
"'Carta straccia' non è un pedante trattato sui media. È un libro carogna, un racconto all'arma bianca, sornione e beffardo, pieno di ricordi. Mette in scena una quantità di personaggi, tutti attori di una recita alla quale ho partecipato anch'io: l'informazione stampata e televisiva, di volta in volta commedia o tragedia. Sono un signore che ha trascorso cinquant'anni nei giornali, lavorando in molte testate con incarichi diversi. Che cosa ho capito della mia professione? All'inizio pensavo che avesse la forza di un gigante, in grado di vincere su chiunque. Poi ho cambiato opinione: in realtà, il nostro è un potere inutile, serve a poco, non conta quasi nulla rispetto a quello politico, economico e giudiziario. Il perché lo spiego in 'Carta straccia'. Dopo un'occhiata al passato, la mia prima macchina per scrivere e l'apprendistato ferreo imposto da direttori senza pietà, vi compaiono i capi delle grandi testate di oggi. E i misfatti delle loro truppe. La faziosità politica dilagante. Gli errori a raffica. Le interviste ruffiane. Le vendette tra colleghi. Lo schierarsi in due campi contrapposti, divisi da un'ostilità profonda. Il centrodestra, dove si affermano Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri, con le campagne di stampa condotte senza guardare in faccia a nessuno. E il centrosinistra, dominato dalla potenza guerrigliera di Ezio Mauro e dalle ambizioni politiche di Carlo De Benedetti, nemici giurati di Silvio Berlusconi." (Giampaolo Pansa)
Hannah Arendt e Hermann Broch si incontrano per la prima volta nel maggio 1946: tra i due nasce un'intensa amicizia dell'anima e dello spirito come testimonia questo Carteggio. Broch era affascinato dal coraggio e dall'energia intellettuale della Arendt, la quale considerava La morte di Virgilio una delle più importanti opere letterarie della modernità, punto di congiunzione tra i romanzi di Proust e di Kafka. La corrispondenza getta luce sulle condizioni dell'esilio nei primi anni del secondo dopoguerra e presenta dibattiti su Albert Camus e Arthur Koestler, su Martin Heidegger e Karl Jaspers, sulla situazione tedesca e sui diritti umani.
A cento anni dalla nascita di Vittorio Sereni pubblichiamo il volume che contiene uno degli epistolari decisivi di Sereni poeta, uomo e uomo di cultura. Il rapporto con Luciano Anceschi dura quasi un cinquantennio e conta 257 missive, dagli anni universitari (complice il magistero di Antonio Banfi) all'anno della morte di Sereni avvenuta nel 1983. Al di là dell'afflato amicale, lo scambio diventa prestissimo tessitura di considerazioni sulla poesia, sulle letture comuni, sulla singolare tensione aperta fra il critico e il poeta. Entrambi solitari o comunque appartati, disegnano attraverso questo "dialogo sulla poesia" uno dei più importanti documenti sulla cultura italiana del secondo Novecento. Vi appaiono inoltre le incertezze e le contraddizioni del poeta diviso fra il verso e la "tentazione della prosa": come rammenta Niva Lorenzini, "lungo il carteggio si profila una interrogazione continua circa la solidità e autenticità di una vocazione messa ogni volta in discussione da Sereni, non senza asprezza, talora con astio". E d'altro canto è proprio da lì che si muove la complessa gestazione di quella "parca, sapiente modulazione armonica", come dice Pier Vincenzo Mengaldo, che è di fatto la voce della sua poesia. Il carteggio restituisce progetti, confessioni, conflitti, scommesse dentro un panorama che non è solo letterario, ma alla letteratura finisce con il tornare, con benefica ossessione.
Ezra Pound (Hailey, Idaho 1885 - Venezia 1972), riconosciuto fra i più grandi poeti del ventesimo secolo, è anche autore di originali saggi storici, economici e politici. L’Autore dei Cantos ha sempre sottolineato con fervore la necessità di studiare la storia e l’economia per poter apprezzare la bellezza e difendere la giustizia, che sono in fondo l’unica, vera missione di un poeta.
Anche se ha vissuto per decenni in Europa, Pound si è sempre considerato un autentico patriota americano, come dimostra il saggio, qui tradotto per la prima volta in italiano da Andrea Colombo, che esprime tutta la sua ammirazione per i primi Presidenti degli Stati Uniti d’America e in particolare per Thomas Jefferson e John Adams, uomini retti e colti, che si diedero alla politica nell’esclusivo interesse del loro popolo.
Il testo è preceduto da un importante saggio di Luca Gallesi, che ricostruisce motivi e contenuti della smisurata ammirazione di Pound per il Presidente Jefferson.
