"Il mare non bagna Napoli" è - sottolinea Pietro Citati nella prefazione - una straordinaria discesa agli Inferi: nel regno della tenebra e delle ombre, dove appaiono le pallidissime figure dei morti. Di rado un artista moderno ha saputo rendere in modo così intenso la spettralità di tutte le cose, delle colline, del mare, delle case, dei semplici oggetti della vita quotidiana. Anna Maria Ortese attraversa l'Ade posando sulle cose e le figure degli sguardi allucinati e dolcissimi: tremendi a forza di essere dolci; che colgono e uccidono per sempre il brulichio della vita. Nei racconti compresi nella prima parte del libro, questi sguardi penetrano nel cuore dei personaggi: ne rendono la musica e il tempo interiore, come molti anni prima aveva fatto Cechov".
Per i suoi contemporanei, Thomas Browne fu un grande antiquario, un medico illustre e, soprattutto, un "wit", definito volta a volta pedante o ironico, scienziato retrivo o promotore entusiasta della scienza nuova. Le sue opere sollevarono dispute teologiche e scientifiche, eruditi gli chiedevano consigli su disparate questioni. I lettori più moderni, a partire da Lamb, Coleridge, De Quincey, fino a Borges, scoprirono che Browne poteva essere considerato innanzitutto come letterato; che il fascino della sua prosa era, in certo modo, ineguagliato nella letteratura inglese; che l'astrusità delle sue preoccupazioni rendeva i suoi scritti ancor più rari e curiosi; che l'aura del remoto avvolgeva ogni pagina. Così Browne divenne uno scrittore per raffinati, una preziosità letteraria, una felice aberrazione. La sua opera - elusiva, fondata su di una cultura composita e scritta in una cadenza naturalmente religiosa e cerimoniale - si presenta come una complessa figura sul punto di disfarsi, come un mosaico le cui tessere stiano per essere separate e disperse.
Prima di proclamare con la sua arroventata eloquenza - nella Firenze del 1945 - l'urgenza di una "tramutazione pura" dell'uomo, del reale, di Dio" (Giulio Cattaneo) e di proporre un Movimento di Religione teso a una incommensurabile novità, e destinato a dileguarsi come un miraggio, Tartaglia pubblicò alcuni saggi su figure fondamentali del pensiero cristiano quali Pascal, Malebranche e Newman, nonché su un controverso contemporaneo, Gabriel Marcel. "Dissolvendosi il vecchio atto religioso, anche i tradizionali contenuti religiosi verranno a trovarsi cambiati. La realtà di Dio viene rapidamente portata al massimo della sua liberazione, viene trascesa in una realtà diversa oltre Dio e non Dio": bastano queste parole, pronunciate a Ferrara in occasione dell'ultimo convegno del Movimento, per comprendere la radicalità dell'azzardo di Tartaglia. Il suo presupposto, come dimostrano questi saggi, era una profonda conoscenza della tradizione cristiana, in tutte le sue diramazioni.
"Questo libro è una pura delizia. Una Lolita dai ritmi più cinematografici, un giovane Holden sullo sfondo della guerra del Golfo: può far pensare a tanti antenati letterari ma fondamentalmente ha la sua voce, fresca, ironica, sorprendente, irritante. È la voce di Jasira, tredicenne mandata a vivere a Houston con il padre libanese, che si ritrova a fare i conti con il suo corpo che cresce troppo in fretta e fa uno strano effetto agli uomini. Tra la scuola che non le piace e la casa che al pomeriggio è troppo vuota, travolta dai suoi orgasmi e manipolata da un vicino che potrebbe essere suo padre e sarà il suo primo seduttore, Jasira scopre il sesso, muovendosi in territorio sconosciuto, e non ha nessuno che l'aiuti a fare il punto sulla mappa. Potrebbe essere un disastro ma c'è Melina, la vicina incinta e già piuttosto materna, e allora si può cominciare a sperare nel futuro e nell'amore, che è poi quello che tutti, Jasira per prima, cerchiamo." (Cristina De Stefano).
Una casa silenziosa e tetra, dove aleggia un sentore di farmaci. Una donna ancora giovane, Lea, che ormai non lascia più la sua stanza e porta appesa al collo la chiave di un cofanetto che custodisce un fascio di scritti. Un marito instancabile e muto, che sembra non avere altro scopo nella vita che sacrificarsi per lei. Quando sente la morte vicina, Lea legge un'ultima volta quegli scritti prima di gettarli nel fuoco - e fino a sera ne aspira il fumo. È attraverso gli occhi vigili e asciutti di Tirza, la figlia di Lea, che osserviamo questo indecifrabile teatro di ombre. E con lei ci interroghiamo, presagendo il segreto che negli anni ha gettato sulla casa dei Mintz la sua tela di ragno: chi è Akavia Mazal, l'uomo cui, dopo un anno di lutto, il marito di Lea affida l'incarico di redigere l'epitaffio per la lapide? Perché al cimitero, il capo sulla pietra, il marito di Lea recita il kaddish stringendo la sua mano? Un padre e una madre sono un uomo e una donna, una sola carne, si dice Tirza, ma come lei non ci diamo pace - vogliamo sapere. Simile alla dolce cantilena del maestro che insegna a Tirza il Pentateuco e le preghiere, "Nel fiore degli anni" ci ammalia dalla prima pagina all'ultima, infondendoci grazia e clemenza.
