
Discussa, criticata, attaccata, difesa tenacemente, in crisi da decenni, spesso data per morta, ma sempre pronta a risorgere. Oggi più che mai, la famiglia è al centro di accese discussioni, tra chi la vorrebbe ancora rigida nella sua costellazione tradizionale e chi, pur riconoscendone il valore cardine nella società contemporanea, la vorrebbe invece flessibile e aperta. Salvador Minuchin, dopo mezzo secolo di pratica militante come terapeuta familiare, in questo volume insegna che il principale nemico del sistema-famiglia non è tanto il suo "allargamento" (solo uno dei suoi molti aspetti), ma al contrario, proprio la cristallizzazione dei ruoli, che porta al fallimento del nucleo in ben il sessanta per cento dei casi. Se le famiglie hanno molte forme e la strada che attraversa il cambiamento non è mai tracciata una volta per tutte, Salvador Minuchin cerca di fornire una mappa che aiuti a capire meglio quest'avventura in continuo divenire. Dall'alto della loro esperienza, Minuchin e colleghi mettono a fuoco le dinamiche familiari con semplicità. Grazie a un'esposizione limpida ed empatica consentono al lettore di toccare con mano alleanze, complicità, conflitti, insomma tutta la costellazione di sentimenti che uniscono (o disgregano) le famiglie.
Questo libro e il film che ne è stato tratto, sono l'avventura di un quadrato: ci riguarda tutti però. Una forma geometrica ben nota sin dai tempi dell'antica Grecia, descritta da Euclide, una forma semplice, che cavalca la storia delle civiltà sino ad arrivare alle soglie del XX secolo. Ed entrare come protagonista dell'arte, del design dei nostri tempi. Perché, come ha scritto Bruno Munari, "il quadrato non ha stili", funziona sempre. Quadrato è il protagonista di questo libro di Abbott intitolato Flatlandia (II mondo piatto) scritto nel 1884. Un'avventura alla scoperta della terza dimensione, lasciando il paese piatto delle origini, sino a sognare, immaginare la quarta dimensione e dimensioni ancora più alte, che diventeranno visibili grazie ai matematici in quegli stessi anni. Un'avventura che parla di geometria, di nuovi mondi, di creatività e fantasia, di libertà. Una storia molto attuale, in cui hanno spazio anche i diversi, i geometricamente diversi, ovviamente. Che turbano e creano scompiglio nel regno della regolarità.
Un comandante partigiano polacco, appartenente alle formazioni non comuniste, e per questo rinchiuso dopo la guerra in prigione e condannato a morte, condivise per 255 giorni (dal 2 marzo all'I 1 novembre 1949) la cella con uno dei più efferati carnefici nazisti: il generale delle SS Jürgen Stroop, organizzatore dello sterminio di 550 ooo ebrei galiziani e di 71 000 prigionieri del ghetto di Varsavia. "Semplici e sincere sono le confessioni degli incarcerati dinanzi all'inevitabile", nota Moczarski ricordando che Stroop, si abbandonò, giorno dopo giorno, a un racconto dettaglialo della sua storia personale e delle sue "azioni di guerra". Stroop fu giustiziato il 6 marzo 1952, mentre Moczarski fu liberato e riabilitato il 24 giugno 1956. Dedicò il resto della sua vita a scrivere questo libro. Ia sua eccezionale memoria di giornalista e cospiratore gli permise di ricostruire quelle conversazioni con il carnefice nazista. disponendo il materiale in ordine cronologico e verificando, tramite ricerche d'archivio, l'esattezza di ogni informazione fornitagli dal suo interlocutore.
Un po' stropicciato dall'eccesso di manomissione mediatica, talora fatto oggetto di sintesi affrettate e semplificatrici, l'Illuminismo storico oggi appare sbiadito. Tuttavia, mentre conoscono una crescente fortuna divulgativa e polemica, e riecheggiano anche nel tormentato preambolo al progetto di Costituzione europea, le idee che presero forma in quei decenni cruciali per la civiltà occidentale assumono un nuovo profilo grazie agli ultimi studi specialistici. Un'intera costellazione di princìpi-guida si rivela tanto più duttile e attuale quanto più ne vengono indagate le linee di frattura, le affinità e le dissonanze, al di là degli appiattimenti ideologici di comodo. Il lemmario, ordinatore illuministico per eccellenza, torna a essere lo strumento che meglio si adatta a tali ricognizioni; oltre a costituire il criterio costruttivo di quest'opera collettiva, a cui hanno messo mano settecentisti di diversa competenza disciplinare, consente di sfatare usurate mitologie. Coppie concettuali, oppositive o asimmetriche, ridisegnano qui la trama delle idee di un secolo, dal dominio filosofico (ateismo e religione naturale, corpo e mente, critica e libero pensiero, piacere e dolore, ragione e senso comune) all'orizzonte storico-politico (cittadinanza e diritti dell'uomo, diritti e doveri dell'uomo, guerra e pace, monarchia e repubblica, pubblico e segreto, radicalismo e conservazione) all'antropologia della vita associata (amor proprio e virtù sociale, civile e selvaggio).