Nel settembre del 1976 Borges è a Madrid. Per la televisione della neonata democrazia spagnola è l'occasione giusta per intervistare il grande scrittore argentino. Ne esce una conversazione franca e diretta sull'universo borgesiano, sui codici che lo reggono, sullo stile numismatico che caratterizza e sulla sobrietà e metodicità della sua scrittura. Borges è infatti un vero e proprio collezionista, e la sua mente sembra fondersi con quella del bibliotecario descritto in uno dei suoi più celebri racconti. La letteratura scandinava, l'amore per la lingua tedesca, l'interesse per il taoismo, i suoi viaggi in Europa, il mai sopito fervore di Buenos Aires e il suo deciso antinazionalismo: questi solo alcuni dei temi toccati durante l'intervista, presentata qui per la prima volta al pubblico italiano. Dopo quattro anni, nell'aprile del 1980, Borges ritorna a Madrid, questa volta per ricevere Premio Miguel de Cervantes, il più importante riconoscimento letterario per la lingua spagnola, e concede una seconda, memorabile intervista alla televisione spagnola. L'immagine che filtra è quella di una figura sobria e persino un po' impacciata, ma sempre riluttante a far propri i vezzi retorici tipici dello scrittore alla moda. Eppure l'acume e la vertiginosa intelligenza di Borges, al servizio di uno stile rigoroso e poco incline agli eccessi formali, gli hanno garantito - malgré lui, come ricorda ironicamente -una fama pressoché universale.
È difficile pensare alla psiche come a qualcosa di catalogabile e all'inconscio, di per sé sconosciuto, come a un territorio che possa essere "cartografato" assegnandogli degli spazi ben definiti e tracciandone una mappa; eppure sappiamo che qualsiasi carta geografica, oltre che rappresentare luoghi e posizioni, è l'indicatore di percorsi possibili che permettono innumerevoli scelte. Mettendo in relazione diversi paesi e culture del mondo è ipotizzabile tracciare una mappa della psiche basata su interconnessioni e interferenze. L'immagine di un Atlante contribuisce a evocare il desiderio esplorativo che dovrebbe caratterizzare la diffusione della psicoanalisi nel mondo, ma anche la necessità di non perdere, nel continuo processo di ridefinizione e cambiamento, le coordinate che guidano il nostro discorso. Presentazione di Stefano Bolognini.
Osserva Walter Benjamin come la conoscenza in ambito letterario venga a darsi solo in maniera fulminea, laddove il testo continua a lungo a risuonare come un tuono. All'incontrario il lavoro critico - e questo lavoro critico di Maria Lenti - ha da sviluppare al massimo grado il nesso espressivo che lega la poesia, nel nostro caso quella dialettale, alla lingua nelle sue molte implicazioni: una lingua che fluttua per così dire nella propria materialità a qualche centimetro da terra. E una lingua cui la qualità a sua volta di poetessa della saggista urbinate reca l'apporto di un proprio linguaggio che contiene ovviamente gli echi di altre lingue e stili offrendo ai testi analizzati ulteriori parole e ritmi. Di fronte all'universo delle opere e dei poeti presi in esame, la voce di Maria Lenti non è una voce indifferente o neutra: non è voce che si privi di se stessa, come si è detto, ma è insieme il racconto di una vicenda espressiva, quella della letteratura italiana in neo-volgare, che ha anch'essa contribuito a non lasciar svanire nell'ombra il volto della poesia.
Il volume racconta una spedizione itinerante organizzata dalla Comandanzia General del Comitato clandestino rivoluzionario indigeno EZLN e dal CNI (Congresso nazionale indigeno), che ha raccolto tra villaggi e città almeno un milione di sostenitori e alla quale hanno aderito molti giovani "occidentali", tra cui un centinaio di italiani. Obiettivo del subcomandante Marcos era di lanciare un segnale di apertura e pace al nuovo governo attraverso un'operazione di "visibilità". In questo contesto si svolge l'esperienza del viaggio di Luca "Zulù" Persico, cantante della 99 Posse, che narra il rapporto affascinate e problematico con gli indios e la loro cultura, l'emozione di lavorare con il "sub", le difficoltà della vita "on the road".
Raymond Carver (1938-1988) è un grande scrittore americano, qualcuno lo ha definito un 'classico del Novecento'. Da molti è considerato il padre del 'minimalismo', cioè del modo di pensare l'arte dello scrivere in termini di essenzialità espressiva. Le sue opere sono state tradotte in oltre venti lingue. Su di lui sono stati scritti vari saggi e realizzati siti Internet. Carver nei suoi primi scritti si presenta con uno stile asciutto e capace di entrare nella drammaticità del quotidiano per approdare, nei testi successivi e più autentici, a un'apertura alla speranza e alla comunicazione. Ma è nella poesia la radice profonda della sua ispirazione letteraria: uno spaesamento esistenziale, la paura della morte, il bisogno di comunicare in modo sincero, di essere amato e salvato. Il primo capitolo affronta la 'Questione Carver', come è nato il fenomeno dello scrittore, la storia personale alquanto insolita e travagliata. Nel secondo capitolo si analizza la prosa e nel terzo la poesia. Infine, una interessante e documentata Appendice di Tommaso Avati illustra il rapporto tra il mondo del cinema e Carver. Questo volume è il primo saggio monografico in lingua italiana che analizza l'opera di Carver.
