi grattacieli che tagliano l'orizzonte, e una Rimini in cui sopravvive il sentimento poetico dei nostri tempi, il racconto si fa talmente intimo da non lasciare scampo.
Predomina ancora una visione del periodo dell'Umanesimo che ne esalta, da un lato, i valori estetico-artistici, e tende a ridurne, dall'altro, il pensiero a elementi retorico-filologici. Massimo Cacciari ci fa capire come le cose siano più complesse e meno schematiche, e come la stessa filologia umanistica vada in realtà inserita in un progetto culturale più ampio nel quale l'attenzione al passato è complementare alla riflessione sul futuro, mondano e ultramondano. Dunque una filologia che è intimamente filosofia e teologia. E i nodi filosofici affrontati dagli umanisti (che in quest'ottica non iniziano con Petrarca o con i padovani, ma con lo stesso Dante) sono difficilmente ascrivibili a sistemi armonici o pacificanti, secondo una visione tradizionale del Rinascimento. C'è un nucleo tragico del pensiero umanistico, fortemente «anti-dialettico», in cui le polarità opposte non si armonizzano né vengono sintetizzate.
L'ora d'arte, che in tanti vorrebbero cancellare dai programmi scolastici, dovrebbe invece essere la più importante di tutte. Perché l'ora d'arte serve a diventare cittadini, a divertirci e commuoverci. Serve a imparare un alfabeto di conoscenze ed emozioni essenziali per abitare questo nostro mondo restando umani. Dalle mura degli etruschi ai writers contemporanei, passando per Michelangelo, Raffaello, Velézquez e Goya, Tomaso Montanari dà voce a quadri, sculture e graffiti e ci racconta così il fondamentale ruolo civile che, oggi più che mai, la bellezza è chiamata a ricoprire. Nelle sue parole, rigorose e coinvolgenti, la storia dell'arte non assomiglia al manuale dei grandi nomi che dobbiamo venerare «perché sì», ma è l'impasto delle nostre vite quotidiane. In queste pagine Giuseppe regge Gesù appena nato, in uno schizzo del Guercino, non come fosse un santo ma con l'imbarazzo e la paura di un qualunque goffo neopapà. Paolo III ritratto da Tiziano perde la sua imponenza, rivelandoci tutto l'orrore che da sempre si accompagna al potere. E in uno sguardo colto da Botticelli ritroviamo l'infinita malinconia che si portano dietro i migranti, costretti a fuggire e privati ovunque della libertà.