
Il Sud si sta svuotando di anime, culture e popolazione, tra emigrati e denatalità. Marcelle Veneziani non parte dal Nord e si ferma a Eboli, come Levi col suo Cristo, ma parte dal Sud più estremo e profondo e arriva a Eboli. Risultato del suo viaggio è un rapporto letterario e civile sul Meridione presente e passato che si dipana tra rifiuti e ricordi, tradizioni e degrado, cafonerie e cavallerie rusticane, ragioni e sentimenti, passando per contrade reali e allegoriche. Le località toccate diventano location per ambientare temi e personaggi, scorci e denunce, colore e cultura, malavita e folclore. Rabbiose critiche si alternano ad appassionate difese, partorite entrambe dall'amore per quelle terre. Nelle sue storie e storielle, Veneziani capovolge l'idea crociana di un paradiso abitato da diavoli, e teme invece che il Mezzogiorno stia diventando un inferno abitato da angeli in fuga per salvarsi da soli e non dannarsi insieme. Il suo resoconto assume una varietà di registri narrativi: dalle denunce giornalistiche alle nostalgie, dai ritratti parodistici al saggio storico, fino a lambire un sobrio «matriotti-smo» terrone e comporre una specie di manifesto sudista.
Le celebri lettere di Seneca a Lucilio sono uno dei classici della letteratura latina oltre che un long seller di molte case editrici: nessuno ha mai finora, però, letto le risposte dell’amico e poeta Lucilio. Con duemila anni di ritardo Lucilio, attraverso la voce di Marcello Veneziani, risponde alle famose epistole di Seneca completando così la corrispondenza. Venti lettere che riprendono i principali temi originali, dalla felicità alla bellezza, dal potere alla morte, dalla ricchezza alla saggezza, replicando di volta in volta agli insegnamenti e alle considerazioni senechiane. Emerge, oltre allo spirito dell’epoca, una riflessione sulla vita che va “non solo vissuta ma pensata e dedicata” e sul suicidio, che a volte, come nel caso del filosofo, diventa una necessità per “vivere nella verità della vita”. Un’opera lieve, non accademica, tra la morale e la filosofia di vita, non priva di analogie, parallelismi e allusioni al tempo presente.
*********LA NOSTRA RECENSIONE********* DI FRANCESCO BONOMO
Alle volte si fa fatica a trovare un libro che corrisponda al proprio sentire ed alla soddisfazione delle proprie aspettative. Capita di vagare tra gli scaffali dei propri argomenti preferiti senza però riuscire a fermare lo sguardo su quel titolo desiderato. Inaspettatamente un fatto di cronaca o di attualità fa saltare all'attenzione dell'intelletto proprio il testo che si cercava, quello adatto, quello che sia in grado di risvegliare il piacere della lettura.
Con Vivere non basta molti hanno sperimentato questo tipo di eventi.
Un libro nuovo, sulla scia della fantasiosa scoperta delle lettere che Lucilio scrisse a Seneca; ecco allora che un personaggio di spessore come il grande filosofo, torna a galla dall'aurea di classicità in cui gli accademici lo hanno relegato.
Ed oggi ancora invece grazie ad un appassionato come Veneziani, il lettore si trova non tanto a riprendere in mano la filosofia ed il latino classico ma a gustare lo stile classico che ancora ci fa pensare e gustare il raziocinio in una sfera più alta. In questo testo, ardito per l'accostamento al nobilissimo destinatario/mittente Seneca, uno stile buono, fluente e perfettamente maturo si estende in una serie di lettere al “maestro” con cui Lucilio quasi interloquisce o si confessa vis à vis con l'amato, dotto ed illustre amico. Lucilio portando nella sua penna le gioie e le angosce, le domande e le ribellioni di ognuno di noi espone al maestro la sua visione del mondo che vuole essere e al contempo non vuole essere quella di Seneca stesso.
Il fluire dolce e rispettoso dell'autore delle missive si cimenta in una serie di esposizioni in cui di volta in volta si asseconda o si critica in senso costruttivo quelle che sono state le idee stesse del filosofo, incredibilmente attuali ed eccezionalmente vicine al messagio cristiano.
Non c'è ipocrisia in queste pagine. Si affrontano i problemi e le domande con un principio solido di maturità, in cui le fasi della vita ed i vari aspetti che la animano - il dolore, la gioia, l'amore e le sue manifestazioni - sono messe a disposizione della riflessione di ognuno dei lettori, quasi ad imbandire una tavola da cui attingere ma senza idee precostiutite o intoccabili.
Fa sempre piacere incontrare autori come Veneziani, perché nella produzione scrittoria se ne percepisce il senso ed il desiderio di voler comunicare l'umanità, un umanesimo che non stanca per la monotonia di idee prese in prestito ma che attinge direttamente all'esperienza della propria corporeità.