Destinatari
Questa collana si rivolge a un vasto pubblico, non necessariamente di credenti, particolarmente interessato a cogliere la presenza del sacro in autori che hanno lasciato un segno nella cultura del nostro tempo. Il presente volume è utile in particolare a tutti coloro che desiderano conoscere uno scrittore che spicca nell'ambiente letterario americano per il suo stile 'precisionista' con cui ha saputo imporsi nel panorama mondiale.
Autore
Antonio Spadaro, nato a Messina nel 1966, è gesuita dal 1988. Laureato in filosofia, diplomato in comunicazioni sociali e dottore di ricerca in teologia, è professore incaricato presso il Centro di comunicazioni sociali (CICS) della Pontificia università gregoriana di Roma. Fa parte della redazione della rivista 'La Civiltà Cattolica', per la quale scrive regolarmente saggi di letteratura, ed è collaboratore di varie altre riviste. Ha pubblicato Tracce profonde (Roma 1993); Radio on (Napoli 1966); Lo sguardo presente (Rimini 1999); Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l'attesa (Reggio Emilia 1999) e Laboratorio 'Under 25'. Tondelli e la nuova narrativa italiana (Reggio Emilia 2000). È ideatore e animatore dell'associazione Bombacarta, laboratorio reale e virtuale di scritture creative, della rivista elettronica 'Gasoline' e del gruppo SudCreativo. Tommaso Avati, figlio d'arte, nasce nel 1969 a Bologna. Si laurea a Roma nel 1998 presso la Libera Università Maria Santissima Assunta presentando una tesi sul minimalismo cinematografico e letterario in cui vengono evidenziate immagini e tematiche ricorrenti nella prosa di Raymond Carver e nel cinema di Robert Altman. Nello stesso anno gira negli Stati Uniti un documentario su Carver, visitando i luoghi in cui l'autore visse e intervistando la moglie Tess Gallagher. Attualmente vive e lavora a Roma dove svolge la professione di sceneggiatore e continuando a coltivare un vivo interesse per la letteratura americana.
Gli Agnelli sono l'unica tra le dinastie storiche del capitalismo italiano ad aver conservato una posizione paragonabile a quella dei tempi d'oro, della nascita delle grandi industrie moderne tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, e sono un simbolo del capitalismo famigliare non solo in Italia. In questo libro si racconta chi sono gli eredi del senatore Giovanni Agnelli, il fondatore della Fiat, attraverso più di cento microritratti di fratelli, cugini, nipoti, zie. Sono bozzetti fatti di ritagli, notizie laterali, cenni personali, aneddoti, in cui vengono tratteggiati personaggi noti, ma anche meno conosciuti. Si raccontano le loro parentele, le professioni che svolgono, i luoghi dove vivono o hanno vissuto. Le vicende dell'economia e dell'industria italiana si intrecciano alla storia dei rami della famiglia, nel tentativo di definire lo spazio di questa dinastia nell'immaginario del nostro paese.
Tutto iniziò con un tè danzante, una domenica di guerra del 1940. Un giovane Enzo, già innamorato del giornalismo, si lascia sedurre dalle più belle gambe di Bologna, quelle della maestrina Lucia appena tornata da un incarico a Pozzuoli. È così che scocca la scintilla e si apre al lettore la porta di Casa Biagi. Da allora sono passati settant'anni di storia italiana vista attraverso i successi e i dolori, le risate e le sfuriate, le battaglie e le imprese di un grande uomo, amato, smitizzato, temuto, raccontato dalle sue figlie. Come tutti i bambini, le sorelle Biagi se ne infischiano delle priorità dei grandi, ne sopportano con certosina pazienza le mancanze e i difetti, ne coltivano i lati più autentici sperando sempre, spesso invano, che si concentrino finalmente sulle cose importanti. Anche oggi, che bambine non sono più, conservano nella voce quel la ruvida e divertente saggezza filiale che non risparmia nessuno e va dritta al sodo. Il fatto è - sembrano dire la Bice e la Carla, se possibile ancora più argute e taglienti del padre - che la direzione di "Epoca" e le corrispondenze per "La Stampa", la Rai e il "Resto del Carlino", il "Corriere" e "la Repubblica", l'editto bulgaro e RT-Rotocalco televisivo sono una passeggiata rispetto all'avventura quotidiana di una famiglia "quasi" normale che nasce, cresce, si ama e si accapiglia, si sposa e si ribella, si tiene e si sostiene in tutti i bivi e le scelte della vita. E di questo che saranno sempre riconoscenti a Enzo e a Lucia...
L'uomo soffre per "l'insensatezza" del suo lavoro, per il suo sentirsi "soltanto un mezzo" "nell'universo dei mezzi", senza che all'orizzonte appaia una finalità prossima o una finalità ultima in grado di conferire senso. Sembra infatti che la tecnica non abbia altro scopo se non il proprio autopotenziamento. Di fronte a questa diagnosi, la psicoanalisi rivela tutta la sua impotenza, perché gli strumenti di cui dispone, se sono utilissimi per la comprensione delle dinamiche emotivo-relazionali, per i processi di simbolizzazione sono inefficaci. Qui occorre la pratica filosofica perché, fin dal suo sorgere, la filosofia si è applicata alla ricerca di senso.