
Dubbi, angosce, perplessità; o, invece, cieca fiducia nel progresso inevitabile? Sono tanti i sentimenti che proviamo di fronte alla facilità con cui i nostri ragazzi, "i nativi digitali", maneggiano chat, social network, navigano in Internet, si scambiano post e foto. Un modo di comunicare e relazionarsi agli altri che fa loro bene o male? Quali problemi educativi apre? E l'adulto-educatore che ruolo deve svolgere? Interrogativi da prendere sul serio, a casa come a scuola. Ecco allora un prezioso aiuto. Un manuale formato "smart", con situazioni concrete, piste di lavoro, testi di approfondimento per orientarsi nel complesso mondo dei nuovi media e delle sue molteplici sfaccettature. Con l'obiettivo di non fare un passo indietro ma accompagnare le nuove generazioni in un uso consapevole della rete. Perché non basta conoscere lo strumento da un punto di vista tecnico: i "buoni navigatori" sanno ascoltare, interrogarsi e, quando serve, fermarsi a riflettere.
Le "app", o applicazioni software, fanno ormai parte della vita di tutti noi. L'attuale generazione di giovani in particolare è profondamente dipendente dai media digitali. Howard Gardner e Katie Davis non per nulla chiamano i giovani d'oggi la "generazione app" e in questo suggestivo libro cercano di capire che cosa significhi essere app-dipendente rispetto ad app-attivo e in che modo la vita di questa generazione si differenzi da quella che precede l'era digitale. Tre sono le fondamentali aree dell'esistenza degli adolescenti qui prese in considerazione: l'identità, l'intimità e l'immaginazione. Attraverso innovative forme di ricerca, che comprendono interviste con ragazzi, focus group di quanti lavorano con loro e una comparazione unica nel suo genere di produzioni artistiche giovanili di prima e dopo la rivoluzione digitale, gli autori svelano quali siano gli inconvenienti delle app, che possono ipotecare il senso d'identità, incoraggiare relazioni superficiali con il prossimo e ostacolare l'immaginazione. D'altra parte le opportunità offerte dalle app sono altrettanto impressionanti: possono al contrario promuovere una forte identità, consentire relazioni profonde e stimolare la creatività. Possono essere un freno o uno stimolo. La sfida consiste nel saper andare oltre le modalità prestabilite di utilizzo. Solo così il loro potere può diventare un trampolino per una maggiore inventiva e più alti obiettivi.
"Perché gli italiani passano il tempo a darsi degli imbecilli a vicenda? Per via di quello che è successo negli anni Ottanta." Alessandro Aresu è nato nel 1983, è cresciuto negli anni in cui la televisione commerciale è diventata un fenomeno di massa e i cartoni animati uno dei miti fondativi dei ragazzi di allora, oggi giovani adulti in una società gerontocratica che non solo offre poche possibilità di esprimere i loro talenti ma che, soprattutto, non riconosce o sottovaluta la "generazione Bim Bum Bam". Nati tra il 1975 e il 1990, i suoi rappresentanti sono cresciuti con Uan e BatRoberto, mentre la vecchia Italia si dibatteva tra debito pubblico e stragi di Stato e la Cina cominciava il suo travolgente processo di trasformazione. Per raccontare la storia di questa generazione ci sono due alternative: "Una è giocare e fare sul serio allo stesso tempo, e l'altra è pensare di essere un popolo di imbecilli e darci degli imbecilli a vicenda. La prima è divertente, la seconda inutile. Questo libro sceglie la prima strada per sbarazzarsi della seconda". Domanda precisa: Cosa è successo nel 1981? Risposta precisa: Provano ad ammazzare Reagan ma anche (non secondario) Cristina D'avena e Alessandra Valeri Manera si incontrano a Bologna e nasce Bim Bum Bam. Domanda precisa: Quanto duravano i discorsi di Aldo Moro? Risposta precisa: Infinite sigle dei cartoni animati. Domanda precisa: Che cos'è la CEI? Risposta precisa: La Certezza di Essere Incapaci di risolvere qualunque problema.
