
"La bizzarria si scosta dalla consuetudine. L'imbizzarrito è uno sconosciuto capitato per sbaglio a una festa di nozze. Cosi furono i profeti della scrittura sacra. Abramo si sradica da casa, patria, affari, raggiunto da una voce a lui solo rivolta. È un ordine: "Vai vattene", lo avvia a un vagabondaggio senza fine. Per singolare sigillo dell'intesa si circoncide il prepuzio, da se stesso. Non per mutilazione, ma in segno di apertura. Poi salirà su un monte per scannare suo figlio, dietro richiesta assurda. Poi si farà fermare a coltello sguainato sulla gola. È raffica di mosse infervorate dall'obbedienza alla voce. Abramo è banderuola di una sola brezza. Per molto meno di un ascolto simile, dei poeti, variante minore di profeti, Hölderlin, Walser, si avvitarono in un silenzio impenetrabile, nella tenuta stagna di un isolamento. Sentivano le voci, un parlottio di sala da teatro prima dell'alzata del sipario. Nelle pagine di questa sezione si narrano comportamenti sgangherati ma provvisti di giustifica sacra. "Navigare es preciso", dicono i Portoghesi, dove "preciso" sta per obbligatorio. Cosi è la bizzarria della provvidenza, la deviazione urgente di un singolo diventa apripista del percorso di tutti gli altri. Gli imbizzarriti di queste pagine sono esploratori." (Dalla premessa)
"Guadalupe Nettel racconta la bambina che è diventata nascendo con un neo bianco sulla cornea. Nella Città del Messico degli anni Settanta subisce il disagio delle cure e assiste impotente alla disgregazione della famiglia, al crollo delle poche certezze che pensava di avere. Mentre aspetta l'operazione all'occhio, gioca a calcio e sale sugli alberi, guarda di nascosto e si costruisce il suo mondo, costretta ad arrendersi alle necessità di un corpo che cresce e sabota ogni conquista. Fino a quando deve lasciare anche l'ambiente progressista messicano di cui ha faticosamente preso le misure per trasferirsi nella periferia francese. Allora, per consolarsi con altre anomalie, ripensa a Gregor Samsa, ai trilobiti dell'era paleozoica, scrive racconti raccapriccianti e clamorosi, si ribella appena può, e sopravvive agli echi del Messico lontano, all'occhio di sempre e alle scoperte che ingoiano ingenuità e innocenza. Tutto prima che finisca l'attesa, prima di arrivare a raccontare in un romanzo, senza leziosità e senza lezioni, come in una seduta psicanalitica in cui le domande fluttuano senza risposte e spazzano la necessità della decenza, il percorso che l'ha portata ad abitare il corpo in cui è nata. Come un dovere che corona la battaglia, con uno sguardo che illumina di tragedia e di ironia i momenti lievi e le rivelazioni inconfessabili. Dando loro una forma." (Federica Niola)
Negli ultimi decenni il mondo è cambiato a una velocità spaventosa, la globalizzazione ha modificato a fondo non solo i paradigmi economici, ma anche quelli culturali. Al mutamento della società, segue la necessità di mutamento nelle istituzioni: prima fra tutte, il diritto. Ma come si sta adeguando, se si sta adeguando, il sistema giuridico italiano al tessuto sociale multietnico del nostro paese? Quanto peso può avere il retaggio culturale nella configurazione di un reato? Gianaria e Mittone provano ad affrontare il problema sostituendo all'analisi sociologica, che troppo spesso rischia di arenarsi nella retorica, uno sguardo tecnico. Il risultato è illuminante. Partendo da casi concreti, gli autori esaminano una questione che, se in Italia ha un precedente nelle differenze culturali tra nord e sud, ha oggi raggiunto dimensioni e implicazioni impreviste.
