
Quali furono le idee del Buddha? Quali le sue parole? Paradossalmente, alcuni studiosi sostengono che non è dato di saperlo con certezza, giacché le testimonianze più antiche, i sermoni conservati nel Canone pali, furono messe per iscritto solo vari secoli dopo la sua morte. In questo libro Richard Gombrich, fra i massimi indologi viventi, si ribella a tale "ermeneutica della pigrizia" e mostra come sia possibile, vagliando attentamente i testi e tenendo in debita considerazione l'ambiente culturale dell'epoca, far emergere, appunto, le idee fondamentali di "uno dei pensatori più brillanti e originali di ogni tempo", liberandole dalle concrezioni dottrinarie successive e dai fraintendimenti e letteralismi dei seguaci. Non solo vengono così sottoposte a una radicale reinterpretazione nozioni essenziali quali il karman, l'impermanenza, il "non sé", ma Gombrich evidenzia anche come il Buddha abbia largamente attinto al vocabolario e al patrimonio ideologico del giainismo e del brahmanesimo di epoca tardo-vedica, rivoluzionandone le concezioni e sovvertendo il significato dei termini da essi mutuati. E ci mostra un Buddha che, in contrasto con la figura sovrumana e onnisciente della tradizione, procede per tentativi ed errori e affina col tempo la formulazione del suo insegnamento. Un insegnamento tutto incentrato sull'esperienza umana, vista come un processo privo di soggetto agente che, simile a un fuoco divorante, arde fino a che non venga rimosso ciò che la alimenta.
Chi è Siddharta? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il "costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione". Siddharta è senz'altro l'opera di Hesse più universalmente nota. Questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna. Prima in America, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.
Se il tentativo di restituire un periodo o un personaggio storico attraverso una mostra ha sempre qualcosa dell'azzardo, per l'idea di raccontare la storia della civiltà umana sulla Terra attraverso 100 oggetti - da una pietra da taglio abbandonata in Tanzania due milioni di anni fa a una carta di credito islamica emessa nel 2009 - mancano le definizioni. Eppure Neil MacGregor non solo ha raccolto la sfida, ma le ha aggiunto un ulteriore gradiente di difficoltà: ha cioè pensato di descrivere i 100 oggetti, tutti provenienti dalle collezioni del British, alla radio, in altrettante puntate da un quarto d'ora l'una trasmesse tre anni fa dalla BBC. E, per farlo, ha sostituito alle immagini un numero equivalente di storie, raccontate con la sua voce, ma anche lasciando la parola a una folla di studiosi, esperti, artisti. Risultato? Un successo enorme che ha incoraggiato MacGregor a trasformare tutto il materiale trasmesso in ciò che, in filigrana, era già: questo libro. Che adesso si può aprire come un'enciclopedia, leggere come un romanzo, o visitare come una Wunderkammer - un personalissimo museo portatile da percorrere una stanza dopo l'altra, seguendo le connessioni che la nostra guida di volta in volta ci indica, oppure stabilendone di nostre, attraverso il tempo e lo spazio: finché le rifrazioni di questa stupefacente macchina ottica non ci costringeranno a vedere anche il presente con occhi diversi.
Nel corso della sua lunga vita, Sigmund Freud è stato costretto a spendere una parte consistente delle proprie energie nel tentativo di stabilire una versione ortodossa del suo stesso pensiero. Quasi sempre invano. Come tutte le galassie nascenti, anche quella freudiana era infatti squassata da conflitti interni, e dallo scontro con infinite altre costellazioni. Quanto e più del marxismo, la psicoanalisi sembrava addirittura non poter sussistere senza un corredo caotico e frastornante di oltranzismi, eresie e furori iconoclasti che talvolta impediva di intendersi anche sui concetti fondamentali. Dopo Freud, la cacofonia intellettuale non ha accennato a spegnersi, ed è quindi a dir poco sorprendente che proprio a uno dei suoi discepoli italiani più eterodossi, Elvio Fachinelli, sia dovuta una delle guide al pensiero freudiano più nitide, precise e affidabili fin qui redatte: questa. Dove il lettore troverà tutto quello che Freud ha effettivamente detto, più almeno un'idea destinata a rimanere. Qualsiasi teoria di Freud si può discutere, dice in sostanza Fachinelli, ma quello che non si può mettere in dubbio è il suo stupefacente talento di narratore, in nulla inferiore a quello di Charles Dickens. Sempre terrorizzato da qualsiasi possibile lesione allo statuto scientifico della sua disciplina, l'interessato avrebbe energicamente smentito: ma chi oggi continua a leggere Freud (e Fachinelli) non riesce a reprimere, per quanto si sforzi, un cenno di assenso.
Come i grandi artisti, da Giotto a Saul Steinberg, hanno immaginato, disegnato, dipinto gli alberi. E come Pericoli li ha reinterpretati, nel suo album più personale.
