
Nel 1914 - esattamente un secolo fa - Pierre Janet pubblicò nel "Journal de Psychologie Normale et Pathologique" lo scritto che costituisce il testo di questo libro, qui per la prima volta tradotto in italiano. Si tratta dell'intervento tenuto al Congresso di Medicina di Londra del 1913, nel quale Janet aveva rivendicato la primogenitura di una parte delle idee che Freud andava ascrivendo esclusivamente a se stesso. Lo psicologo francese lancia con prosa graffiante anche un monito contro un certo modo di gestire la "nuova scienza della psicoanalisi", considerata un dogma intoccabile, tanto da indurre i suoi adepti a sferrare anatemi contro gli "eretici". Dopo questo intervento, Janet diventerà a sua volta un "eretico" e resterà tale per molti anni, fino a quando, in condizioni scientifiche mutate, il suo pensiero verrà riscoperto da più parti e il valore dei suoi studi sul trauma sarà riconosciuto nella sua originalità ed efficacia interpretativa, anche alla luce delle moderne neuroscienze.
C'è una caratteristica che accomuna il delicato assetto dell'essere umano ai materiali studiati in ingegneria: l'uno e gli altri sono in grado di resistere a sollecitazioni traumatiche, deformanti ed estreme, riacquistando la propria forma. Questa capacità si chiama "resilienza". Mutuata dal dominio lontanissimo della scienza dei materiali, la nozione ha aperto una nuova frontiera di ricerca in psicologia clinica, disciplina troppo a lungo concentrata solo sugli effetti dissestanti di lutti, maltrattamenti, stress prolungati, malattie, carenze affettive. Al dissesto psichico indotto da esperienze dolorose si può reagire se si attivano e si potenziano i fattori di protezione, di compenso e di recupero di cui ciascuno in qualche misura dispone. Anna Oliverio Ferraris e Alberto Oliverio esplorano con gli strumenti della psicodinamica e delle neuroscienze le tipologie di resilienza che soccorrono nelle diverse stagioni della vita, dalla prima infanzia alla terza età, i rapporti tra comportamenti resilienti e funzioni cerebrali, e gli ambiti - individuale, familiare, scolastico e lavorativo - dove è cruciale saper recuperare l'equilibrio dopo aver vacillato. Nel modo di affrontare le avversità intervengono componenti genetiche, disposizioni temperamentali e relazioni precoci con figure di attaccamento, ma altrettanto decisive si rivelano un'attitudine proattiva e un'atmosfera responsiva e supportante da parte della collettività.
Una bella e spregiudicata ragazza ebrea escogita un modo davvero insolito per estorcere al padre il consenso a un matrimonio non tradizionale, e soprattutto il denaro necessario a finanziare cerimonia e nido d'amore; due fratelli che più distanti e diversi non si può ritrovano un'intimità dimenticata svuotando la casa della loro infanzia dopo la morte dei genitori; un giovane marito infedele apre finalmente gli occhi sul "segreto" del nonno rabbino; un marito innamorato e tradito ritrova la sicurezza perduta con l'aiuto del figlio. È la vita, la protagonista di questo libro, è la condizione umana ad affascinare l'autore: i piaceri e i tormenti della famiglia, dell'amore, del sesso, del denaro, del lavoro, della religione. Le storie brulicano di padri, madri, figli, figlie, fratelli, sorelle, amanti, anime complicate, desideri confusi. Nadler è uno scrittore che non crea personaggi "normali" perché sa che non esistono persone normali. I suoi maestri sono Saul Bellow, Isaac B. Singer, Bernard Malamud, Nathan Englander. Ma la freschezza del suo punto di vista sulle gioie, i dolori, i problemi e le ossessioni di tutti gli uomini iscitti da Dio nel Libro della vita rende queste storie nuove, originali, uniche.
