
Che cos'è l'infinito? E - domanda ancor più astrusa - che cos'è l'Infinito con la maiuscola? La prima risposta del matematico impertinente Piergiorgio Odifreddi è semplicissima: l'infinito/Infinito è, con l'essere/Essere, il concetto più abusato di sempre, da chiunque, in buona compagnia con poeti, artisti, teologi e filosofi. Il tema è tuttavia intrigante e le - se non infinite (!), almeno assai numerose - ipotesi finora formulate dall'umanità sono affascinanti. Per orientarsi in questo mare magnum, può essere utile, secondo Odifreddi, uno sguardo nella prospettiva della matematica che «permette di fare un massimo di chiarezza nel buio di una gran confusione». In "Ritratti dell'infinito" i tentativi di dare un volto a quello che l'uomo vedrebbe se si aprissero le porte della percezione, secondo William Blake, vengono divisi in 3 gruppi - quelli di letterati & artisti, filosofi & teologi e logici & matematici - per poi essere osservati, analizzati e appunto letti in chiave matematica (a fine capitolo, in modo che chi prediliga una lettura esclusivamente umanistica possa saltare queste parti "tecniche"). Scopriamo così che, per rappresentare l'infinito, si possono usare non una ma diverse, splendide immagini, dai baci che Catullo chiedeva a Lesbia (genericamente molto numerosi) a un labirinto che ci tiene costantemente in trappola, da quel che "sta al di là" (ad esempio, del colle, Leopardi docet) a filastrocche come "Alla fiera dell'Est", dalle "poesie matematiche" indiane a un hotel immaginario con infinite stanze In una cavalcata entusiasmante come questa che Odifreddi ci accompagna a fare, si potrebbe andare avanti all'infinito... anche se, avverte Bob Dylan, «Guarda nell'infinito, non vedrai altro che problemi»!
"Il racconto che sino a oggi abbiamo fatto della Resistenza dovrebbe essere riscritto da cima a fondo. Perché è in gran parte falso.". Per Giampaolo Pansa è stata prima di tutto una guerra interna. E da sempre, ad appena ventitré anni, nel 1959, quando intervenne a un convegno sulla Storiografia della Resistenza, ha sostenuto il dovere di dare voce, nel racconto dell'Italia del 1943-1946, anche agli sconfitti. Per ricordare a tutti quello che la storia ufficiale taceva: le uccisioni dei fascisti prigionieri da parte dei partigiani durante la guerra civile. Le vendette dei vincitori nei giorni successivi alla Liberazione. La barbarie delle violenze sulle donne accusate di essere spie dei fascisti. In queste pagine ritroviamo le drammatiche vicende e i volti dei loro protagonisti in un percorso fotografico inedito. Dalla Banda di Tom di Casale Monferrato al rastrellamento della Benedicta, dall'eccidio del campo di Bogli alle esecuzioni nella colonia di Rovegno. "L'Italia è una nazione vecchia e sfibrata" scriveva Pansa "capace soltanto di lamentarsi e di litigare. Gli italiani non sono affatto brava gente. Si odiano e sono sempre disposti a scannarsi.".
Nel tardo pomeriggio dell'11 febbraio 2013 un fulmine cadde sulla cupola di San Pietro. Sembrò a tutti l'immagine-simbolo dell'evento inaudito che aveva appena scosso, fin dalle fondamenta, la Chiesa cattolica. Al termine di un discorso al Concistoro dei cardinali, in vista della canonizzazione dei martiri d'Otranto uccisi dai turchi più di mezzo millennio prima, Benedetto XVI si fece passare un foglietto da monsignor Georg Gänswein, che gli era a fianco con un volto tetro, e cominciò a leggere in latino: "Fratres carissimi...". Alcuni dei porporati presenti non capirono il perché di quello strano riferimento all'avanzare dell'età (ingravescente aetate). Altri finsero o si vollero convincere di aver male interpretato le parole del pontefice. Invece, il messaggio era chiaro. Anzi, inequivocabile. Con la sua Declaratio, Joseph Ratzinger rinunciava al ministero di vescovo di Roma. Si dimetteva da Papa. Non succedeva dal 1415. Per il mondo l'annuncio fu uno shock. Ma quali erano le ragioni profonde che avevano portato Benedetto a quella storica e tormentata decisione? Era un atto di responsabilità o un colpo di spugna? E come affrontare, dopo l'elezione a sorpresa dell'argentino Jorge Mario Bergoglio, la presenza di due Papi? Uno Emerito e l'altro Regnante? Marco Ansaldo, vaticanista e inviato speciale per la politica estera di "Repubblica", ci racconta una delle stagioni più travagliate nella storia della Chiesa, macchiata da polemiche, scandali finanziari e intrighi di palazzo. Dopo la piaga della pedofilia, i casi Vatileaks 1 e 2 e il processo contro i Corvi del Vaticano non sembrano esaurirsi le gogne, i colpi bassi e le epurazioni (l'ultima in ordine di tempo ha colpito il cardinale Becciu). Attraverso la testimonianza di monsignor Georg Gänswein - assistente personale di Benedetto XVI e custode dei tanti misteri che si celano dietro le mura vaticane - il libro di Ansaldo fornisce una nuova e dirompente chiave di lettura sul perché la convivenza tra i due Papi, di per sé problematica, si sia rivelata, di fatto, inattuabile. E se invece un'anomalia diventasse la regola? Oggi ci troviamo nel secondo tempo del Pontificato di Francesco. Qualcuno arriva a sostenere che il gesuita «venuto dalla fine del mondo» non abbia più niente da dire, avendo già espresso tutto sul piano evangelico e dottrinale. C'è modo, dunque, «di fare un altro papa»?