Le case hanno spesso due radici, quelle più scure, salde, terragne delle cantine e quelle aeree, chiare, ricche di ragnatele e di passato dei solai. Entrambe sono patrimonio imprescindibile degli uomini e li ancorano alla vita. Colmi di queste due anime (una più terrena e l'altra più celeste) sono anche gli scritti dell'autrice e le sue riflessioni. Natura e anima scorrono infatti perfettamente insieme nelle parole di Adriana Zarri e possiedono ciascuna un proprio luogo e una propria voce. Anche semplicemente per questo motivo i suoi scritti non smettono mai di parlare a tutti, credenti e non credenti, giovani e meno giovani, a chi ama l'impegno e la lotta e a chi preferisce invece la contemplazione e il silenzio. In questi inediti ricordi di vita, recuperati da articoli, carte personali e pagine autobiografiche, ritroviamo i toni e i protagonisti di "Un eremo non è un guscio di lumaca". I luoghi del mondo e dell'anima: il solaio, il giardino, l'orto, il vecchio mulino dell'infanzia, la cappella. Gli animali: gli immancabili gatti, i cavalli, ma anche i topi, la tigre e il lupo. I fiori: i tulipani, i bucaneve insieme agli ortaggi e alle verdure. Pagina dopo pagina si disegna la scoperta di una scelta di vita, di contemplazione ed eremitaggio, che mai comunque abdica alla lotta e all'impegno. Adriana Zarri era infatti capace di riflessioni teologiche pregnanti e profonde come di massime veloci e ironiche.
La globalizzazione ha rimesso in primo piano il globo, cioè la Terra, come se, ormai stanco, Atlante fosse fuggito abbandonandolo fluttuante nello spazio. Alla sicurezza stanziale garantita dallo Stato si è sostituita l'infinita mobilità di conoscenze, capitali, merci e persone. Una mobilità non soltanto fisica ma anche cognitiva: riferita cioè allo stato del pianeta e al rapporto fra natura e razionalità tecnica, ma pure alla forma trans-locale, trans-nazionale dei saperi, della conoscenza, dei processi istituzionali necessari a fronteggiare la crisi profonda che si è aperta. L'attuale dimensione globale del mondo impone un nuovo orientamento nel pensiero. Parafrasando Cocteau, è come se il Minotauro avesse inghiottito il labirinto. "Terra mobile" parte da qui, proponendo al lettore un nuovo approccio al tema dello spazio non solo da parte delle discipline territoriali ma anche del pensiero giuridico, che vede lo spazio sfuggire alla tradizionale dimensione regolativa nazionale e internazionale, del pensiero sociologico che ha sin qui ragionato per strutture sociali endogene, del pensiero filosofico, geografico, storico e antropologico. "Terra mobile" è un atlante per pensare e agire dentro l'attuale, confusa transizione globale, coniugando pluralità di punti di vista e unità di obiettivi, e si avvale dei contributi di sociologi, filosofi, geografi, giuristi e storici.
Negli ultimi dieci anni Valerio Magrelli ha raccolto, su foglietti sparsi, appunti riguardanti il padre. Quando quest'ultimo muore, quei documenti diventano un materiale prezioso, "il bandolo canoro di un'infinita matassa di storie": i viaggi in auto d'estate in giro per l'Italia; le avventure d'amore e morte durante la guerra; i desolati pomeriggi che l'uomo ormai maturo trascorre spingendo il genitore sul girello; il giorno in cui il figlio, armato di forbici, libera l'anziano febbricitante dal bozzolo del maglione; lo stupore di riconoscere, davanti allo specchio, un'espressione del viso che gli restituisce la ferrea legge dei vincoli genetici; gli abbracci, le risse, l'amore per Borromini o i folli scatti di rabbia. Diviso in 83 capitoli (numero che corrisponde agli anni vissuti dal protagonista), il libro scava fra ricordi e storia patria, mentre la biografia sfuma nella paleontologia, se non nella geologia... L'enigmaticità di questo iroso anti-eroe, e insieme la sua lontananza, suggeriscono infatti una possibile identificazione con i resti umani di origine preistorica trovati in Ciociaria, a Pofi, suo paese d'origine. Cosi narrando, Magrelli, orfano ad honorem e padre a sua volta, procrastina il congedo definitivo grazie al racconto, e non desiste, ma si maschera, fugge, scegliendo la digressione per scendere ancora più in profondità nella vita del capostipite, e mostrarne, oltre alle virtù, anche quei difetti che lo rendevano "un vecchio esacerbato e vulnerabile".