Le lezioni di "Storia e filosofia dell'analisi infinitesimale" furono tenute da Ludovico Geymonat dal 1946 al 1949 per il corso di Storia delle matematiche all'Università di Torino e non sono mai state ristampate. Sono invece un documento importante per la valutazione dello sviluppo del pensiero di Geymonat: rappresentano il momento in cui - dopo il soggiorno in Germania prima della guerra, e dopo la guerra e la resistenza - Geymonat, nel tornare agli studi, si orienta decisamente alla matematica. Nell'esposizione si riconosce in atto il principio ispiratore del successivo percorso di riflessione di Geymonat, convinto che la disposizione della filosofia nei confronti della scienza debba essere quella di cogliere dall'interno del suo sviluppo effettivo gli aspetti di significato filosofico. Il testo di Geymonat, per quel che riguarda il periodo dell'Ottocento, riserva una rara e competente attenzione al movimento del rigore e alla nascita della teoria degli insiemi nell'alveo dell'analisi.
"In questo libro - spiega Mazzarino - si cerca, da una parte, di delineare una storia delle idee di "decadenza" e di "morte di Roma" com'esse furono intuite e svolte dal II secolo a. C. ai nostri giorni; dall'altra, di dare un'interpretazione moderna della rovina del mondo antico, attraverso la critica e la discussione delle varie soluzioni e ipotesi. Credo che, considerato in questo suo duplice aspetto, il tema della "morte di Roma" presenti un particolare interesse: sentiamo il bisogno così di percorrere il cammino delle idee di "decadenza" e "fine" del mondo antico, come di chiederci ancora, per nostro conto, quale spiegazione di quella "fine" appaia, all'uomo di oggi, necessaria e sufficiente".
"Kerényi ci presenta la mentalità mitica non come conoscenza del passato, come cronaca, ma facoltà creatrice che è anche nostra, presente, storia. Quando vede in certe dee greche la solarità (esse sono figlie o parenti del Sole), mette in chiaro una nostra capacità di vivere come un tutto cosmico un nostro incontro umano". Cesare Pavese. Károly Kerényi (1897-1973), ungherese di nascita, è stato uno tra i più illustri interpreti del pensiero mitologico e filosofico antico, e tra i più autorevoli storici delle religioni classiche.
A giudicare dalle macerie, si direbbe che la cometa sia già transitata. O forse il corpo celeste non smette di incombere sui destini umani con un presagio ancor più nefasto. In ogni caso, meglio lasciare ai creduli lo scrutinio del cielo, ed esercitare una scepsi tutta terrena, ripetendo il gesto intellettuale che compì oltre due secoli addietro Pierre Bayle nei "Pensieri diversi sulla cometa", incunabolo dell'Illuminismo venturo. L'oscurità dei tempi odierni è un neomorfismo che esige, per essere analizzato sino in fondo, la stessa mobilità di spirito, lo stesso raziocinio acrobatico, acutissimo e immune da basso furore, che condussero l'ugonotto a vedere chiaro nell'impostura. Se qualcuno oggi può raccoglierne il testimone, costui è Franco Cordero. La sua è una partitura per voce sola, senza alcun ingombro strumentale; è contraddistinta da un timbro discorsivo che non ha eguali: la riconosciamo subito mentre fulmina gli ultimi quattro anni di vicende nostrane - l'"impasto d'ilare e macabro" che ha ridotto il diritto a subcultura, la politica a signoria privata, il pensiero a funzione stereotipa - praticando magistralmente l'arte dell'analogia. L'attuale zona grigia tra legalità e delitto richiama archetipi malfamati e precedenti non così remoti: solo una dottrina che padroneggi insieme testi normativi, teologie millenarie, classici letterari ed estri della lingua sa svelarli, e con essi i fondi cupi del "morbo italico".
In questo libro, le definizioni di etica e laicità non sono poste - come spesso si intende - in un ruolo ancillare rispetto alle religioni, ma in una loro precisa autonomia, come vera e propria risorsa in grado di garantire il futuro spirituale dell'umanità. Una riflessione di grande acutezza e modernità sulla falsariga di quella filosofia della concretezza che ha caratterizzato il pensiero del grande filosofo americano. Introduzione di Gianni Vattimo.
Il 7 agosto 1974 un giovane funambolo percorre, a quattrocentododici metri di altezza, lo spazio che separava le Torri gemelle dal World Trade Center. Oggi vive in una cattedrale e il decano che lo ospita dice di lui: "Philippe non crede in Dio, ma Dio crede in Philippe". Il punto di vista di un uomo che percorre il vuoto. Philippe Petit (1949), artista e autodidatta del funambolismo, si esibisce in tutto il mondo da trentacinque anni, più o meno clandestinamente. Oltre a scrivere, tiene seminari sulla creatività e la motivazione, disegna, pratica l'arte dello scasso, è un esperto di vini francesi, ama gli scacchi e padroneggia la tecnica settecentesca della carpenteria in legno. È stato arrestato più di cinquecento volte mentre faceva il giocoliere per strada. Divide il suo tempo fra la Cattedrale di St. John the Divine, dove è Artist in Residence e il suo rifugio nei monti Catskills. Sono stati tradotti in Italia "Trattato di funambolismo" (Ponte alle Grazie 1999), il libro che ha affascinato artisti e intellettuali di tutto il mondo (tra gli altri il regista tedesco Werner Herzog), che ha scritto il testo che appare sulla quarta di copertina, e lo scrittore statunitense Paul Auster, che ha redatto la prefazione) e "Toccare le nuvole" (Ponte alle Grazie 2003). Introduzione di Michele Serra.