Un'inchiesta in cui la personalità della vittima è la chiave per arrivare al colpevole? Succede, più spesso di quanto si creda. Mai come in questo caso, però, il commissario Melis ne sembra convinto. Manrico Barbarani: una laurea in architettura, uno studio affermato, un socio da trent'anni al suo fianco, tante amiche, alcuni affezionati nemici, una passione per l'alpinismo, due mogli, anzi: due ex mogli. E un figlio di cui potrebbe essere il nonno. Già. E tre proiettili piantati in corpo. E dove, poi! Nella più squallida delle periferie di Milano. Qualcosa però non convince Melis, a cominciare dal fatto che l'auto di Barbarani è in garage. E allora? E allora, nel sereno settembre milanese del 1981, quando già s'annunciano i toni dell'autunno, il commissario e i suoi uomini iniziano un'indagine che, muovendosi fra i luoghi del potere più o meno occulto e le feroci dispute di una difficile separazione fra coniugi, sembra condannata ad arenarsi. Fino a quando, inatteso, l'assassino colpisce di nuovo. Allora, ecco, tutte le tessere del mosaico sembrano andare lentamente al loro posto, disegnando una vicenda di grande amarezza, di grande solitudine, di grande amore. Quell'amore per il quale un uomo può persino tradire sé stesso.
L'uomo sta creando una "specie" completamente nuova, in parte materiale e in parte digitale. La robotica moderna non si occupa più di androidi identici agli esseri umani, come avviene nei film: la tecnologia è lanciata a creare macchine indiscutibilmente superiori agli uomini, per certi aspetti, in grado di fare cose che noi non potremo mai fare, e con le quali dovremo sicuramente condividere il nostro mondo. Sarà allo stesso tempo un nuovo problema e un'incredibile opportunità. Senza dubbio una rivoluzione dalle conseguenze difficilmente prevedibili. Illah Nourbakhsh - uno dei leader mondiali della ricerca robotica - ci racconta in questo libro dei "bot" del futuro prossimo e di quelli che verranno appena un po' più in là: ce ne spiega il funzionamento, ce ne racconta le caratteristiche, ci mostra i problemi che si troveranno ad affrontare i nostri figli con queste macchine: robot pubblicitari interattivi in grado di individuare i clienti, giocattoli robotici volanti guidati dagli sguardi dei bambini, robot multimodali che ci consentiranno di essere in più luoghi nello stesso momento completando automaticamente per noi i comportamenti più prevedibili, e persino nanorobot in grado di assumere forme fisiche diverse. Sembra fantascienza, e del resto è quasi impossibile tracciare una linea netta di demarcazione tra fiction e non fiction quando si parla di robotica.
"Bugiardi nati" è un viaggio nel mondo della menzogna. La menzogna dei bambini, quella degli adulti, quella dei politici o quella particolare categoria di menzogna che è rivolta a noi stessi e che chiamiamo autoinganno. Scritto con umorismo, ricco di aneddoti e di dettagli fulminanti, questo libro è allo stesso tempo un saggio informato, che usa le conoscenze più recenti nel campo della psicologia, delle neuroscienze e della filosofia per fare il punto su ciò che sappiamo in merito a menzogne, bugie, mezze verità, inganni e autoinganni. Siamo stati abituati a pensare alle bugie come a qualcosa di malvagio; la menzogna è per molti la principale responsabile dell'abiezione umana, l'opposto della verità, nella cui luce bisognerebbe camminare. Eppure tutti mentiamo, senza eccezione, continuamente, e più spesso che mai mentiamo a noi stessi, rendendo le nostre bugie più difficili da scoprire, poiché nascoste ai nostri stessi occhi, Ian Leslie rovescia dunque la prospettiva, appoggiandosi sulle spalle di Darwin, di Freud e dei molti psicologi che si sono occupati di questo tema negli ultimi anni: lungi dall'essere un "baco" della nostra psiche, la menzogna è necessaria, vitale, formativa e inevitabile per definire ciò che davvero siamo. Di fatto, non possiamo conoscere noi stessi se prima non conosciamo la sottile dinamica della bugia e dell'autoinganno.
Un giovane prigioniero di guerra nordcoreano, ribattezzato Yohan dagli americani, viene mandato via mare in Brasile perché si ricostruisca una vita dopo gli orrori di un conflitto che ha finora poco interessato la letteratura. Grazie all'abilità manuale che ha dimostrato al campo, viene assegnato come aiutante nella bottega di un sarto giapponese, a sua volta emigrato, a sua volta spaesato nel nuovo continente. Unico legame con l'altro capo del mondo, uno dei marinai giapponesi della nave che fa scalo a intervalli regolari nel porto. E unico interlocutore l'uomo di mezza età che taglia e cuce pazientemente nella piccola, spartana bottega. Interlocutore silenzioso, e non solo per problemi linguistici, il sarto trasmette a Yohan, insieme alla sua arte, anche la malinconica serenità raggiunta negli anni. I due tacciono su un passato drammatico: il lettore viene a conoscere quello del ragazzo tramite una serie di flashback che rivelano con parole scarne le vicende spaventose della guerra, dello sradicamento e della prigionia mitigata solo dalla compagnia di un amico più sfortunato. Ed è grazie al silenzio leggero, colmo di gentilezza, saggezza ed empatia del sarto, e all'incontro con due straordinari ragazzi di strada brasiliani, che Yohan a poco a poco comincia a rinascere, a creare legami di affetto, e perfino a sognare.