Sin dalla prima volta in cui Joseph Lambert ha scoperto la faccia di Edmonde nel momento del piacere (pallida come quella di una morta, con le narici contratte e il labbro superiore rialzato a scoprire i denti), lei non è stata più soltanto una florida, efficiente, taciturna segretaria: è diventata la sua complice. Tra loro è nata un'intesa che non è né amore né passione, ma piuttosto la condivisione di un gioco segreto. E quando, una sera, guidando a zigzag con la sinistra mentre tiene la destra tra le cosce di lei, Lambert sente dietro di sé il claxon disperato di un pullman e lo vede poi schiantarsi contro un muro, non pensa neppure a fermarsi. Si limita a gettare un'occhiata, nello specchietto retrovisore, all'immenso rogo che ha provocato. Solo più tardi saprà che, fra quei quarantasette bambini che tornavano dalle vacanze, c'è un unico sopravvissuto. Ma chi può sapere che è lui il colpevole? Colpevole di che cosa, oltretutto? E agli occhi di chi? Di suo fratello, di sua moglie, degli amici con cui gioca a bridge la sera? Esseri mediocri, che disprezza. Come disprezza la sua stessa vita. Se cercherà di sviare da sé i sospetti sarà solo per salvare quei momenti in cui, insieme a Edmonde, si rifugia in un universo altro, che lo attrae in modo enigmatico: così come enigmatico, e misterioso, è il piacere della donna.
Ci sono libri, rari e sfuggenti, che all'universo parallelo della letteratura arrivano in un modo diverso, curvando lo spazio tempo della narrazione per portarci in una scena che, al di fuori delle loro pagine, sembra non voler esistere. Ad esempio in una grande villa nella campagna inglese alla fine della seconda guerra mondiale, dove Coral, che al mondo non ha più nulla e nessuno, arriva per assistere nei suoi ultimi giorni la padrona di casa, e poi aiutare il figlio di lei, il maggiore Clement Hart, a guarire dalle ferite che il conflitto gli ha lasciato. In quelle stanze buie, gelide e spettrali come la campagna che le circonda, Coral e Clement arrivano in brevi momenti, con le parole, quasi a toccarsi. Ma ogni volta, dalla caligine che si insinua ovunque, qualcosa, un anello rubato, un inquietante gioco infantile, un misterioso profumo di fiori si materializza, costringendo il desiderio e il bisogno a prendere una forma meno categorica dell'amore. È l'inizio di un viaggio lieve, doloroso e imprevedibile, difficile da raccontare e impossibile da dimenticare. Che Peter Cameron ci invita a intraprendere con una sola promessa, quella di guidarci, per minuscoli slittamenti delle emozioni, a un finale che non ci aspetteremmo e di farci sentire improvvisamente molto vicini "al cuore dorato e incandescente dell'universo".
La sapienza astrologica ha origini più antiche della stessa civiltà occidentale, e i nostri segni zodiacali sono per la maggior parte quelli ravvisati sulla volta del firmamento dai sacerdoti astronomi di Babilonia. Ricostruire la loro storia millenaria è l'unica via per comprenderne il significato profondo. Franz Cumont riesce a condurre il lettore attraverso il fittissimo intreccio delle fonti originali con erudizione e finezza storiografica.
Ci sono opere che hanno letteralmente cambiato il panorama della civiltà, e a questa categoria appartiene senza dubbio l'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert. Con i ventotto volumi in folio della prima edizione e l'enorme varietà delle sue 71.818 voci, accompagnate da 2885 tavole, segnò un rivolgimento radicale nel modo di concepire la cultura, presentandosi come la summa dell'Illuminismo. Ma fu - come subito apparve evidente - anche un'impresa economicamente assai redditizia, e in virtù dello stesso motivo per cui il governo francese voleva sequestrarla: in odor di eresia, si vendeva perché sfidava i valori tradizionali e le autorità consolidate. Alle speculazioni dei philosophes, ben presto, fecero quindi da prosaico controcanto le speculazioni di genere assai diverso dei vari editori dell'Enciclopédie, che, mossi da un'avidità senza limiti, rappresentarono la perfetta incarnazione di quella fase della storia economica che prende il nome di "capitalismo selvaggio". Ricostruendo la biografia dell'Encyclopédie, Robert Darnton racconta così un'appassionante storia di spionaggio industriale ante litteram, e al tempo stesso compone un magistrale trattato in cui convergono storia del lavoro e dell'economia, storia delle idee e della cultura, e dove trovano risposta domande fondamentali: in che modo si propagarono nella società i grandi movimenti intellettuali? Che peso ebbero sulla sostanza e sulla diffusione della letteratura la sua base materiale?
A lungo la coscienza è stata sovrapposta a nozioni quali "spirito" o "anima", quasi che l'ultima parola sull'argomento spettasse di necessità alla filosofia o alla teologia. Da qualche tempo, tuttavia, i neuroscienziati hanno fatto della coscienza - che insieme alla natura profonda della materia e dello spaziotempo costituisce l'ultimo baluardo del sapere occidentale - uno dei loro oggetti di indagine prediletti: e si vanno profilando acquisizioni sorprendenti e controintuitive. Fra i massimi neuroscienziati spicca Antonio Damasio, che in questo densissimo libro approda a una sorta di summa della sua ricerca trentennale, dove i fondamenti di quella prospettiva antidualistica che lo ha reso celebre (si pensi al legame tra regioni cerebrali "arcaiche", come l'amigdala, e più recenti, come la corteccia prefrontale, nella genesi delle scelte morali e dei processi decisionali) sono integrati da nuove e complesse sequenze: quella sull'incidenza delle emozioni e dei sentimenti primordiali (il piacere e il dolore) come ponti connettivi tra il proto-sé e il sé; quella sul discrimine tra percezione e rappresentazione degli eventi interni ed esterni al nostro corpo come base biologica, unitamente alla memoria, nella costruzione dell'identità individuale; e in particolare frutto di una personalissima ricerca di unità ispirata alla rilettura di Spinoza...