L’arrotino è una figura mitica per l’autore, perché il suo noto richiamo/appello ad accorrere, ha una duplice valenza: quella di invocare l’arrivo delle donne, ritenute (almeno fino a un po’ di tempo fa) le uniche depositarie della gestione degli utensili di cucina; e – seconda – proporre le sue abilità e i suoi strumenti per consentire un’operazione essenziale: il taglio giusto. Quel richiamo forte e delicato allo stesso tempo, con voce decisa ma non invadente, parole ripetute e amplificate, lasciano intendere (per una mente normale?) qualcosa di più di coltelli affilati: è il taglio delle parole che contano, per chi, mese dopo mese da dieci anni, in una rubrica che si intitola proprio “Le parole che non ti ho detto”, prova a dare spessore ad un dialogo insistente tra un uomo e molte donne.
Il testo racchiude l'esperienza viva condotta giorno dopo giorno da una decina di anni, da un frate minore cappuccino e da una operatrice didattica storica dell'arte con bambini e giovani appartenenti a parrocchie, centri di aggregazione di varia estrazione ideologica, ma soprattutto con gli alunni e gli insegnanti delle scuole primarie della città e della provincia di Reggio Emilia. L'arte, la narrazione, la creatività e la realizzazione di piccoli manufatti, sono i linguaggi che ci hanno permesso (e speriamo che lo permettano anche al lettore) di crescere insieme agli utenti sul rispetto del punto di vista altrui, sulla molteplicità dei valori e dei doni è per se e per gli altri e sulla dimensione della fede vista come incontro e relazione, come una modalità che ci permette di passare dall'io al tu e dal tu al Tu. Nella prima parte del testo vengono raccontati quattro laboratori didattici (scelti tra i quindici che gli autori propongono ad insegnanti ed operatori pastorali) e soprattutto la modalità con vengono costruiti. Nella seconda parte viene narrato un focus sulla figura di Don Lorenzo Milani (figura molto studiata, vissuta ed amata tramite i rapporti con i primi allievi del priore da parte di fr. Antonello) e la concretizzazione del suo messaggio di fede attraverso percorsi didattici particolari legati alla sua concezione di scuola e di radicalismo evangelico; percorsi che han dato vita a rappresentazioni teatrali condivise, costruzione di presepi ecc..
Chi non ci va, la provi; chi ci va, perseveri; chi le vuole male cambi idea e chi la ama si stringa a coorte per difenderla. «Di tutte le seccature inventate dall'uomo, l'opera è la più costosa», diceva Molière. Ma per Alberto Mattioli questa geniale invenzione italiana è soprattutto una magnifica e folle ossessione. Ha assistito infatti a quasi 1.800 recite in tre continenti, decine di Paesi e centinaia di teatri; ovunque si alzi un sipario, per lui vale il viaggio perché l'opera lirica mantiene intatto il suo misterioso potere emozionale, la sua capacità di parlare al cuore e al cervello degli spettatori. Raccontando della sua inguaribile passione - o, a suo dire, malattia - l'autore descrive questo affascinante mondo non solo per chi all'opera ci va, ma anche per chi ci vorrebbe andare o ne è solo incuriosito: dai teatri italiani che hanno reso nazionalpopolare il melodramma, quando Rossini, Verdi e Puccini erano la colonna sonora della vita di molti, all'opera di oggi, fenomeno globale e multimediale. Mattioli ci mostra le ragioni di un amore irrazionale e sfrenato per uno spettacolo capace con i capolavori del passato di leggere il nostro presente e di continuare a farci piangere, ridere e riflettere. Perché finché c'è opera c'è speranza.
