
"Charles Darwin era un uomo complicato, coraggioso ma timido, ispirato ma travagliato, con una mente brillante e un cuore tenero. Se fosse stato più unitario e trasparente, non sarebbe stato altrettanto interessante". Sulla teoria dell'evoluzione e sul suo creatore sono state scritte montagne di libri e articoli, dai più divulgativi ai più specialistici, eppure ancora oggi il pensiero di Darwin non è compreso da tutti. La selezione naturale è un'idea che, osservata sul nascere, con la totalità delle sue implicazioni, è al contempo fenomenale e scioccante. David Quammen parte dal dato biografico del naturalista inglese per intrecciarlo con il percorso intellettuale e scientifico che lo portò a pubblicare - dopo anni di letture, approfondimenti, ricerche e tentennamenti - il testo che avrebbe posto le basi della biologia contemporanea: L'origine delle specie. Il risultato è il ritratto a trecentosessanta gradi di un uomo che dalla tranquilla campagna inglese stava preparando una rivoluzione culturale che ancora oggi non ha esaurito il proprio vigore.
«Molta morale, poca comunità, zero cultura»: questa frase di Pierangelo Sequeri è rimbalzata tra le pareti degli intellettuali cattolici o vicini al mondo cattolico sgretolando un muro di cartone che ha rilevato una certa voglia di discutere sinceramente del binomio cultura-fede cattolica, oggi molto trascurato. Da quell'articolo uscito su "Avvenire", che invitava "ad extra", a uscire cioè da un certo confinamento di idee, produzioni, azioni, è nato un ricco dibattito con protagonisti nomi della cultura quali Carlo Ossola, Roberto Righetto, Chiara Giaccardi, Silvano Petrosino, Antonio Spadaro, Sergio Massironi, Agostino Giovagnoli, Milena Santerini, Davide Rondoni, Roberta Rocella, Andrea Riccardi, Massimo Cacciari. Voci che, riviste, diventano ora una raccolta per provare ad andare tutti insieme oltre. Oltre una certa paccottiglia di pensiero che edulcora la realtà senza risolvere o aggiungere nulla. Oltre quei recinti che tengono sotterrati i tesori accumulati in questi decenni da una riflessione teologica incredibilmente più ispirata, da una spiritualità straordinariamente più vitale, da una concezione di chiesa più comunitaria. Una ricchezza che deve essere messa in circolo, oltre le dispute interne, con nuove forze e pensiero, con la capacità di dialogo che cerca di esprimere questo dibattito.
Obbediente, ribelle, polemico, profetico. Così, tra paradossi e antitesi, viene spesso presentata la inquieta figura di don Primo Mazzolari (1890-1959), sacerdote cremonese che ha segnato profondamente il panorama religioso e sociale italiano del Novecento. Un uomo dalle molte sfaccettature, difficile da incasellare in definizioni univoche, ma sempre fedele alla sua missione di testimone del Vangelo. Frutto di un'approfondita ricerca storica e di un'attenta analisi delle fonti, il primo volume di questa biografia abbraccia i suoi anni di formazione e quelli drammatici della guerra, il ministero a Cicognara, nel Mantovano, le prese di posizione contro le violenze fasciste. Le idee, i conflitti, le speranze di un uomo dalla fede profonda, un intellettuale acuto, un polemista coraggioso, capace di sfidare le convenzioni e di aprire canali di dialogo anche con i più "lontani". Un trentennio denso di eventi cruciali per l'Italia e per la Chiesa, dalla crisi modernista all'organizzazione politica dei cattolici, dalla democrazia cristiana murriana al Concordato del 1929, vissuto anche da Mazzolari con doloroso sconforto. «La sua profezia si realizzava nell'amare il proprio tempo, nel legarsi alla vita delle persone che incontrava, nel cogliere ogni possibilità di annunciare la misericordia di Dio. Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l'amore appassionato e la dedizione incondizionata» (Papa Francesco).
L'adolescenza, già da Rousseau definita come seconda nascita, per le profonde trasformazioni corporee, psichiche, spirituali, attraverso le quali va definendosi l'identità personale, unica e irripetibile, di ciascuno, costituisce età di passaggio, oggi particolarmente delicata e complessa. Da qualche tempo è invalsa l'abitudine di classificare con terminologia alfabetica le varie stagioni adolescenziali. Generazione Zeta rappresenta i nati fra il 1996 e il 2010, i primi ad essere cresciuti con Internet, mentre Generazione Alfa indica le leve dal 2011-12 in poi. Si tratta di fasce generazionali accomunate, oltre che dall'intrinseco processo di sviluppo individuale, anche dalla comune appartenenza all'ambiente socio-esistenziale, contraddistinto dalla rete degli strumenti d'interconnessione e comunicazione digitale. Con i loro stili, riti, linguaggi, gusti, di non semplice decifrazione, gli adolescenti odierni, dibattuti fra inquietudini, fragilità e speranze, necessitano di adulti capaci di ascolto, vicinanza, proposte di vita bella e buona. Il testo offre riflessioni ponderate sui punti di vista essenziali (sociologico, psicologico, pedagogico, pastorale) dai quali osservare/interpretare gli sfidanti mondi delle adolescenze d'oggi.
