
La recente scoperta di un manoscritto ha permesso di ricostruire in versione integrale quattro importanti scritti di Galeno, qui presentati in traduzione italiana corredata di un ampio commento. Il primo, "L'ordine dei miei libri", propone un percorso sistematico di lettura dei trattati galenici, ed è anche il primo organico "piano di studi" in medicina nella storia della scienza occidentale. Il secondo, "I miei libri", racconta le circostanze in cui vennero composte le opere di Galeno, presentando uno straordinario spaccato della vita intellettuale romana. Il terzo, "Le mie opinioni", è un testamento dottrinale: l'ultimo importante documento del grande pensiero filosofico-scientifico classico poco prima della sua crisi. Il quarto, "L'imperturbabilità", è una testimonianza inedita della catastrofe prodotta nel patrimonio librario romano dall'incendio del 192, e illustra la forza d'animo con cui Galeno affrontò gli enormi danni subiti in quel frangente.
Un volume introduttivo a Filone di Alessandria, un ebreo vissuto in Egitto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., grande esegeta della Bibbia, letta alla luce di categorie filosofiche greche. Il suo lavoro di interpretazione può essere visto accanto a quello di autori medio-platonici che, in periodo coevo o di poco successivo, rielaborano il pensiero filosofico del IV secolo e utilizzano il commento testuale come strumento di indagine e di lettura della realtà.
In genere gli storici preferiscono ricostruire il passato sulla base di testi e documenti scritti, dati politici, economici o statistici, in alcuni casi testimonianze orali. Ma cosa sarebbe la storia del fascismo o dello stalinismo se non conoscessimo le immagini usate per la propaganda? Quale sarebbe il giudizio su conflitti recenti come il Vietnam senza le testimonianze lasciateci dai reporter di guerra? E risalendo più indietro nel tempo, come potremmo scrivere la storia della vita quotidiana o delle abitudini alimentari dei nostri antenati senza considerare le rappresentazioni visive che ci sono state tramandate? O una storia dell'Antico Egitto che prescinda dallo studio delle pitture tombali? Attraverso un affascinante excursus nei secoli, ricco di esempi tratti dalla storia antica e moderna, europea ed extraeuropea, Peter Burke dimostra come l'uso delle immagini possa arricchire in modo decisivo la nostra conoscenza del passato e del presente. Un ritratto, una statua, un'iscrizione, un arazzo - o più di recente una fotografia o un film - possono rappresentare "prove storiche al pari di quelle più tradizionali, e ci aiutano a comprendere meglio eventi e contesti a noi vicini o lontani.
L'argomento di questo libro è la scenografia e più in generale il "luogo teatrale" ovvero, con le parole di Jean Jacquot, quello spazio, talora edificio specializzato, in cui "dei testi letterari, il dramma, diventano composizione di gesti e movimenti su una scena, acquisendo un significato, divenendo fonte di giudizi e di emozioni". Il testo delinea una storia delle forme e delle teorie dello spazio scenico nello spettacolo attraverso gli snodi essenziali, con una metodologia che si avvale, oltre che dei tradizionali riferimenti bibliografici e iconografici, del continuo ausilio di documenti, testimonianze e trattati imprescindibili e di rimandi a siti internet che suggeriscono un'integrazione fra libro e web. La nuova edizione, più estesa e completa, include i teatri d'Asia e due ampi capitoli sulla storia dell'arte scenografica italiana nell'ultimo secolo.
Crisi della democrazia; inadeguatezza dei partiti, delle rappresentanze e delle élites nella risposta alle sfide della globalizzazione; una classe media sempre più frammentata ed esposta, non solo in Italia ma anche in Europa, a derive populiste che alimentano formazioni euroscettiche e, in alcuni casi, anche xenofobe. Sembra essere questa la fotografia della realtà politica contemporanea, ma la crisi viene da lontano. Il pensatore spagnolo J. Ortega y Gasset, già agli inizi del Novecento, in un testo significativo, e che conferma tutta la sua attualità, dal titolo "Democrazia morbosa", aveva individuato le patologie dell'uomo massa e della nascente democrazia. La crisi dell'uomo medio, il degrado e la svalutazione della cultura appaiono segni distintivi della nuova democrazia post-ideologica moderna. Entro tale contesto partiti in forte crisi di rappresentanza, in alcuni casi, cercano pericolose scorciatoie in un uso strumentale del termine popolo. Il risentimento per la mancata rappresentanza delle giuste istanze dei cittadini può provocare rabbia e frustrazione con risultati potenzialmente destabilizzanti per le stesse istituzioni democratiche. Occorre perciò promuovere un'Europa solidale, con un welfare rinnovato, che renda protagonisti i cittadini e non le masse. Prefazione di Stefano Ceccanti.