In questa raccolta la Munro conferma le sue qualità narrandoci una manciata di esistenze dove avvenimenti inattesi o particolari dimenticati modificano il corso delle cose. Una cameriera dai capelli rossi, nuova arrivata in una vecchia dimora, viene per caso coinvolta nello scherzo di una ragazzina. Una studentessa universitaria si reca per la prima volta in visita a un'anziana zia e, riconoscendo un mobile di famiglia, scopre un segreto di cui non era a conoscenza. Una paziente giovane e in fin di vita trova un'inaspettata speranza di proiettarsi nel futuro. Una donna ricorda un amore brevissimo e che tuttavia ha modificato per sempre il suo vivere.
Due testi e molti misteri. Il "Romanzo della Rosa" è costituito da due parti scritte da autori diversi a distanza di una quarantina di anni. Due parti molto diverse e la seconda sembra essere la palinodia della prima. I dubbi sull'identità degli autori, su eventuali interpolazioni di Jean de Meun nella prima parte, sul senso del poema come opera complessiva sono ripercorsi nell'introduzione di Mariantonia Liborio. Quello che sembra sicuro è che il "collage" dei due testi mostra come in quel mezzo secolo di iato fra la prima e la seconda metà del XIII secolo fossero profondamente cambiati i modelli culturali: dagli ideali e dalle forme letterarie cortesi del Roman di Guillaume de Lorris all'approccio filosofico-enciclopedico di Jean de Meun. E un passaggio che si verifica, in forme diverse, anche nella letteratura del sì fra i poeti siciliani e Dante. È dunque importante rileggere il "Romanzo della Rosa" nella sua diversificata completezza. Al di là dei problemi filologici e narratologici, il poema è davvero uno dei fondamenti della cultura europea: una rilettura dell'ars amandi ovidiana che diventa una fenomenologia della conquista amorosa e del desiderio; una perfetta compenetrazione di allegoria e narrazione che anticipa la Commedia dantesca.
Centosessant'anni di storia del capitalismo vengono squadernati in un continuo saltare fra terzietà saggistiche, flussi romanzeschi, narrazioni di incubi e vaneggiamenti, il tutto punteggiato da isole realistiche in cui l'improvviso andamento da sceneggiatura filmica è inframmezzato di continuo dal commento in contrappunto di un ignoto narratore onnisciente [...] È questo congegno, ambizioso e riuscito, di continua osmosi fra dentro e fuori, a farmi avvicinare 'Lehman Trilogy' ai fluviali atti di 'Strano interludio' di Eugene O'Neill, ed è notevole che questa ardita soluzione drammaturgica mantenga la sua vigorosa efficacia nel corso di un trittico quasi wagneriano, dove l'Oro del Reno di un'Alabama negriera giungerà, inevitabile, al Crepuscolo dei divini indici di Wall Street." (Dalla prefazione di Luca Ronconi)
Tra le innumerevoli domande formulate dai matematici, alcune si distinguono dal resto come picchi prominenti che torreggiano su collinette più basse. Sono queste quelle veramente importanti, i problemi difficili e stimolanti che qualsiasi matematico darebbe un braccio per risolvere. Alcuni sono rimasti senza risposta per decenni, altri per secoli o addirittura millenni, e di alcuni non conosciamo tuttora la soluzione. "I grandi problemi della matematica" contiene una scelta di quesiti fondamentali che hanno guidato l'attività matematica in direzioni radicalmente nuove. Ne descrive le origini, spiega perché sono fondamentali e li mostra nel contesto della matematica e delle scienze nel loro complesso. Comprende problemi risolti e irrisolti, che spaziano per più di due millenni di sviluppo matematico, ma si concentra soprattutto su questioni tuttora aperte o che sono state risolte negli ultimi cinquanta anni. Ian Stewart ci guida in questo mondo misterioso ed emozionante, facendoci capire che cosa fanno i matematici, come ragionano e perché la loro disciplina è cosi interessante e importante. Soprattutto ci mostra come i matematici di oggi raccolgano le sfide poste dai loro predecessori, e come uno dopo l'altro i grandi enigmi del passato si arrendano di fronte alle potenti tecniche del presente, che cambiano la matematica e le altre scienze del futuro.