Esperienza del limite e della grandezza dell'uomo in un lodevole intento di condivisione nella sua forma più alta e sublime che è quello del pegno dello scrittore nei confronti del lettore.
Il messaggio è chiaro e forte: anche oggi gli individui non possono limitarsi a vivere la vita che hanno ricevuto ma devono potersi impegnare affinché la preziosità dell'esistenza sia spesa nel dedicarsi, facendo fruttare le ore del nostro vivere nella delicatezza dell'implicito donarsi.
Dio, patria e famiglia sono tramontati. Un declino graduale, lungo la modernità, accelerato nel Novecento, esploso nei nostri anni. Sono stati il fondamento ideale e morale, storico e pratico della vita umana e di ogni civiltà. Il crollo di un muro, due torri e tre principi è alle origini della nostra epoca. Con il muro di Berlino cadde il comunismo, sorse l'Europa e dilagò la globalizzazione. Con le due Torri gemelle cadde la supremazia inviolata degli Stati Uniti e riemerse la storia dal fanatismo. Ma col declino di religione, patria e famiglia si spegne la civiltà e si ridisegna radicalmente la condizione umana. Di tale crisi di solito non ci diamo pensiero, ma ne scontiamo gli effetti ogni giorno. Ereditiamo il vuoto e la perdita di questi tre cardini con la stessa naturale passività con cui i nostri padri ereditarono la fede e la loro osservanza. In queste pagine Marcello Veneziani non esorta a barricarsi tra le rovine, fingendo che nulla sia accaduto, non coltiva illusioni. Ma cerca di capire i motivi della loro caduta, ne osserva l'assenza nel mondo presente, riflette su cosa ci siamo persi e cosa abbiamo guadagnato, cosa c'è al loro posto e da cosa oggi si può ripartire per rifondare la vita. Un viaggio che si dipana tra filosofia ed esperienza individuale, pensieri dell'anima e sguardi sul nostro tempo. L'incontro con Dio, patria e famiglia avviene seguendo un percorso originario e originale.
Il Sud è la strada di casa e il calore materno delle origini. Tornare a sud dà frutti quando si avvera e dà fiori quando non si avvera. I primi a volte sono dolci e a volte amari, i secondi si nutrono di nostalgia. Al Sud si va in vacanza o si rientra a casa, è l'aria aperta e i frutti appesi, la vita della natura e nella calura. Se il Nord guida il mondo, il Sud lo sorregge; è il suolo della vita, è il luogo della nascita, è la credenza dei ricordi. C'è sud nei tre quarti del pianeta e nei tre quarti del nostro Paese; il Sud esporta umanità. Anche ora che il Sud sprofonda e i ragazzi fuggono, c'è una forza di gravità o di attrazione che spinge verso sud anche chi non è nato a sud; c'è sempre un famigliare, un'origine, un ricordo, un richiamo che ti porta a scendere. Questo libro - che nasce dalla riscrittura e ampliamento di due precedenti opere, "Il segreto del viandante" e "Sud. Un viaggio civile e sentimentale" - è scandito in tre tempi, il passato, il presente e il ritorno a casa, e in tre toni, curioso, divertente e malinconico, più un ragionamento finale sui sentimenti per dedurre la geo-filosofia del Sud, il pensiero del ritorno. Il viaggio scorre attraverso le contrade del Meridione, i suoi punti cruciali, i suoi luoghi d'ombra e di luce. E per compagna di viaggio, madre e matrigna, la nostalgia, che muta l'amaro in amore di ciò che si è perduto.
Alla fine, ridotti all'essenziale, non siamo che anima e corpo. Il corpo è diventato la nostra ossessione vitale, sessuale e sanitaria. E l'anima è il nostro rifugio leggiadro nella vaghezza, testimonial di dediche e canzoni, ombra emotiva, ottimo titolo per CD, libri e terapie. Il corpo viene "alla" luce, l'anima viene "dalla" luce. L'anima è il nostro cielo, il corpo è la nostra terra. In queste pagine, leggerai una breve storia di ambedue, una sarà universale e impersonale, l'altra sarà intima e puerile. Poi entrerai nel cuore dell'anima e delle sue passioni e t'inoltrerai come un visitatore nel tuo corpo, raccontando dal vivo la sua scoperta e i suoi ricordi. Quindi cercherai nell'amore la sintesi di anima e corpo e avrai eros come guida. Viceversa troverai nella morte la loro separazione, quando verranno a prenderci i nostri cari perduti. La connessione anima la vita, la separazione la spegne. Tornando alla vita di ogni giorno, affronterai questa diffusa stanchezza di vivere, questa sfiducia nel mondo, nel futuro, in Dio, negli altri e in noi stessi... Questa perdita di luce e d'incanto, questo scivolare nella china dell'epoca e questo incenerire continuo di vita, progetti e passioni. Se tutto fuori crolla, muta, si spaesa, l'ultima casa che ci resta, la più esile e la più duratura è l'anima, rifugio estremo, spalancato sul precipizio dello svanire. Queste pagine s'interrogano su quel che resta di ciò che vivi e che fai, e cosa portare in salvo...
