
Se dico legge, molto probabilmente tu pensi subito a una legge scritta, farraginosa e complicata. Qui non parlo di queste leggi, ma delle leggi morali, cioè di tutti quei tipi di giudizi sapienziali che mettono ordine nel nostro agire.
Le leggi morali sono leggi di libertà: ci emancipano dal mero determinismo delle leggi bio-fisiche e metafisiche, non si pongono a noi come queste ultime, cioè come ineluttabile necessità, ma essendo giudizi della ragione illuminano conoscitivamente la nostra intelligenza ed essendo doverose inclinano la nostra volontà verso la scelta retta. Educano così la volontà a superare il timore, la soggezione o la costrizione. Ed essendo ordinamenti sapienziali ci notificano l’amabilità del fine e quindi ci educano alla virtù, in particolare all’amore di carità.
Che rapporto c’è tra tutte quelle realtà che noi chiamiamo legge? E tra tutte queste e la sapienza? Perché più insisti sulla legalità e più aumentano gli abusi e il disagio sociale? Un altro paradosso moderno sembra essere costituito dalla moltiplicazione delle dichiarazioni solenni dei diritti umani e contemporaneamente dalla più palese e planetaria violazione di essi: come si è reso possibile? La legge, o meglio la sovrapproduzione legislativa diventa fonte di anarchia? Perché nella tradizione che fa capo all’evangelista Giovanni non si parla mai di legge, e sempre in termini di “comandamento nuovo”? In cosa consiste questa novità?
Molti sono convinti che la carità sia il fare l’elemosina, oppure consista nell’altruismo o nella solidarietà.
Per sapere davvero cos’è la carità, occorre andare alle fonti: alla rivelazione biblica. Scopriamo così che essa è anzitutto l’identità stessa di Dio: Dio è amore (1 Gv 4,8), letteralmente agape. Essa è poi l’amore con cui Dio ci ama e che rende noi capaci di amare lui e il prossimo: Poiché io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri (Gv 15,12). Donando a noi la carità, Dio ci fa partecipi della sua stessa potenza di amore, elevando la nostra volontà e rendendo noi capaci di amare realmente nel modo in cui lui ama.
Vivere questa virtù teologale, con le sue manifestazioni di gioia, benevolenza, elemosina, servizio e apostolato, sembra quindi l’unico modo ragionevole di corrispondere a quell’amore così grande che abbiamo ricevuto.
L’aspetto originale di queste pagine è tentare di fondare la teologia morale sulla teologia dogmatica: la virtù della carità sulla teologia trinitaria e delle missioni divine, e presentare la sequela di Cristo come divinizzazione della persona umana.
Prima di partire per l'India nel 1939, dove divenne un pioniere dell'incontro del cristianesimo con l'induismo, padre Jules Monchanin (1895-1957), fu uno dei principali promotori del rinnovamento teologico, apprezzato da teologi del calibro di Henri de Lubac e Edouard Duperray. Questa che presentiamo è la prima monografia sistematica dell'originale pensiero di Monchanin, incentrato intorno al concetto di co-esse. Riprende il classico tema dell'uno e del molteplice e lo applica alla circumincessione delle Persone divine: pensare l'unità dell'unità divina increata come comunione ipostatica (co-esse) allo scopo di costruire una "sinontologia" trinitaria. Poi, prendendo in considerazione il co-esse come ricapitolazione finale di tutta la creazione nel Pleroma del Cristo risorto, sviluppa un'ampia escatologia sociale nella quale vede già la realizzazione nella cattolicità della Chiesa. Infine, sulla base di questo pensiero sulla comunione, si confronta con la tradizioni spirituali dell'India - particolarmente la non-dualità di Shankara - per tracciare i contorni di una teologia cristiana di ispirazione indiana che dia seguito alla richiesta di apofatismo di questa cultura senza per questo spezzare l'insormontabile novità del Dio rivelato che è Uno unicamente in quanto comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito, e che chiama ogni essere a partecipare al ritmo del loro eterno amore. È per questa instancabile meditazione trinitaria che Jules Monchanin fu un notevole passatore tra Occidente e Oriente e un insigne testimone della grande tradizione mistica del cristianesimo. Prefazione del cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede.
