
Questa biografia si basa su una lunga ricerca durata cinque anni, su un'analisi rigorosa delle fonti, molte delle quali inedite, e sulle testimonianze di chi conobbe il Che. In un libro che è contemporaneamente un saggio, racconto d'avventure, giallo, Kalfon, con una scrittura giornalistica e letteraria allo stesso tempo, fa emergere un'immagine del Che inedita che va oltre gli stereotipi, per consegnarci la storia di un uomo collocato nel suo tempo, nella sua famiglia, nella sua malattia, che tanta parte ebbe nel forgiare il suo carattere e che così profondamente influenzò le sue scelte di vita. Il volume contiene una prefazione di Manuel Vázquez Montalbán.
Nel 1995 un generale boliviano rivela a Jon Lee Anderson che il corpo del Che è stato sepolto segretamente in una fossa scavata sotto la pista di atterraggio di Vallegrande, in Bolivia. La notizia, uscita poco dopo sul "New York Times", dà inizio alla ricerca del corpo, i cui resti sono stati trovati solo nel luglio 1997. La scoperta ha condotto alla riesumazione e a una nuova sepoltura, con gli onori statali di Cuba. Jon Lee Anderson ha vissuto per tre anni a L'Avana e ha viaggiato in Sud America, in Europa e in Russia per intervistare i compagni del Che, alcuni dei quali parlano per la prima volta in questa biografia, e anche gli uomini della CIA che, con l'aiuto degli ufficiali boliviani, hanno dato la caccia a Che Guevara e l'hanno giustiziato. Ha avuto l'accesso esclusivo agli archivi personali del Che, curati dalla vedova Guevara, e a molti documenti prima sconosciuti del governo cubano. Diversi dettagli delle vicende che hanno coinvolto il Che sono a lungo rimasti avvolti nel mistero. La biografia di Anderson narra la sua vita straordinaria, dall'infanzia in Argentina ai campi di battaglia della Rivoluzione cubana, dalle sale del potere del governo di Castro al fallimento in Congo e all'assassinio nella giungla boliviana, il 9 ottobre 1967, in un resoconto che è anche la narrazione della storia dell'America latina durante gli anni drammatici della Guerra Fredda. Una ricerca che getta luce su una figura mitica che ha impersonato la forza utopica del comunismo rivoluzionario. Un ribelle che ha sempre inseguito un sogno: porre fine alla povertà e all'ingiustizia in America latina e nei paesi in via di sviluppo.
Gilbert Keith Chesterton: il più brillante giornalista dell'Inghilterra del XX secolo, scrittore poliedrico che seppe spaziare dai gialli, dov'era protagonista il suo personaggio più fortunato, il prete-detective Padre Brown, ai saggi storici, dalla politica alla filosofia, il tutto espresso con magnifica leggerezza, con l'uso magistrale del paradosso. Un uomo intenso, appassionato cercatore della Verità, un polemista che finiva per diventare amico dei suoi avversari. Un lucidissimo e profetico interprete della modernità.
A ottant'anni dalla sua morte Chesterton è più interessante che mai, e questo libro è la più completa guida al «Chesterton-pensiero» mai pubblicata.
Il volume è opera di Paolo Gulisano e don Daniele De Rosa.
Gesù Cristo non disse mai «Lazzaro, alzati e cammina!» .Galileo Galilei non esclamò «Eppur si muove!». L'adagio «A pensar male si fa peccato, ma spesso s'indovina» non è di Giulio Andreotti. Sarà vero l'aforisma di Winston Churchill secondo cui a Londra «un taxi vuoto si è fermato davanti al numero 10 di Downing Street, e ne è sceso Attlee»? No, falso: infatti si trattava di una carrozza e ne discese, a Parigi, Sarah Bernhardt. «Vivi come se tu dovessi morire subito, pensa come se tu non dovessi morire mai» sarà del filosofo Julius Evola o della pornostar Moana Pozzi? Sono passati più di vent'anni da quando Paolo Mieli, per due volte direttore del «Corriere della Sera», minacciò: «Una citazione latina sbagliata in un discorso o riportata erroneamente in un articolo dovrà diventare un'onta perenne, un guaio peggiore di un avviso di garanzia». Purtroppo, da allora, poco è cambiato, se non in peggio. Giornalisti e politici continuano ad attribuire pensieri in libertà a personaggi che non si sono mai sognati di esprimerli. Convinto che il "citazionismo" sia la deriva che più ha tolto credibilità alla casta degli scribi cui egli stesso appartiene, Stefano Lorenzetto ha sottoposto a radiografia detti, non detti e contraddetti, cercando di scoprire, per i più celebri, come e perché si siano diffusi in modo errato. I risultati dell'indagine risultano sconcertanti e al tempo stesso divertenti. L'esclamazione «Elementare, Watson!» non è mai uscita dalla bocca di Sherlock Holmes né tantomeno dalla penna di Arthur Conan Doyle. E, a dispetto dell'aneddotica circolante su Mike Bongiorno, la signora Longari ha spiegato all'autore di questo libro che non è mai caduta sull'uccello. Materia sterminata, infingarda, magmatica, cangiante. Forse perché «la vita stessa è una citazione», diceva Jorge Luis Borges (ma l'avrà detto davvero?).