Col piglio del cantastorie più che dello storico, Marcello Veneziani ci narra la vita di uno dei grandi filosofi italiani. Tutto scorre come in un racconto, ma tutto è veritiero: la nascita e l'infanzia travagliata; il lavoro di precettore; i primi passi accademici; le incredibili vicissitudini familiari; i rapporti con la Chiesa, i reali e la nobiltà; le opere incomprese; la vecchiaia, la morte e la farsa dei funerali ripetuti; la gloria postuma.
Come si può continuare a vivere quando con l'età, i fallimenti e le delusioni si è persa la speranza in tutto ciò che in passato dava un senso alle proprie giornate: idee politiche, relazioni umane, l'esattezza rassicurante della scienza, Dio? È venuta meno la speranza che le cose possano durare ed è venuta meno anche la speranza che le cose possano cambiare. Ma dopo la speranze finiranno anche le disperazioni. Con sguardo lucido e disincantato, Marcello Veneziani propone al lettore un manuale di consolazione per reagire al declino e far nascere la fiducia dalla disperazione. Si interroga sul mondo, sul tempo, sulla politica, sull'età che avanza, rivolge una lettera a un ragazzo del duemila e una postilla a un bambino neonato. E suggerisce un quadrifarmaco per affrontare un tempo che non ci piace, curare il pessimismo, ripararsi dal potere e finire in bellezza. Un libretto d'istruzioni per smontare e rimontare la vita, accettarla ma non subirla. Cosa mettere in salvo, prima che faccia notte, sapendo che il mondo non inizia e non finisce con noi.
«Ma in che mondo viviamo? Abbiamo perso il senso del presente e non riusciamo più ad avere una visione generale della realtà. È come se fossimo sotto una cappa. Ne avverti il peso, anche se non ha fattezze e non ha confini, è ineffabile e avvolgente. La Cappa occulta la bellezza, la grandezza, il simbolo, il mito, il sacro, il mondo reale». Proseguendo nella sua indagine sulle radici del nostro vivere, Marcello Veneziani si interroga sulla scomparsa della realtà, della tradizione, della natura. Ci invita a prendere coscienza di un'adesione automatica al canone dominante, tra divieti, obblighi e cancellazioni veicolati da media e poteri. «Tutto perde contorno, consistenza, memoria e visione», scrive l'autore. «I sessi sconfinano e mutano, le differenze scolorano e si uniformano, la natura è abolita, la realtà è revocata; la nuova inquisizione censura e corregge, il regime di sorveglianza globale traccia e controlla la vita tramite l'emergenza e la priorità assoluta della salute, domina il vivere a ogni costo. Ma anche il passato sparisce, tramonta ogni civiltà; svaniscono i luoghi, compresi quelli di lavoro, in una società delocalizzata, senza territorio. La schiavitù prosegue a domicilio, con l'home working. Perdendo il mondo ripieghi su te stesso, in un selfie permanente; la Cappa favorisce il narcisismo solitario e patologico di massa». Un excursus ragionato tra le follie odierne e i tabù vigenti, un serrato esercizio di critica per vivere il presente e non subirlo. Con il proposito finale di tentare un nuovo assalto al cielo per liberarlo dalla Cappa.
La nostra è la prima epoca senza eredi. Non riconosciamo eredità ricevute e non lasceremo eredità da trasmettere. Nessuno continuerà l'opera, nessuno salverà quel che poteva e doveva essere salvato. Non lasceremo tracce. Il tempo non è galantuomo ma smemorato: non renderà giustizia. Viviamo tra contemporanei senza antenati né posteri, uniti solo dal vago domicilio nella stessa epoca; non consorti, al più coinquilini occasionali. È l'epilogo coerente di una società senza padri divenuta società senza figli. E ciò vale a partire dagli autori e dalle loro opere. Per reagire a questa amnesia, cancellazione ed emorragia, e salvare il salvabile, Marcello Veneziani ha composto una raccolta di settanta miniature di saggi, succinte biografie, profili non convenzionali, in vari casi sconvenienti. Da Pascal a Vico, da Leopardi a Manzoni, da Baudelaire a Proust e a Kafka, da Vattimo a Ratzinger, fino ai pensatori e agli scrittori più vicini a noi e viventi. Prima di loro, a essere senza eredi sono i classici, i grandi del passato, cancellati o abbandonati, quando non maledetti. Siamo scesi dalle spalle dei giganti. Senza eredi non è possibile nemmeno un pensiero nuovo, rivolto al futuro e all'essenziale, in grado di superare la nostra società dell'oblio che tende a perdere il senso critico, la cultura e l'umanità. La vera sciagura del presente non è l'avanzata dell'Intelligenza Artificiale ma la ritirata dell'Intelligenza Umana. Non resta che ribellarsi a questa china riscoprendo un diverso destino.