Le fonti e la documentazione (letteraria, agiografica, omiletica, didascalica, artistica) dei primi secoli (XIII-XV) dell'Ordine dei Predicatori si riferiscono continuamente al monachesimo primitivo e in modo particolare ai padri del deserto e a Cassiano. Questo riferimento, costante nella storia dei Domenicani dalle origini fino al Quattrocento, è servito anche per veicolare un modello di austera vita religiosa per il frate predicatore e per richiamare alla compostezza della vita cristiana quei fedeli che gremivano le chiese dei Mendicanti. L'Ordine Domenicano, caratterizzato da evidenti novità istituzionali, culturali e pastorali, ha subito il fascino e avvertito il bisogno di ancorare l'immagine del nuovo religioso (= il frate predicatore) a quella antica, mai venuta meno, del monaco del deserto. Il nucleo del volume consiste nell'edizione di un volgarizzamento trecentesco - finora inedito - del De Institutis coenobiorum di Giovanni Cassiano, conservato nella Biblioteca Comunale di Siena (Ms. I. VI. 31).
Chi è stato l’autore del soggetto del primo film di Robert Bresson? Chi ha coniato il motto dei Giochi Olimpici contemporanei? Chi ha vinto il Premio Nobel nel 1958? Sembrerà straordinario ma in tutti casi la risposta è “un frate domenicano”. Per capire come questo sia possibile, Bedouelle e Quilici affrontano con stile piacevole e brioso la questione dell’identità domenicana.
Cosa fanno? Che differenza c’è tra un domenicano, un benedettino e un gesuita? I Domenicani sono contemplativi o apostolici? Come si diventa domenicano? Cosa ha dato alla Chiesa ed al mondo l’Ordine dei Predicatori durante i suoi otto secoli di vita?
A partire dal ritratto spirituale di san Domenico e dal suo carisma, Bedouelle e Quilici rispondono a queste e altre domande fondandosi sulla Sacra Scrittura e sulle tradizioni dell’Ordine, fino a giungere ad un “album di famiglia”, sintetico e di ampio respiro.
Fin dall’epoca carolingia – con Rabano Mauro e Alcuino di York – la Chiesa è intervenuta sulla formazione intellettuale dei sacerdoti e dei religiosi. Questo tema è stato approfondito dai Concili (Trento e Vaticano II). Decisivo è stato il contributo di papa Benedetto e di papa Francesco.
Questo testo è il primo nel suo genere: ripercorre l’attenzione che Frati Predicatori, i Domenicani, hanno avuto per la formazione intellettuale. Questa non è né un mero apprendimento di nozioni, né un esercizio accademico di dialettica o di retorica, né è destinata all’erudizione.
San Domenico ha considerato lo studio come il mezzo privilegiato per realizzare il fine della predicazione del Vangelo, anche sulla scorta di Gregorio Magno: «Così i libri sono le nostre armi, e senza i libri nessun frate potrebbe affrontare con successo la predicazione o l’ascolto delle confessioni». Padre Daniele Drago – sotto più punti di vista, storico, giuridico-canonico, ecclesiologico – descrive il ruolo di chi è deputato alla formazione spirituale, religiosa e umana dei giovani frati.
Daniele Drago - Daniele Drago è sacerdote domenicano, dottore in Giurisprudenza e Diritto canonico. Insegna materie giuridiche alla Facoltà di Teologia di Bologna e a Roma presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino in Urbe. È giudice presso il Tribunale ecclesiastico di Bologna e quello di Roma. È maestro dei frati novizi domenicani nel Convento di Santa Maria delle Grazie a Milano.
Quest'opera è il capolavoro dell'Aquinate. Non solo, infatti, ci troviamo di fronte ad un saggio di esegesi di primo livello, ma nel giro complessivo delle idee che costellano le argomentazioni ci imbattiamo in una straordinaria ricchezza di tesi filosofiche, che spaziano dalla metafisica alla teoria della conoscenza, dalla psicologia razionale alla logica e alla grammatica. L'esercizio interpretativo allegorico e mistico, sulla scia di Agostino, apre orizzonti interessantissimi alla simbologia e al nutrimento meditativo.