"Chi brucia i libri finisce presto o tardi per bruciare gli uomini" (Heinrich Heine).
Hitler inaugura il suo regime con un gigantesco falò di libri; la furia degli ayatollah si scatena contro i Versi satanici di Rushdie; diversi celebri scrittori, da Virgilio a Kafka, decidono di distruggere la loro opera. Questi eventi hanno un denominatore comune? Una ricerca sorprendente attorno a un enigma fondamentale, quella della relazione dell'uomo con la biblioclastia. Fare luce su di esso ci consente di comprendere meglio le malattie politiche che hanno colpito il Novecento e che funestano anche questo secolo: totalitarismo, razzismo, e fondamentalismo. I risultati di questa indagine in chiave psicanalitica, che getta un nuovo sguardo sul pensiero di Freud, sono inaspettati e spiazzanti: dalla rivelazione che le grandi religioni si fondano sulla autodistruzione del loro testo più sacro, al ruolo - sempre più problematico - del Libro in una società senza Padre.
Gérard Haddad (Tunisi, 1940(, psicanalista e saggista, allievo di Jacques Lacan e Yeshayau Leibowitz, è uno degli intellettuali francesi più attivi nell'analisi dei fenomeni sociali che segnano il nostro tempo. Tra le sue opere ricordiamo: Manger le live (Grasset, 1984); Le jour où Lacan m'a adopté (Grasset & Fasquelle, 2002); Dans la Maine dormite de Dieu; Psychanalyse du fanatismo (Premier Parallèle, 2015), Le complexe de Cain: terrorismo, Maine de l'autore et rivalità fraternelle (Premier Parallèle, 2017). Con la moglie Antonietta ha pubblicato Freud in Italia. La psicoanalisi è nata in Italia, Xenia, Milano 1996.
Un libro di Enza Pulino sulla psicoanalisi che fa capire l'unica vera, profonda motivazione che dovrebbe avere ogni analista. Enza Pulino era una persona asciutta in tutte le sue manifestazioni, pertanto non troverete, in questi suoi lavori scientifici, una parola in piu, di troppo. Sebbene fosse fortemente appassionata soprattutto di psicoanalisi, ma anche di letteratura, di filosofia, di arte, di tutto cio che e cultura seriamente tramandata, non manifestava tale passione con ridondante esibizione. Al contrario era molto contenuta ed era insofferente alle manifestazioni di invadenza esibizionistica. Ma se la si stimolava con qualche domanda, apriva generosamente un ricco mondo interiore di erudizione ponderata, paragonabile solo a quella del suo maestro Francesco Corrao. Enza era l'incarnazione della genuina donna siciliana, capace, in silenzio e con modestia, di farsi carico dei grandi pesi che la vita ti fa incontrare, senza sottrarsene..." "
Oltre cento piccole biografie dei nuovi potenti di Mosca, i loro legami con la classe politica dell'Urss, la loro formazione, i ruoli avuti nell'apparato dello stato «socialista» e nel partito comunista. Un libro scritto da un esperto della politica e della società russe, a lungo vissuto a Mosca come corrispondente del quotidiano del Pci «L'Unità».