Una ristretta schiera di Tecnotitani - a capo di imprese come Amazon, Google, SpaceX e Meta - detiene le redini del progresso tecnologico alimentando disuguaglianze laceranti, consumismo di massa, concentrazioni di potere e ingenti speculazioni finanziarie. È il "tecnocapitalismo" di cui Loretta Napoleoni offre un ritratto accurato e impietoso, e che mina alle fondamenta la democrazia e la società tutta. Per l'autrice, a minacciare il futuro è soprattutto la rapidità della trasformazione tecnologica: quanto più le innovazioni si susseguono dirompenti, tanto più i mostruosi profitti dei Tecnotitani si dilatano, a danno di salari e diritti del resto di una popolazione gettata in preda all'ansia. Come se non bastasse, le criptovalute e l'intelligenza artificiale applicata agli scambi di Borsa stanno gonfiando nuove bolle finanziarie destinate a scoppiare, mentre la corsa allo spazio viene appaltata alla voracità di nuovi Baroni. Tecnocapitalismo è un invito a riappropriarsi della tecnologia - e del futuro -, perché solo mettendo l'innovazione al servizio della collettività e del bene comune possiamo evitare il disastro sociale ed ecologico.
Il Gran Sasso, che con i suoi 2912 metri è la montagna più alta dell'Appennino, fu conquistato nell'agosto del 1573 da un uomo d'avventura straordinario, protagonista poco noto del Rinascimento: Francesco De Marchi, ingegnere militare di Bologna, progettista di bastioni e fortezze. Fu uno dei primi exploit dell'alpinismo europeo. Oggi il Corno Grande del Gran Sasso è il cuore di un massiccio molto frequentato, dove si possono affrontare passeggiate turistiche o pareti impegnative, e trovare rifugi alpini, vie ferrate, centinaia di chilometri di sentieri segnati. Per molti appassionati di montagna del Nord Italia, però, il Gran Sasso resta una periferia remota, se non una brutta copia delle Alpi. Un giudizio che vale un po' per tutto l'Appennino, la catena che forma la spina dorsale del nostro paese, e che affianca a panorami morbidi e boscosi le pareti rocciose e le vette delle Alpi Apuane, dei Sibillini, della Maiella e del Pollino, luoghi di incomparabile bellezza e difficoltà alpinistiche. In queste pagine, accanto alla creatività e al coraggio degli alpinisti in parete, e all'impegno e all'altruismo dei soccorritori in montagna come dopo le catastrofi naturali, trovano posto il lavoro dei pastori e dei boscaioli, quello delle guide alpine e dei maestri di sci, il genio degli artigiani della ceramica di Castelli. Il Gran Sasso non è solo un luogo di natura e di sport. Sui suoi altopiani, nelle sue valli e talvolta sulle sue cime sono passati la prigionia di Mussolini e la Resistenza, i rovinosi terremoti recenti dell'Aquila e di Amatrice, la valanga di Rigopiano e il prezioso lavoro dei ricercatori che scrutano il cosmo dai laboratori scavati nelle viscere del massiccio. Un intreccio di relazioni, di fatica, di cultura d'eccellenza che trasforma una grande e silenziosa montagna fatta di roccia e di neve in un luogo di lavoro, di emozioni e di vita.
Il diario dell'ambasciatore che ha rappresentato l'Italia a Mosca, in un periodo cruciale segnato dall'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Putin, è una storia fatta di intensi contatti diplomatici, sensazioni, vicende umane e personali. Ma ciò che emerge è soprattutto una lucida riflessione, da un punto di vista privilegiato, sulle reali possibilità di un percorso di pace duraturo. La fine delle ostilità non può limitarsi alla cessazione delle operazioni belliche: è necessaria una strategia di lungo periodo che affronti questioni spesso passate in secondo piano, come la difesa dell'ambiente, l'emergenza terrorismo, le migrazioni, le sfide delle nuove tecnologie e dello spazio. Tutto questo recuperando strumenti di multilateralismo efficace in ambito politico ed economico, in un progetto che non si limiti agli attori continentali, ma possa coinvolgere i grandi schieramenti dello scacchiere internazionale. Un percorso difficile, eppure obbligato: l'unica strada da seguire per assicurare un futuro al nostro Occidente.