Il libro parte da quell’esperienza straordinaria che fu la Scuola di Barbiana, ma non parla in senso stretto di don Milani, sul quale, nei cinquant’anni trascorsi dalla sua morte e dalla pubblicazione della Lettera a una professoressa, si è dibattuto e scritto moltissimo, con esiti che vanno dall’apologia alla critica feroce a un utilizzo fecondo delle sue idee.
Qui si vuole invece ricostruire il contesto di grande fermento sociale e culturale in cui quelle idee si diffusero, attraverso i brevi racconti autobiografici di quanti proprio in quegli anni diventavano «giovani maestri» portando dentro di sé l’ispirazione milaniana, con modi, intensità e risultati diversi.
In questo quadro ricco di storie e di memorie, utili a cogliere lo spirito di un’epoca, emergono forti la spinta etica e pedagogica nata dalla Scuola di Barbiana e la necessità di continuare a coltivare quelle istanze rinnovandole e adattandole al mondo d’oggi, sotto la stella garante dell’inclusione, che rappresenta il vero terreno di azione e di miglioramento per la scuola e per le generazioni future.
Senza, non riescono a stare. Vivono immersi nello schermo dello smartphone, o in quello del pc, perennemente connessi tra loro e con il mondo, ma spesso sconnessi dalla realtà. Sono le nuove generazioni, dai Millenials in poi, "nativi digitali" e cittadini virtuali del mondo intero. A tavola, a scuola, al cinema, al bar, non se ne separano mai, e il timore più grande è non avere campo o credito.
La psicologa Maria Rita Parsi indaga sulla "Generazione H", la generazione di ragazzi esposti sin dalla più tenera età alla seduzione del web. La facilità di accesso, le soluzioni immediate a ogni problema, da quelli scolastici a quelli esistenziali, la semplificazione delle relazioni fanno di internet il mondo parallelo perfetto, al cui confronto quello reale appare faticoso e deludente. Per questo gli adolescenti ci passano tanto tempo, come qualunque genitore sa bene. E pur senza arrivare agli estremi della sindrome di Hikikomori, la H del titolo − quel fenomeno nato in Giappone che riguarda ragazzi che si chiudono nella loro stanza e vivono solo in rete, senza lavorare, né studiare, completamente staccati dai genitori, dagli amici, dalla realtà −, la pervasività del virtuale nella vita dei giovani pone qualche dilemma su come relazionarsi con questi alieni. E vigilare affinché i limiti non vengano superati.
Le storie di ragazzi che hanno rischiato di perdersi nel mondo virtuale mostrano i pericoli dell'uso incontrollato del web, ma dimostrano anche che affrontarli senza demonizzarlo è possibile, e indispensabile. Con il contributo di genitori, insegnanti ed educatori, per proteggere il capitale più grande di ogni società: il benessere psicofisico dei giovani.
Dopo gli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, Bruxelles e Londra ciascuno si è chiesto, almeno una volta, per quale motivo dei giovani nati e cresciuti in Europa finiscano per scegliere la violenza disumana del Califfato. Olivier Roy propone una chiave di lettura sconcertante: non è l'integralismo islamico la prima causa di questo terrorismo, ma un disagio tutto giovanile, un'esigenza folle, violenta e fuori controllo di rottura generazionale. Certo, per compiere questa rottura c'è bisogno di un pretesto. E questi giovani lo trovano facilmente nell'odio puro ostentato dall'lsis. Dopo "Global Muslim" e "La santa ignoranza", Roy ritorna con un'analisi attualissima che propone l'"islamizzazione del radicalismo" come soluzione interpretativa del terrorismo contemporaneo. Il fenomeno riguarda soltanto alcune migliaia di giovani musulmani e pochi convertiti, che appartengono a una generazione del tutto estranea a quella dei propri genitori. Il sociologo indaga le loro abitudini, si chiede che musica ascoltino, chi siano i loro eroi, scopre che non sanno quasi nulla del Corano e che frequentano raramente le moschee. E dimostra che la loro ostilità non affonda le radici nello scontro di religione, ma esprime un'esigenza di rottura che si rivolge non solo contro la cultura dei genitori, ma anche contro la società in cui sono nati, cioè quella occidentale. Da qui proviene il nichilismo radicale al quale il Califfato, con la sua violenza e la promessa di un aldilà paradisiaco, offre un rimedio "nobile" e un'occasione per diventare martiri, veri eroi.