Nel quadro preciso del Quarto Vangelo, Tommaso ci dà anche un saggio di sintesi teologica straordinaria: non trascura nulla della profondità e della estensione del mistero cristiano.
A ben guardare, questa Lettura del Vangelo di Giovanni può rappresentare la vera Somma Teologica di Tommaso d'Aquino, non quella per i principianti, cioè i teologi in erba, ma le intelligenze che vogliono pascolare nel rigoglioso prato della Parola di Dio.
Quest’opera è il capolavoro dell’Aquinate.
Non solo, infatti, ci troviamo di fronte ad un saggio di esegesi di primo livello, ma nel giro complessivo delle idee che costellano le argomentazioni ci imbattiamo in una straordinaria ricchezza di tesi filosofiche, che spaziano dalla metafisica alla teoria della conoscenza, dalla psicologia razionale alla logica e alla grammatica. L’esercizio interpretativo allegorico e mistico, sulla scia di Agostino, apre orizzonti interessantissimi alla simbologia e al nutrimento meditativo.
Nel quadro preciso del Quarto Vangelo, Tommaso ci dà anche un saggio di sintesi teologica straordinaria: non trascura nulla della profondità e della estensione del mistero cristiano. A ben guardare, questa Lettura del Vangelo di Giovanni può rappresentare la vera Somma Teologica di Tommaso d’Aquino, non quella per i principianti, cioè i teologi in erba, ma per le intelligenze che vogliono pascolare nel rigoglioso prato della Parola di Dio.
A livello mondiale è la prima edizione con testo latino e traduzione italiana a fronte.
Arturo Testi ci apre uno scrigno, finora segreto. È stato il primo segretario del cardinale Giacomo Biffi e ora ci consegna i segreti della vita “in famiglia” – perché anche gli uomini pubblici hanno una vita privata – di Giacomo Biffi. Ci fa intravvedere il tesoro che contiene. Un tesoro fatto di piccole cose, abitudini semplici, schiettezza e solidità delle amicizie e dei sentimenti, serenità evangelica, rapporti umani senza formalità, e soprattutto ricco di umorismo.
Un piccolo mondo privato che avvalora la statura pubblica di Giacomo Biffi: ce la restituisce più vicina e ci rivela come la grandezza di una persona stia spesso nella sua semplicità e nel vedere le cose con un po’ ironia.
Il testo è ricchissimo di gustosi aneddoti che mettono in luce soprattutto l’umorismo di Biffi.
Vasco Rossi, Tommaso Moro, Michele Serra, Jovanotti e Giorgio Gaber, Chesterton, Biancaneve, Vittorio Messori, Kevin Kostner e Al Pacino, Papa Francesco, Joseph Ratzinger e Sant’Ignazio di Loyola, Satana, YouTube, il Vangelo, la filosofia e il cinema. Sono solo alcuni dei protagonisti di pagine intense, in cui sapienza antica e miti moderni si mescolano per farci scoprire che la modernità non è poi tanto moderna e che per ogni piaga, anche lancinante e modernissima, c’è un antidoto invincibile, una disarmante e consolante cura.
L’ansia, la pigrizia, la scelta, il confronto e la menzogna sono alcune delle sfide che questo raggiante quarantenne in abito scuro affronta con umiltà e pudore. Non dà ricette, non sale su un pulpito ma ragiona e si emoziona, parla di sé e della propria fragilità di uomo, si confronta con coraggio, ironia e passione ma senza cedimenti e concessioni al politicamente corretto. E propone l’unica visione, quella che illumina e rischiara, la sola che rende liberi dalla schiavitù di sentimenti labili e ideologie totalizzanti.
La discriminante per godere di questa lettura onesta e disincantata del presente, di questo lucido viaggio tra pulsioni e sentimenti di ogni tempo non è essere credenti. La discriminante è essere individui in cammino, uomini e donne in cerca della via e della verità. Prefazione di Costanza Miriano.