Nelle nostre scuole, nei nostri licei, insegnanti e operatori terapeutici si confrontano quotidianamente con un disagio adolescenziale diffusissimo e in continua espansione. Questo malessere prende le forme più diverse: ansia, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare, ritiro sociale, autolesionismo, personalità borderline, abuso di sostanze. Un segnale che non possiamo più ignorare o considerare limitato a casi isolati. Le parole con le quali i ragazzi raccontano il loro disagio mettono in evidenza l'ansia di fallire in un contesto genitoriale, scolastico e sociale che li vuole performativi, capaci, risolti, vincenti. Ascoltarli è necessario se vogliamo provare a dare un senso alla loro sofferenza.
Di cosa parliamo quando parliamo di Occidente? Dopo l'elezione di Trump, sembra giunto al termine quel concetto di Occidente tutto geopolitico, dove Europa occidentale e Stati Uniti, difensori di democrazia e libertà, si contrapponevano alla 'barbarie' orientale, russa e cinese. Intanto, Giappone, Cina e India propongono altri Occidenti, portatori di altre 'modernità', contrapposte - o comunque alternative - alla modernità occidentale. Stiamo assistendo al crollo dell'Occidente così come lo abbiamo conosciuto?
La scuola contemporanea sembra essere utile solo nella sua funzione di educazione alle tecniche, di distributore di competenze, un luogo nel quale gli studenti imparino a tradurre e a far di conto, frequentando pratiche e metodi che nel corso di quasi un secolo di scolarizzazione diffusa sono stati reiterati e rimescolati producendo risultati altalenanti. Ma dove sopravvive l'elemento culturale? Come dialogano la scuola e la vita dei ragazzi? Un divorzio sembra essersi consumato tra cultura e istituzioni scolastiche, che ha avuto come prodotto un contenitore vuoto, una cosa che non parla. Questo testo vede in dialogo chi in questi decenni è rimasto in silenzio, gli intellettuali e gli studenti. Per questo abbiamo coinvolto figure di spicco del panorama culturale italiano per le discipline scolastiche e dieci loro studenti. Il tentativo di ogni dialogo è però il medesimo: immaginare una scuola veramente nuova, che riesca a superare le criticità e a concentrarsi sulle proposte tramite la realizzazione di un nuovo immaginario didattico. Per costruirlo, il testo lascia spazio alle riflessioni di quanti vivono la scuola ogni giorno. Educazione alle conoscenze, biblioteche interattive, de-burocratizzazione della pratica scolastica, abolizione dei voti, studio della cultura contemporanea e educazione alla politica sono solo alcune delle proposte fatte dai ragazzi e discusse dagli intellettuali, nel tentativo di raccontare come la scuola dovrebbe e potrebbe essere: il motore dell'Intellighenzia del Paese.
Perché una persona arriva a delinquere? Quanto conta il contesto in cui vive? Come resistere alla detenzione o all'ergastolo? Come può riprendere la vita dopo il fine pena? Qual è, oggi, la realtà carceraria e come potrebbe essere? Alcuni esperti approfondiscono temi di grande attualità: dalla salute mentale alle misure alternative, dal sovraffollamento a una nuova idea di carcere, dalla riforma Cartabia al lavoro della Polizia penitenziaria. Luigi Pagano (ex direttore istituti penitenziari, ex provveditore regionale, ex vicecapo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) parla di struttura «anacronistica», di necessaria collaborazione tra istituzioni, di "sorveglianza dinamica"; Anna Giroletti (responsabile presso l'Asst Santi Paolo e Carlo della Struttura semplice dipartimentale del Servizio psichiatrico penitenziario di San Vittore, Opera, Bollate e Beccaria) affronta il tema della salute mentale e della formazione; Teresa Mazzotta (dirigente dell'Ufficio interdistrettuale esecuzione penale esterna Lombardia) descrive opportunità e limiti delle misure alternative. Don Marco Recalcati (cappellano incaricato di San Vittore e delegato regionale delle carceri della Lombardia) si sofferma sul ruolo dei cappellani e della Chiesa nelle carceri; infine Bruna Dighera (membro del Tavolo lecchese per la giustizia restorativa, mediatrice penale ed esperta formatrice, psicologa, psicoterapeuta) spiega la giustizia riparativa attraverso l'esperienza dell'"Innominato" e dei circles attivi a Lecco, cui partecipano autori di reato, vittime e cittadini che, in queste pagine, restituiscono la loro esperienza. Accanto a loro, Luisa Bove dà voce al racconto in prima persona di alcuni detenuti che, attraverso un lungo percorso di autoconsapevolezza e accompagnamento, hanno saputo trovare la chiave del proprio riscatto. «Per far respirare le istituzioni penitenziarie occorre una poderosa retromarcia nell'esercizio del potere assoluto e nella spoliazione dell'identità e dell'individualità dei reclusi. Occorre costruire una quotidianità in cui il detenuto sia protagonista responsabile, garantendogli l'esercizio di tutti i diritti compatibili con la riduzione della libertà.» (Lucia Castellano)