Luciano Ligabue ha sempre sostenuto - e lo ribadisce nel testo scritto appositamente per questo volume - di avere un pubblico particolare. Non solo "bello", né semplicemente "diverso" da tutti gli altri, ma proprio "speciale", e che dunque meritava di essere raccontato in presa diretta. Emanuela Papini raccoglie la sfida con un libro che nasce come testimonianza di amore reciproco e di reciproca gratitudine tra un cantautore e il suo pubblico, ma che è diventato molto di più. Perché Ligabue ha ragione: nelle storie della "sua gente" c'è il ritratto emotivo di un pezzo d'Italia meravigliosa e vera, in equilibrio precario ma forse mai così viva. Un'Italia fatta di persone che lottano, amano, credono, sognano, soffrono, rischiano, imparano, qualche volta perdono ma continuano a provare, e infine vincono. La loro quotidianità è il tessuto di un romanzo cantato in coro in cui è facile riconoscersi, perché è un po' la nostra quotidianità. E sullo sfondo, in ogni pagina, ci sono le canzoni di Ligabue: la colonna sonora che accompagna le nostre vite e qualche volta - e allora è una piccola magia - le cambia.
A che età mettere nelle mani del figlio un tablet? Quante ore di computer al giorno consentire? Che cosa dirgli se si scopre che visita siti non adatti alla sua età? Sono questi i dubbi e le domande che assillano padri e madri preoccupati dell'effetto delle nuove tecnologie sullo sviluppo fisico, intellettivo, scolastico ed emotivo dei loro figli, i cosiddetti "nativi digitali", esponenti della nuova "generazione tablet". Cresciuti in un ambiente sempre più affollato di nuovi media, che hanno imparato a conoscere fin dai primi mesi di vita, sono perennemente connessi e stabiliscono e coltivano relazioni e legami d'amicizia attraverso i social network. Ed è proprio il timore di un'eccessiva dipendenza dai rapporti virtuali e di un pericoloso allontanamento dalla realtà che porta spesso i genitori a controllare ossessivamente, o addirittura a proibire, l'uso di cellulari e videogiochi. Prendendo atto della profonda rivoluzione culturale innescata da internet e dal progresso tecnologico nel campo delle telecomunicazioni, Katia Provantini e Maria Longoni ne illustrano tutte le problematicità e le insidie, ma insieme, analizzando con cura le fasi della crescita psicofisica e delle modalità di apprendimento da zero a dodici anni, ne sottolineano i numerosi aspetti positivi, anche in questa fascia d'età. E indicano ai genitori come accompagnare passo passo i loro ragazzi in tali esperienze, come aiutarli a sviluppare il senso critico e a raggiungere la necessaria "saggezza digitale".
Alla freccia lanciata dalla prima pagina di “Repubblica” – con lo stratagemma retorico di una lettera al figlio che, terminati gli studi, viene invitato a lasciare il Paese e cercare lavoro all’estero –, segue questo agile saggio, in cui Pier Luigi Celli ripercorre le polemiche infuocate provocate dalla sua sortita, sincera, in relazione a un problema molto serio: il futuro dei nostri figli. Il direttore generale della Luiss, la prestigiosa università di Confindustria ci parla dell’Italia di oggi. E lo fa analizzando con competenza, ironia e consapevolezza anche molto critica le regole che governano il lavoro, quelle che determinano l’accesso al lavoro, e ancora quelle che riguardano la formazione: gli studi e il sistema di trasmissione del sapere e del potere, un pamphlet caldo e leale su molti vizi e poche virtù. Celli trova che l’attuale classe dirigente manchi di onore ed è profondamente perplesso sul futuro socioeconomico del nostro Paese, attualmente non vede nulla all’orizzonte. Dopo anni di battaglie per il cambiamento, la sua diagnosi è radicale: “Se avessi vent’anni, me ne andrei all’estero”. Il mondo è per fortuna vasto e meraviglioso: che male c’è a volerlo conoscere?