La grande sfida nel contesto della postmodernità e della crisi antropologica che la caratterizza richiede una riflessione etica profonda. Nessuna sopravvivenza del nostro pianeta può verificarsi senza un ethos globale.
I valori propri dell’animazione-formazione vocazionale hanno un rapporto fondante con la fede cristiana, ma riconoscono anche il valore umanizzante di numerosi documenti internazionali come punti di riferimento fondanti il diritto internazionale che possono rinforzare la nostra visione etica del mondo e della vita.
Il servizio alle vocazioni opera essenzialmente e intenzionalmente per una società più rispettosa dei diritti degli individui e dei gruppi, e quindi la difesa e la promozione di tali diritti sono parte integrante del lavoro dell’animazione-formazione vocazionale.
Il richiamo ai valori etici come fondamento dell’attività umana e dei rapporti tra gli uomini ha una necessaria, diretta e profonda ricaduta sull’essere e sulla formazione dell’operatore vocazionale. In virtù di quest’atteggiamento di onestà, trasparenza, disposizione non violenta e impegnata nella costruzione sociale, egli deve avere una visione fiduciosa e positiva dell’uomo singolo che si traduce in responsabilità etica per l’altro.
L’etica professionale postmoderna si configura attorno ad alcuni aspetti particolari quali la crisi d’autorità, il dibattito attorno all’universalismo/relativismo/pluralismo e l’importanza del rispetto della libertà individuale. In particolare, i codici deontologici sono nati con una pretesa universale, cercando di definire un comportamento «corretto» in modo universale.
L’obiettivo di questo testo è quello di approfondire questa prospettiva nella configurazione di una persona impegnata nel servizio vocazionale, coerente con la visione etico-antropologica propria dell’epoca contemporanea e della «visione vocazionale» dell’uomo.
Le più recenti vicende dell'Italia osservate e vissute da Paolo Savona in qualità di Ministro degli Affari europei e di presidente della Consob sono raccontate in questo nuovo lavoro che si può considerare un'appendice ai due precedenti pubblicati da Rubbettino su "La fine del laissez-faire e della liberal-democrazia" (2016) e sulle sue "Memorialia e moralia di mezzo secolo di storia" (2018). La sua interpretazione è che la politica monetaria ha assunto la guida del mercato finanziario, permettendo alla politica fiscale di spingersi oltre i suoi limiti, anche attraverso l'espansione dell'indebitamento pubblico. L'inversione eterodossa delle due politiche si era già delineata dopo la crisi finanziaria globale del 2008, ma ha assunto una chiara connotazione strutturale, forse irreversibile, a seguito dell'esplosione della pandemia sanitaria Covid-19. L'Unione europea e, nel suo ambito, l'Eurosistema hanno recepito e rafforzato i contenuti "non convenzionali" delle due politiche avviate dagli Stati Uniti, muovendo da quella intrapresa dalla Banca centrale europea nel 2012 e integrata quest'anno da quella fiscale con il Recovery fund (Next generation EU); queste decisioni, molto tormentate, rappresentano la vera novità dell'Unione, abbattendo, tra l'altro, l'opposizione alla mutualizzazione del debito tra Stati membri. L'A. ricorda che i due vizi di fondo del Paese sono l'assistenzialismo e il rispetto opzionale della legge e sottolinea il pericolo che il nuovo regime monetario e fiscale, permettendo l'esistenza di moneta e di pranzi gratis, possa impedire che le abbondanti risorse disponibili si indirizzino verso gli investimenti e vadano invece spese in assistenza generalizzata, salvataggi di imprese decotte e riaffermazione delle partecipazioni statali, rivitalizzando le spinte sociali in questa direzione presenti nella cultura del Paese, mai assopitesi. Tenendo conto dei profondi mutamenti epocali in atto, l'A. sollecita la costituzione di una Consulta pubblica di esperti che proponga al governo e al Parlamento un'architettura istituzionale adeguata ad affrontarli e suggerisce le azioni di breve periodo da continuare o intraprendere per raggiungere gli obiettivi strategici scelti.
Pablo Picasso appartiene a quella ristretta cerchia di personalità capaci di segnare con il proprio passaggio un'intera epoca. Così nel panorama artistico del '900 sembra quasi rappresentare l'emblema, l'essenza stessa della pittura. Pure, proprio da una fama tanto largamente diffusa può nascere il rischio di una conoscenza che tende a cristallizzarsi nello stereotipo. Merito di Patrick O'Brian, che alla personale conoscenza di Picasso unisce un sicuro dominio della letteratura sull'argomento e uno sguardo critico sorprendentemente originale, essere riuscito ad articolare in un avvincente racconto l'immensa quantità di materiale a sua disposizione. Infanzia e adolescenza in Catalogna, i primi soggiorni a Barcellona e Parigi, le tappe che segnano l'evoluzione artistica, gli affetti, le amicizie, gli incontri decisivi con Braque, Matisse, Apollinaire, Max Jacob, Cocteau, Aragon, Malraux, tutto concorre a delineare la trama di un'esperienza creativa strepitosamente longeva, vissuta con un'intensità al limite dello spasimo.