Come ha avuto origine la vita sulla Terra? È venuta prima la riproduzione cellulare per replicazione o il metabolismo? A queste domande fondamentali risponde Freeman Dyson, spirito inquieto, eccezionalmente colto, e lontanissimo dallo stereotipo dello scienziato chiuso nella propria torre d'avorio. Benché di formazione sia un fisico teorico, e fra i più brillanti, in questo saggio Dyson esamina e discute le principali teorie sull'origine della vita, spaziando tra i lavori di fisici, chimici, matematici e biologi, riuscendo a compendiare con estrema naturalezza Schrödinger e von Neumann, Margulis e Kimura. Si arriva così a elaborare un vero e proprio modello matematico, basato sulla teoria della "duplice origine" della vita, con il quale osservare il comportamento delle popolazioni molecolari nel momento cruciale della transizione, svelando paesaggi estremi e interessanti simmetrie nei territori di confine fra ordine e disordine, fra vita e non vita.
Dagli ultimi atti del mandato di George W. Bush alle intemperanze del nostro presidente del consiglio, dalla crisi finanziaria che ha sconvolto i mercati occidentali alle polemiche su Guantànamo, dalla libertà limitata di Roberto Saviano ai recenti bombardamenti sulla Striscia di Gaza: "Il quaderno" raccoglie gli interventi pubblicati da Saramago sul suo blog tra il settembre 2008 e il marzo 2009, contributi fulminei e taglienti - al centro di polemiche tutte italiane - capaci di stilare una lucida, ironica e appassionata cartella diagnostica del nostro presente. E se a scandire il tempo e a dettare l'urgenza di queste cronache sono gli accadimenti del mondo, è la poesia più vera a ispirare le pagine dedicate alla notte in cui Obama ha vinto le elezioni americane, al ricordo di Fernando Pessoa o di Rosa Parks la sarta di Montgomery, Alabama, che viaggiando in autobus si rifiutò di cedere il posto a una persona di razza bianca -, come pure l'omaggio alla città di Lisbona o l'episodio del ritorno alla Torre di Belém della statua dell'elefante che dà il titolo al suo ultimo romanzo. Contributi vibranti, densi di acume e fervida immaginazione, che ci rivelano un Saramago, come scrive Umberto Eco nella prefazione, "impenitentemente irritato, e tenero".
Estate 1919. Oppressa da una profonda tristezza causata dagli orrori della guerra, Elizabeth si rifugia nel suo chalet svizzero. Arriva sola, l'animo rabbuiato dalle pesanti perdite subite e consapevole della malvagità umana, nella casa tra i monti che fino a pochi anni prima riecheggiava della presenza e delle risate di numerosi amici. Vuole ritrovare la gioia di vivere, scuotersi dall'apatia, tornare ad amare la natura, ad apprezzare i fiori e i panorami incantevoli che la circondano. Non è un'impresa facile, ma lentamente comincia a riaccendersi in lei una sottile vena di energia. Anche per il suo compleanno è sola. Concede ai domestici un giorno di libertà e si accinge a dedicarsi a qualche lavoro pesante che la costringa a non pensare, quando le arriva un regalo inatteso: due donne inglesi, reduci da un'escursione e in cerca di una pensione dove trascorrere la notte, giungono per caso allo chalet. Elizabeth le invita a pranzo, poi per il tè, quindi a rimanere con lei per alcune settimane. E dalla loro presenza nascerà la promessa di una nuova felicità. Pieno di scene divertenti e intriso della solita lieve ma spietata ironia che contraddistingue lo stile di Elizabeth von Arnim, "Uno chalet tutto per me", scritto in forma di diario, ci offre una serie di pensieri profondi sull'importanza del preservare la vita e sull'insensatezza della guerra.