"Comizio d'amore. Voglio bene all'Italia anche se mi fa male vederla così. Voglio bene all'Italia anche se è davvero malata, ma questo è un motivo per amarla di più. La vedo tutt'altro che eterna e possente, la vedo fragile e assente, molto invecchiata; la vedo stanca e spaventata, la maledico, ma è una ragione di più per darle il mio fiato. Perché l'Italia non è solo una Repubblica. L'Italia è mia madre. L'Italia è mio padre. L'Italia è il racconto in cui sono nato. L'Italia è la lingua che parlo, il paesaggio che mi nutre, dove sono i miei morti. L'Italia sono le sue piazze, le sue chiese, le sue opere d'arte, chi la onorò. L'Italia è la sua storia, figlia di due civiltà, romana e cristiana. L'Italia è il mio popolo e non riesco a fare eccezioni, quelli del Nord, quelli del Sud, quelli di destra o di sinistra, i cattolici o i laici. Ho preferenze anch'io, ma non riesco a escludere per partito preso. Non escludo chi parte e nemmeno chi arriva. L'Italia è il ragazzo che va all'estero, l'Italia è l'immigrato che si sente italiano. Ho gerarchie d'amore; amo prima e di più chi mi è più caro e più vicino, come è naturale. Vorrei che l'Italia fossero pure i figli dei miei figli. Vorrei poi che l'Italia premiasse i migliori e punisse i peggiori, ma voglio che resti Italia. Con l'Europa o senza. Repubblica vuol dire che l'Italia è di tutti e lo spirito pubblico prevale sull'interesse privato". (Marcello Veneziani)
Il mito è il racconto sorgivo sulla nascita della vita, del pensiero e del mondo, che si esprime nella parola e nel silenzio, nell'arte e nella preghiera, nel gioco, nel canto e nella poesia elementare della vita. Non è verità né illusione, abita su un altro piano: è ordine nella bellezza. Sul mito si fondano la storia, la politica, perfino il cinema e la pubblicità; mitico è l'amore e così l'infanzia. Quando però i miti sono negati, crescono al loro posto idoli e surrogati, come quelli che ci circondano oggi. In questo libro Marcello Veneziani si propone di recuperare la dimensione autentica del mito per porlo al centro dell'esistenza e rispondere così a un desiderio profondo e diffuso di «vita superiore». Dopo la disfatta di religione e filosofia, per compensare lo strapotere della scienza e contendere la sovranità alla tecnica e alla finanza, non resta che affidarsi al «mitopensiero». Senza miti, infatti, la vita non è affatto più libera, più autonoma, più razionale; solo più povera, più insensata, più labile. All'uomo di oggi - scrive Veneziani - «il mito non offre profitti ma fondamenti, non assicura vantaggi ma significati. Dona bellezza, irraggia gli eventi e illumina i volti».
Cosa accomuna Dante e Oriana Fallaci, Walter Benjamin e Yukio Mishima, Julius Evola e Umberto Eco? Ripensando alle voci che più lo hanno influenzato, Marcello Veneziani ha costruito un affascinante itinerario attraverso idee, opere e autori. Gran parte di questi può essere ricondotta a una particolare famiglia definita da Cristina Campo degli «Imperdonabili»: irregolari del pensiero che non si accontentarono del loro tempo, ma lo contraddissero, spesso creando nuove visuali o attingendo a tradizioni più antiche.
Percorrendo ambiti diversi – dalla filosofia alla letteratura, fino al grande giornalismo –, si raccontano tratti salienti, aspetti intriganti, sguardi e vite di ciascuno di questi maestri. Dai giganti, come Machiavelli e Schopenhauer, alle intelligenze pericolose di Michelstaedter e Heidegger; dagli spiriti inquieti di Wilde e Chatwin a Pirandello e Arendt, sismografi di un’epoca; dalle penne di Kraus e Guareschi, che hanno lasciato il segno, alle presenze oniriche e alle assenze profetiche di Goncarov e Zambrano: un ideario coerente, ma non organico, in cui si riflette la sensibilità di un conservatore curioso, a tratti reazionario, che ama la tradizione e pratica la ribellione, in rivolta contro le dominazioni della contemporaneità.
Un atlante di figure, scritture e pensieri.