
«"Supernova" è un noir politico. È la storia di come nasce, cresce e viene ammazzata la pazza idea di Gianroberto Casaleggio di costruire il primo movimento politico che utilizzi Internet come strumento di propaganda e organizzazione. È una storia raccontata da un osservatorio unico e privilegiato: abbiamo fatto parte, in momenti diversi e decisivi, della macchina organizzativa del Movimento 5 stelle. L'abbiamo vista nascere, l'abbiamo fatta crescere, ce ne siamo allontanati...»
Cosa può succedere se Ken, il fidanzato di Barbie, viene a sapere che la sua amata bambolina è la causa della deforestazione del Borneo? Succede che una campagna pubblicitaria lo denuncia e la casa produttrice è costretta a cambiare la filiera produttiva. Succede cioè che la vita dell'orango della foresta pluviale e quella dei nostri figli in Europa sono legate tra loro molto di più di quanto si pensi. Poi succede anche che un rapper di un quartiere chic di Seul lancia su YouTube il suo Gangnam Style, e la canzone finisce per essere cantata in dialetto trentino, magari dal pronipote di un irredentista antiasburgico; e succede che un senegalese che vive a Firenze vende un souvenir "etrusco" fatto in Cina a una turista americana. Insomma, è ovvio che l'etnologia e l'antropologia sono completamente da ripensare. Nel nostro mondo globalizzato, nello strano "frittatone planetario" nel quale viviamo, barriere, specificità e contorni sono semplicemente saltati. L'antropologo allora si interroga, cerca nei libri gli insegnamenti dei maestri, ma si vede costretto a rileggerli in chiave diversa, proprio come avviene nella copertina di questo volume, che è un misto di hi-tech e di antropologia ottocentesca (un tantino razzista). In pratica l'antropologia esce dall'università e entra nel mondo, si fa "pop", "antropop", perché è questo il mestiere degli antropologi: interpretare i popoli. E i popoli oggi sono un miscuglio inestricabile.
Le coppie si separano perché non hanno saldato i propri conti emozionali. All’offesa segue la vendetta, la comunicazione si blocca e i due entrano in una dinamica in cui assumono i ruoli di vittima e aggressore, in un circolo vizioso che li porta alla rottura. Il Metodo innovativo presentato in questo libro indica una via per rompere tale dinamica negativa e avvicinare le coppie al perdono. Il Metodo de Francisco-Canet offre infatti un modo peculiare di approcciarsi ai torti, introducendo una serie di principi e concetti che man mano mettono i coniugi di fronte al conflitto con uno sguardo nuovo, quello che porta alla conoscenza. L’obiettivo è quello di indirizzarli verso una buona comprensione, stimolando la necessità di perdonarsi e di ricominciare con una formula nuova per la loro vita coniugale, che porti con sé la benevolenza, la pratica dei Valori Coniugali e il progetto di una vita futura diversa. Tutto questo culmina con la forma di amore più generosa che si possa dare: il perdono.
Le lettere di Kafka a Felice Bauer raccontano qualcosa di più di un'impossibile storia d'amore: Elias Canetti se ne rese conto nel 1967 leggendone una selezione sulla «Neue Rundschau», e immediatamente si accordò con l'editore della rivista per pubblicare un saggio sull'argomento. Fu l'inizio di un corpo a corpo, dove l'interpretazione chiamava in causa la vita dell'autore - la sua persona fisica, la magrezza, l'ipocondria, l'ossessione per la notte e il silenzio - e insieme quella dell'interprete. L'esito di tale scontro fu L'altro processo, che irritò per la spregiudicatezza con la quale Canetti riconduceva l'opera di Kafka (e la più ermeticamente sigillata, Il processo) alla sua biografia (la rottura del fidanzamento con Felice) - proprio lui che aveva sempre lottato perché quell'opera venisse presa alla lettera. Grazie agli appunti preparatori, molti dei quali inediti, qui raccolti insieme ad altri saggi e conferenze su Kafka, possiamo immergerci per la prima volta in quel «processo» di avvicinamento, fatto di violenze, fughe e sottomissioni, quasi ci trovassimo di fronte alla descrizione di una battaglia sovrapposta a una confessione cifrata. «Non credo che vi siano persone la cui condizione interiore sia simile alla mia, o almeno posso immaginarmi tali persone, ma che attorno alle loro teste voli continuamente il corvo segreto come attorno alla mia, questo non riesco neppure a immaginarlo» annotò una volta Kafka nei suoi Diari. Oggi, leggendo finalmente nella loro totalità queste pagine, possiamo dire che si sbagliava.