Secondogenita di Filippo II di Spagna e di Elisabetta di Valois, l'Infanta Caterina Micaela (1567-1597) sposò Carlo Emanuele i nel 1585 e fu duchessa di Savoia fino alla morte. Il volume indaga le molteplici sfaccettature della sua persona e del fortunato e prolifico matrimonio di cui fu protagonista. A fronte dell'importanza tradizionalmente riconosciuta alla sorella Isabella Clara Eugenia, infatti, Caterina è meno nota e la sua immagine è stata di solito ricondotta alla severità dell'etichetta spagnola che introdusse alla corte di Torino. Osservata attraverso fonti finora poco frequentate e da studiosi spagnoli e italiani, appare qui invece in tutta la sua complessa statura di figlia di re e di duchessa abile al governo, nel quadro degli intensi rapporti che intercorsero tra il Piemonte e il sistema degli "Austrias" nella seconda metà del Cinquecento. Scanditi dalle tappe della sua vita biologica e dinastica, i capitoli del libro affrontano tre aspetti: la sua condizione di figlia e apprendista del "Rey prudente"; gli anni della permanenza a Torino e la fitta trama di relazioni intessuta con il padre, il marito, la sorella, gli ufficiali sabaudi e gli artisti di corte; e infine l'impronta conferita da Caterina alla struttura della Casa, alla politica estera del Ducato di Savoia e all'educazione dei figli e delle figlie, alcuni dei quali furono personaggi chiave delle vicende italiane ed europee del Seicento.
Un omaggio al genio e alla creatività degli italiani, ma soprattutto un'occasione unica per ripercorrere un secolo e mezzo di campagne pubblicitarie create e diffuse nel nostro paese. Dal lontano 1863, quando il farmacista Attilio Manzoni ebbe l'idea di fondare la prima concessionaria italiana di spazi pubblicitari - A. Manzoni & C. -, fino agli esempi più recenti. Una storia, quella della pubblicità italiana, che s'intreccia inevitabilmente con l'evoluzione dei costumi, del gusto e delle correnti artistiche del momento e che Vanni Codeluppi ricostruisce in questo libro - da leggere e da sfogliare - attraverso oltre cento immagini interamente a colori.
Riproposti alla cultura internazionale nel 1831 da una celebre edizione di Angelo Mai, i tre scrittori noti come Mitografi vaticani rappresentano ciascuno con la stesura di un fabularius di leggende sugli dèi ed eroi dell'antichità greco-latina - una testimonianza insostituibile sulle credenze del pantheon religioso pagano. Indagini recenti hanno collocato gli Autori delle sillogi in epoca medievale (tra il IX e il XIII secolo) suggerendo, almeno per il terzo Mitografo, una possibile paternità: si tratti di Alberico di Londra (XII sec.) o di Alessandro di Neckam (m. 1217). L'antologia di testi presentata comprende cento fabulae dei Mitografi in prima traduzione italiana, essenziali per comprendere come il Medioevo recuperasse il volto leggendario dell'antichità reinterpretandolo in chiave allegorica. L'importanza delle fabulae, accettate e discusse da un pubblico di dotti ed artisti, risiede anche nel fatto che divennero il referente figurativo per le divinità dell'Olimpo classico dall'età del Gotico fino a Petrarca, Boccaccio e l'Umanesimo.
A partire dal secolo XIII si moltiplicano in tutta Europa narrazioni che accusano gli ebrei dei crimini più efferati contro la cristianità: crocifissioni di innocenti, assassini, cannibalismo rituale. Fra queste chimere, e in concomitanza con la crescente importanza attribuita al sacramento eucaristico culminante con l'istituzione della festività del Corpus Domini, compare e si diffonde rapidamente quella di furto e sacrilegio ai danni dell'ostia consacrata. Un evento miracoloso fa sì che, scoperti, i colpevoli siano puniti con la tortura e il rogo. Di tale fantasia persecutoria compaiono più tardi alcune trasposizioni sceniche: nell'Inghilterra centro-orientale della seconda metà del secolo XV, l'anonimo "miracle play" in volgare medioinglese "La conversione di Ser Jonathas Giudeo" - noto anche come "The Play of the Sacrament" - si distingue dalle analoghe rappresentazioni teatrali francese e italiana, oltre che per la presenza di un intermezzo farsesco, per un tono meno marcatamente virulento nei confronti degli ebrei e perché restituisce alla vicenda, in luogo della conclusione sanguinaria, quella edificante della conversione che caratterizzava le più antiche cronache e narrazioni.
Come alcune intuizioni classiche anticipano, fra senso del limite, libertà e legittimazione di comportamenti individuali e collettivi c'è un rapporto stringente. Ciò conduce a ritenere che il vero ostacolo alla realizzazione del mondo comune risiede nell'interdizione progressiva della cultura del limite dai contesti di vita. Nello scenario odierno la questione è di ampia portata e si presenta con forme contraddittorie. Processi di globalizzazione e tendenze tardomoderne da una parte vanno nella direzione dell'illimitato e dall'altra procedono a ristabilire quei confini che dichiarano di voler abbattere, attraverso canalizzazioni che alimentano vie di fuga, nuovi eccessi ma anche miopie verso il problema. In un'epoca che ha voluto circoscrivere la socialità in perimetri funzionali alla gestione della complessità sociale, l'umanità rischia infatti non solo lo smarrimento del senso del limite ma anche una deriva delle proprie capacità critiche. Partendo da queste considerazioni, il volume intende recuperare il significato sociologico del limite attraverso le interpretazioni che più esplicitamente lo hanno introdotto per cogliere gli aspetti più controversi della modernità e ancor più di alcune sue declinazioni. Può essere questa una strada per riconsegnare alla sociologia l'impiego di concetti e semantiche utili ad analizzare criticamente il mondo in cui viviamo.