Nella vita di ogni lettore ci sono scrittori che occupano un posto speciale: spesso scoperti attraverso letture giovanili, diventano compagni di vita, sorgenti alle quali tornare nel tempo, scoprendovi ogni volta qualcosa di nuovo. Fëdor Dostoevskij rappresenta tutto questo per Julia Kristeva. Fin dai suoi primi studi la filosofa ha insistito sulla presenza, talvolta manifesta, spesso inconsapevole, delle voci degli altri all'interno della propria voce: la lingua non è mai neutra o pura, è resa più ricca dalla stratificazione di significati che altri prima di noi le hanno attribuito. Attraverso decenni di letture sedimentate Kristeva ha imparato a riconoscere la voce di Dostoevskij, e a sentirla risuonare dentro di sé. Il suo essere rivoluzionario, la sua esperienza nelle carceri della Siberia, il suo amore per la Russia e la sua fede tormentata e mai dogmatica la attraggono irresistibilmente, ma a stregarla è soprattutto il suo essere il romanziere del carnevale umano, capace di comprendere che l'oscurità infernale non riguarda solo l'animo di chi vive ai margini, ma è un elemento costitutivo della condizione umana.
Sebbene i nomi propri dei Magi non compaiano affatto nella pericope di Matteo 2,1-12, le tradizioni apocrife ne hanno fissati in particolare tre, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che però non sono affatto né gli unici, né, in tale versione, i più antichi; così come il numero dei Magi non è mai indicato nel Vangelo, lo stesso dicasi per i loro nomi, che vanno da tre a dodici. Il presente saggio propone un'indagine preliminare sulla storia delle origini di tale complessa tradizione onomastica attestata in lingue e culture diverse, tra Oriente e Occidente, nel mondo Tardo Antico e Medievale, sulle tracce di intricati percorsi della spiritualità antica e della propaganda cristiana, che proprio grazie alla figura dei Magi evangelici poté elaborare un importante mezzo di dialogo e di promozione interculturale. Il testo è corredato di tavole sinottiche (a cura di A. Zubani) e di un'appendice sul testo osseto di Matteo 2,1-12 (P. Ognibene), nonché di due brevi saggi, uno sulla monetazione indo-partica dei Gondofaridi (A. Gariboldi), la cui storia risulta connessa alla figura di Gaspare, l'altro sull'immagine dei Magi evangelici nella ricezione cinese (J. Kotyk).
Questo saggio esplora ampiamente e nella forma scientificamente più aggiornata la storia delle malattie epidemiche che hanno colpito il mondo, l'impatto sulle popolazioni e i costi in termini di vite umane. L'Autore spiega come i focolai infettivi di massa, dalla Morte Nera alla più recente Sars, abbiano inciso sulle società del passato e le abbiano plasmate in maniera significativa. In uno stile chiaro e accessibile, sorretto da una straordinaria vena comparativa, Snowden illustra i modi in cui le malattie non hanno solo influenzato la scienza medica e la salute, ma hanno anche reindirizzato i percorsi di arte, religione, storia intellettuale e delle guerre. Questo libro è dunque un'indagine multidisciplinare della storia medica e sociale delle principali epidemie emerse nel corso della storia. Molti i temi affrontati, quali l'evoluzione della terapia medica, la letteratura sulla peste, la povertà, l'ambiente e l'isteria di massa. Oltre a fornire una prospettiva storica sulle malattie come il vaiolo, il colera e la tubercolosi, Snowden esamina le ricadute di recenti epidemie come l'HIV7AIDS, la SARS e l'Ebola e la questione della preparazione del mondo alla prossima generazione di malattie.
Questa edizione è aggiornata all'insorgere del Covid-19 nel mondo e, in particolare, all'evolversi della pandemia in Italia, dove l'Autore si trovava al momento del lockdown generale del marzo 2020.
Frank M. Snowden
Professore emerito di storia e storia della medicina alla Yale University e specialista di storia d'Italia nel XX secolo, ha concentrato le proprie ricerche sulla storia del latifondo meridionale e sulla Napoli di inizio Novecento. Tra i suoi libri precedenti: La conquista della malaria: Italia, 1900-1962 e Napoli al tempo del colera, 1884-1911.