Negli Stati Uniti, patria del management, è celebrato come un innovatore alla maniera di Steve Jobs. In Italia, da cui è partito adolescente per tornare a capo dell'industria più rappresentativa del Paese, è un personaggio discusso al centro di alcune delle questioni politiche ed economiche più calde: un mito per alcuni, un provocatore per altri. Tra queste posizioni opposte - e probabilmente estreme - il libro presenta la visione del mondo di Sergio Marchionne attraverso la sua viva voce, senza interpretazioni ma con una ricerca attenta degli aspetti più caratteristici della sua storia, del suo modo di pensare e di agire in azienda e della sua leadership, affinché ciascuno possa valutare "in presa diretta" lo stile manageriale che lo contraddistingue: spesso inconsueto, a volte ingombrante, ma sempre schietto. Il testo è costruito attorno ai nuclei concettuali sui quali si sviluppa il "Marchionne-pensiero": le connessioni tra meritocrazia, leadership, competitività; l'eccellenza e l'innovazione; la creatività e il reengineering organizzativo, la globalizzazione e la nazionalità. E ancora: la cultura e l'identità aziendale; la rappresentanza dei lavoratori e degli imprenditori; le politiche nazionali ed europee, fino al rapporto tra economia finanziaria ed economia reale e gli effetti attuali della crisi. Un ritratto vivido e inconsueto. Un "alfabeto" utile per tutti coloro - ammiratori o critici - che vogliono farsi un'opinione personale sul manager italiano più internazionale.
Il potere in Italia è allo stato gassoso, senza un centro e senza una vertebrazione. È solo fondato sul denaro, quindi instabile e non in grado di ottenere una legittimazione. I partiti si sono trasformati in strutture di dominio personalistiche. La solitudine è, quindi, la cifra di un potere via via disgregantesi in un'Italia sempre più frammentata.
"Chi comanda nella città"? Nelle "Supplici" di Euripide, l'araldo di Tebe rivolge questa domanda all'ateniese Teseo. La risposta di Teseo, secondo cui Atene non conosce tiranni ed è governata democraticamente dal popolo, dà luogo a un aspro dibattito nel quale l'araldo sostiene le ragioni della monarchia autocratica, e Teseo quelle appunto della democrazia. In questo piccolo libro, Mario Vegetti - uno dei nostri massimi antichisti - presenta un quadro ricco e articolato del dibattito antico su chi abbia il diritto di esercitare il potere: la maggioranza, la legge, la forza, il capo carismatico, la competenza scientifica. .. Tutto un laboratorio di opzioni politiche, insomma, che sorprendentemente può ancora illuminare la riflessione sulle nostre democrazie in crisi.
Nella primavera del 1945 l'Europa, benché sconvolta dall'immane catastrofe del secondo conflitto mondiale, si sente rinata. Rinata perché la guerra è finita e perché è reduce dalla vittoria contro un nemico dell'intero genere umano: il nazifascismo. In Italia e in Francia tale successo è stato ottenuto anche grazie all'azione e al sacrificio delle donne e degli uomini che hanno dato vita alla Resistenza, ed è proprio in questi due paesi che si sviluppa con maggior vigore lo spirito costituente, cioè la volontà del popolo di stabilire regole di convivenza civile e un assetto istituzionale che scongiurino per sempre il ritorno agli orrori del recente passato. Fausto Bertinotti ricostruisce la genesi della nostra Carta repubblicana e il ruolo che ha avuto nei "trent'anni gloriosi" seguiti alla promulgazione. Alla luce di alcuni suoi articoli, essa appare agli occhi dell'autore come uno dei punti più alti del diritto costituzionale di tutti i tempi, poiché il suo destinatario non è più il cittadino indifferenziato, reso tale dalla legge, ma la persona così come storicamente si è andata definendo attraverso il suo lavoro, cioè la lavoratrice e il lavoratore in carne e ossa. Oggi le Costituzioni democratiche europee sono seriamente minacciate dalla "globalizzazione" e si registrano forti pressioni affinché vengano progressivamente sostituite da costituzioni materiali, che non sono frutto di assemblee costituenti ma di processi reali, le cui finalità spesso non sono neppure dichiarate.
Telecomunicazioni, trasporti, sanità, diritto, sono alcune delle grandi conquiste che l'umanità ha conseguito grazie all'evoluzione, lo studio e l'impegno di molte società. E le società islamiche? Loro non hanno contribuito a questa evoluzione, rimanendone passive beneficiarie. Fanalino di coda nelle graduatorie internazionali per democraticità, le società islamiche risultano essere, al contrario, ai primi posti per corruzione, nonostante nella loro religione risieda la soluzione a tutti i problemi socio-politici e giuridici. Diffamazione e islamofobia sembrano un pretesto per non accettare semplici constatazioni, come la chiusura delle frontiere alle migrazioni e le relative responsabilità.