Adolescenti seduti allo stesso tavolo, con i propri smartphone nelle mani che, connessi ai social network o aperti su applicazioni di instant messaging, interagiscono altrove e con altri. Silenziosi, presenti nel corpo, ma distanti con la mente. In che modo, in età adulta, questa generazione digitale affronterà l'intricato mondo degli affetti? I grandi vantaggi e le meravigliose possibilità che la tecnologia ci offre possono nascondere criticità che si celano dietro l'"ossessione del virtuale"? Quali saranno le modalità espressive dell'amore e della sessualità? Quali i danni o i guasti o, perlomeno, i segni prevalenti che i nativi digitali porteranno con loro nell'età adulta? Le autrici, in queste pagine, ci raccontanto sessualità e affettività dei giovani di oggi che stanno diventando gli adulti di domani. Una mappa per comprendere una generazione profondamente diversa da chi l'ha preceduta.
Spesso definita dagli adulti in termini 'deprivativi' (gli adolescenti 'che non') o negativi (bulli, inattivi, prepotenti ecc.), questa generazione di adolescenti sembra mancare di risorse e competenze. Ma è davvero così? Questo libro cerca di rispondere alla domanda, presentando alcuni dati emersi dalla prima rilevazione della ricerca longitudinale Generazione Z, promossa dall'Istituto Toniolo di Studi Superiori in 36 scuole distribuite sul territorio nazionale, che ha coinvolto circa 6000 studenti. L'indagine, grazie al Positive Youth Development Approach, si propone di guardare alle risorse e alle capacità degli adolescenti piuttosto che ai loro limiti. Risorse e capacità che possono emergere anche grazie al contesto in cui nascono e crescono. In particolare, in questa fase della ricerca, sono stati presi in considerazione i seguenti aspetti: la presentazione dell'approccio teorico; il contributo che gli adolescenti sentono di poter dare alla famiglia, alla scuola e alla loro crescita; il contesto scolastico; l'uso dei media; i comportamenti a rischio 'tradizionali' (abuso di alcool, rapporti sessuali non protetti ecc.); lo studio delle lingue straniere. Chiudono il lavoro alcune indicazioni pedagogiche e riflessioni psicologiche sui risultati emersi.
Ogni generazione condivide il destino del proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro. La morte implica la trasmissione dei beni materiali da una generazione all'altra, ma quanto si riceve in eredità non sono soltanto cose: un intero mondo di simboli e principi si perpetua e si trasforma in questo passaggio secondo la prevalente logica del dono e della restituzione. Se in una delle canoniche divisioni della vita umana - quella tripartita in giovinezza, maturità e vecchiaia - la preferenza era data alla maturità, simbolo di pienezza e culmine dello sviluppo dell'individuo, oggi la gioventù e la vecchiaia si dilatano e la maturità si restringe. I giovani tendono a rimanere più a lungo a casa, i vecchi cercano una seconda giovinezza e restano spesso produttivi dopo il pensionamento. Anche per effetto della crisi del welfare state muta pertanto la trama dell'esistenza individuale e dei rapporti di solidarietà tra le diverse età della vita. Si indeboliscono, in particolare, i legami sociali e la fiducia tra le generazioni. Si potrà introdurre tra loro un nuovo, più equo e lungimirante patto? Quali saranno le modalità di restituzione di risorse materiali e immateriali - cose, sicurezza, affetti, autonomia - alle giovani generazioni?