Quando ci si presenta si inizia dal nome. Il mio nome scientifico è Pinus pinea. Così mi ha chiamato Linneo, scegliendo come nome specifico pinea, quasi a dire 'pino per eccellenza'. Il mio nome italiano è semplicemente pino domestico, pino da pinolo, pino ombrellifero. Sono il vero simbolo di albero italico. Il pino domestico è il vero simbolo di albero italico. Non a caso gli inglesi lo chiamano Italian stone pine e in Francia Pin d'Italie. È l'albero di casa nostra perché il paesaggio mediterraneo non è umile né dimesso. È grandioso, solenne, rifiuta la pompa dei colori esotici tropicali. Il pino, questo grande e maestoso albero, dall'odore penetrante, caratterizza, fino a diventarne l'icona, la macchia mediterranea dei litorali tirrenici, adriatici e ionici e delle isole di Sardegna e di Sicilia.
Terapia individuale sistematica con il coinvolgimento dei familiari significativi. I cormorani sono uccelli marini che prima di abbandonare il nido regrediscono a comportamenti appresi nelle prime ore di vita: dondolano, pigolano, per poi spiccare il volo. Fanno un passo indietro per farne due in avanti, in una sorta di reprogressione" biologica. Quest'immagine viene ripresa dall'autore al fine di illustrare la propria filosofia terapeutica nel trattamento individuale dei pazienti con il coinvolgimento dei partner e dei familiari significativi. "
Sono tanti i cattolici della storia dell'Italia unita, personaggi noti e indimenticabili, altri dimenticati o poco considerati. La collana, con testi di agile lettura scritti da storici e giornalisti di fama, si propone di raccontare la vita, le opere e il pensiero, perché non si può leggere il presente se non si conosce il passato.
Gli individui sono tutti diversi fra loro. E non è solo questione di genere, statura, pelle, capelli, iride degli occhi. Non è un fatto che riguarda solo il corpo, ma anche il carattere, le emozioni, le simpatie e le antipatie, le paure, i ritmi del pensare e del vivere. Ciascuno di noi lascia un'impronta, anche solo digitale, che è solo sua. In questo scenario di tante diversità, ve ne sono alcune che possono ingannarci e farci credere che la realtà umana sia composta da due categorie, riconducibili al normale e all'anormale. In realtà, tutti nasciamo fragili, anche se ci illudiamo che si tratti di una malattia infantile che passa crescendo, oppure di qualcosa che appartiene agli altri e che si possa conoscere solo dall'esterno attraverso una fredda e scientifica diagnosi. Invece, nessuno è al riparo dalla fragilità, dalla quale cerchiamo comprensibilmente e invano di difenderci, una dimensione che riguarda tutti e coinvolge pienamente i processi dell'educazione e le pratiche della cura di sé e degli altri.
Negli ultimi anni del Settecento, nel dipartimento francese dell'Aveyron, un gruppo di cacciatori trova e cattura in una foresta un bambino abbandonato. Nudo e dall'aspetto sudicio, viene tenuto prigioniero, esibito alla curiosità della gente e portato a Parigi. Il medico Jean Itard, rifiutando la tesi dei colleghi che reputano il «selvaggio» un ritardato mentale irrecuperabile, decide di approfondire lo studio e tenta di educarlo. Il bambino viene così condotto a casa del medico, che inizierà a prendersene cura cercando di reinserirlo nella vita sociale. La vicenda, narrata anche in un celebre film di François Truffaut, divenne il punto di riferimento per la ricerca sugli handicap ed è il filo conduttore di questo libro, incentrato sul rapporto tra disabilità, identità ed educazione.