Quando incontra Umberto Boccioni, Vittoria Colonna ha trentacinque anni, e da quindici è la moglie di Leone Caetani di Teano. Un'unione, la loro, che suggellava il riavvicinamento fra due grandi dinastie romane acerrime rivali sin dal Medioevo; e tuttavia non esattamente felice: lei passa gran parte del suo tempo prendendo lezioni di pittura, viaggiando su e giù per l'Europa e frequentando il gran mondo; Leone si occupa delle sue terre di Cisterna o persegue i suoi studi di islamistica nella biblioteca di palazzo Caetani. Nel giugno del 1916, mentre Leone è al fronte, Vittoria trascorre le sue giornate nella quiete irreale dell'Isolino di San Giovanni, la più piccola delle Borromee, che ha affittato per l'estate, occupandosi del giardino e scrivendo lettere al marito. Umberto Boccioni (che all'epoca ha trentatré anni, è in attesa di tornare a combattere e sta consumando una difficile rottura con il gruppo futurista) è ospite dei marchesi della Valle di Casanova a Villa San Remigio, sulla sponda orientale del Lago Maggiore. Dopo un primo incontro dai Casanova, il tormentato Boccioni e la irrequieta nobildonna si vedranno ogni giorno. E, nel corso del mese di luglio, Boccioni sarà a due riprese ospite di Vittoria all'Isolino. L'ultimo soggiorno si conclude il 23 luglio; meno di un mese dopo, il 17 agosto, morirà a causa di una caduta da cavallo; nel suo portafogli, l'ultima delle lettere ricevute da Vittoria.
Mosca, 20 settembre 1968. Rubén nasce affetto da paralisi cerebrale: le facoltà intellettuali sono intatte, ma non può muovere gli arti, salvo due dita. Dopo poco più di un anno sarà separato dalla madre e rinchiuso negli speciali orfanotrofi in cui vengono isolati, e sottratti allo sguardo, quelli come lui, considerati impresentabili da una società che esalta il mito dell'uomo nuovo e dichiara di muoversi verso un radioso futuro. Solo all'inizio degli anni Novanta Rubén riuscirà a fuggire dal suo gulag personale e, ritrovata la madre, comincerà a raccontare la sua storia, rivelandosi scrittore vero.
Spesso i lettori chiedono: che cosa c'era prima di Maigret? In questo racconto del 1931 troveranno una risposta: quando ancora non aveva individuato nel commissario il personaggio che lo avrebbe accompagnato fino al 1972, Georges Simenon ha infatti tentato altre strade, altri personaggi destinati alla serialità. Uno di questi è l'ispettore G.7 - trent'anni, capelli rossi, l'aria timida -, che qui si trova a dover risolvere una faccenda assai intricata, che comincia con la sostituzione, e poi la sparizione, di un cadavere, e ha al centro una bellissima bionda, delicata e un po' folle.
Mario Brelich è stato uno scrittore del tutto anomalo nel paesaggio letterario italiano: e non solo perché l'intera sua opera narrativa è dedicata a figure ed episodi delle Sacre Scritture, ma anche (o forse soprattutto) perché ognuno dei "capitoli" di quest'opera ci appare come un oggetto tanto più malioso quanto più difficile da etichettare. Questa volta Brelich si misura con Giuditta -l'unica fra tutte le eroine dell'antichità ad "affidare la salvezza della sua città, del suo popolo e dell'avvenire del suo Dio esclusivamente alla propria bellezza" - e mentre ne ripercorre la vicenda con la consueta, affabile scioltezza, la indaga con gli strumenti più vari (non ultimo la psicoanalisi); e poiché ha la scienza del teologo e la grazia del narratore, riesce a farci penetrare nel mistero di questa seducente eroina-avventuriera, in quel miscuglio di castità austera e irresistibile sex-appeal che non a caso ha ispirato alcuni fra i più grandi dei "maestri antichi".
"Bisogna sapere come questa Francia si è fatta o, meglio ancora, assistere da spettatori alla sua formazione". Questa formula è l'accenno più esplicito a quel progetto di storia totale a cui Taine si dedicò. Per un verso la sua mente è sistematica, inquisitiva, vuole scoprire le cause, ricostruire punto per punto come mai l'antico regime diede luogo alla mutazione rivoluzionaria, e poi al regime borghese. Ma per un altro verso Taine è un grande scrittore, incognito persino a se stesso: vuole dare forma, rappresentare, per il puro piacere della forma, come Flaubert. E nelle Origini i due poli si potenziano a vicenda, la tensione si esalta, spiccano sia la nervatura intellettuale che lo splendore della rappresentazione. Dall'Antico regime ci viene incontro, con imponente nettezza, la sensazione di un organismo che respira, desidera, odia, si abbandona alle sue cerimonie, ai suoi passi di danza, ai suoi capricci, ai suoi rancori. In breve, ciò che Taine ci offre è la fisiologia di una civiltà.